mercoledì 26 dicembre 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (69)

I GRECI UMANIZZANO GLI DEI Il momento del trapasso tra le civiltà dell'Antico oriente e la Grecia del V secolo a. C., che è il punto nodale di tutto il processo, in quanto appare, per la prima volta nella storia, il pensiero razionale, è rappresentato dal sorgere della grande poesia epica di Omero e la poesia lirica di Esiodo e Pindaro. Nel mondo di Omero sono ancora gli dei che determinano la vita e l'azione dell'uomo. Ma non sono più gli dei della civiltà dell'Antico Oriente, che hanno un potere assoluto sugli uomini. Gli dei di Omero appartengono alla stessa razza dell'uomo, come dirà più tardi Pindaro, e furono creati entrambi dal primordiale Okeanos, il Kaos primordiale delle precedenti civiltà. Pur ricollegandosi direttamente alla mitologia delle antiche civiltà, Omero se ne distaccava e la correggeva in un punto fondamentale: la materia, che, per lui, era increata e impersonale e dava origine agli dei e agli uomini insieme. Per le antiche civiltà. invece, dal Kaos primordiale sorsero prima le divinità, che erano la personalizzazione degli elementi stessi della materia: il cielo, la terra, le acque, ecc. ... e solo successivamente vennero creati, e da questi ultimi, gli uomini. Per Omero, la materia primordiale non è deificata: è l'origine di ogni cosa, ma essa non ha nulla di divino. Gli uomini prima di Omero sono in balia di forze selvagge e demoniache. "Ma già dagli eroi dell'Iliade non si sentono più in balia di forze selvagge, ma affidati ai loro dei dell'Olimpo, che costituiscono un mondo ben ordinato e significativo. Evolvendosi, i Greci completano la conoscenza di sè e, per così dire, assorbono nel loro spirito umano quest'azione divina " (Snell, 1963: 46), che ancora con Omero ed i poeti lirici temevano di attribuirsi. La loro dipendenza dal mondo fisico era tanta grande da non avere coscienza delle proprie forze e delle proprie capacità e quindi le attribuivano alla benevolenza di qualche dio. Fino al VI secolo a. C., la coscienza delle proprie capacità, dell'indipendenza delle proprie azioni e della propria volontà appartiene solo agli dei. Gli uomini hanno, fino ai grandi poeti tragici del V secolo, solo la coscienza che tutto avviene perchè predeterminato dagli dei (Snell, 1963: 55). CONTINUA www.franco-felicetti.it

sabato 15 dicembre 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (68)

IL MONDO GRECO SUPERA LA CONCEZIONE ASSOLUTISTICA DEL POTERE Nelle civiltà antiche orientali, il valore fondamentale era l'obbedienza. Gli dei avevano creato l'uomo per servire ed obbedire. Questo servizio e questa obbedienza erano dovute ai loro re-sacerdoti in terra. Nel mondo greco, sin dalle origini, le cose stavano diversamente. Era la stessa organizzazione sociale che dava al singolo un uguale potere nell'assemblea del clan, per cui chi aveva un proprio pensiero, e lo sapeva esprimere, aveva maggiore possibilità di affermarsi (Vernant, 1962: 40-41). In queste occasioni la lingua diventava uno strumento di potere (Gschnitzer, 1988: 78). Per i greci il mondo fisico non è stato creato dagli dei, come si supponeva nel mondo antico. Esso esisteva nei suoi elementi essenziali che, per trasmutazione ed aggregazione, hanno creato la realtà del presente. Questa confusa coscienza della diversità del mondo fisico, porterà i greci ad affermare, nel tempo, la proprio distinzione dal mondo fisico. Nelle civiltà dell'Antico oriente, l'uomo si confondeva con la natura di cui era parte integrante: egli non era il soggetto dell'azione; era il dio che agiva dentro di lui. Con i greci dell'età arcaica (Omero, Esiodo) egli divenne il soggetto dell'azione, ma era ancora il dio che lo guidava e lo consigliava. Nel V secolo a. C., infine, con l'affermarsi della tragedia, egli divenne padrone del proprio destino, prendendo coscienza di essere il soggetto ultimo delle proprie azioni, dei propri pensieri e dei propri sentimenti, ed affermando la propria individualità come distinta dal mondo fisico (Barbù, 1960: 72-88). Le tappe fondamentali della crescita intellettuale dell'uomo greco, e del suo passaggio dal mondo del mito al mondo della razionalità, che lo portarono a porre le basi di tutto il pensiero della civiltà Occidentale, furono le seguenti: 1) dall’uomo massa delle civiltà dell’antico oriente alla individualità dell’uomo greco; 2) dalla individualità alla coscienza di sè e alla trasmutazione delle sostanze; 3) dalla coscienza di sè alla capacità di intuire, generalizzare, dedurre, indurre, ecc. (formazione del pensiero razionale); 4) dalla razionalità alla costruzione di teorie e sistemi. E queste sono le tappe che anche noi ripercorreremo in questo studio per capire come si sia svolto questo processo che ha dato all'uomo un potere immenso sul mondo fisico. CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 7 dicembre 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (67)

L’UOMO GRECO E GLI DEI Un altro elemento che contribuì notevolmente allo sviluppo della loro libertà di pensiero fu il rapporto che essi stabilirono con la divinità. Nelle civiltà dell'antico oriente, l'uomo era stato creato dagli dei che lo tenevano in uno stato di soggezione e subordinazione completa. In Grecia, invece, gli dei non hanno nulla a che fare con gli uomini. Tra di dei e l'uomo, in Grecia, non c'era un rapporto di subordinazione, ma c'era un rapporto di sottomissione ad una potenza più vasta (Ehrenberg, 1973: 23). Questo non escludeva, però, la partecipazione di entrambi a momenti di vita comunitaria, come testimoniano gli esempi di dei che entrano in contatto con gli uomini per esigenze diverse (Frankfort, 1951). Nei greci, il divino non è sentito come il signore assoluto che, con la sua potenza, annienta l'uomo, che è suo servo, ma è sentito come una naturale alleanza tra due potenze (Snell, 1963). Gli dei greci esigono rispetto e richiedono sacrifici, ed è interesse dell'uomo averli come protettori o alleati al proprio fianco. Essi non hanno creato il mondo, nè tantomeno gli uomini, come nelle civiltà orientali, ma furono essi stessi creati insieme agli uomini (Frankfort, 1951: 249). Essi, perciò, non potevano dare all'uomo nessuno verità definitiva sulle cose del mondo perchè non la possedevano. Erano essi stessi soggetti al fato, all'imponderabile. La verità ultima sull'origine del mondo, gli uomini dovevano cercarla da soli, con le loro capacità (Snell, 1963: 309). Questo costituiva un'evoluzione intellettuale notevole. C'era, praticamente, un'inversione di tendenza per quanto riguardava il mondo degli dei e dell'organizzazione sociale degli uomini. Nelle civiltà dell'Antico Oriente si ha una certa forma di democrazia tra gli dei, i soli ad avere riconosciuta una piena individualità, e una sorta di gerarchia teocratica (monarchica) nell'organizzazione sociale. Nel mondo greco avviene il contrario. Si stabilisce una sorta di gerarchia monarchica tra gli dei, in cui troneggia Zeus, la cui potenza supera quella di tutti gli altri dei (Detienne-Vernant,1974:279), e si diffonde una forma di democrazia nell'organizzazione sociale, in cui l'individuo tenderà ad affermarsi come valore insostituibile. CONTINUA www.franco-felicetti.it

sabato 1 dicembre 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (66)

LE CITTA’ STATO GRECHE INTRODUCONO IL METODO DELLA DISCUSSIONE La civiltà greca è potuta sorgere e fiorire perchè essa era costituita da tante piccole città-stato contigue e relativamente sviluppate. Tra di loro si stabili, quindi, una gara di emulazione. Queste citta-stato avevano una caratteristica fondamentale comune: la discussione (Hume, 1963). Ogni problema comune veniva dibattuto e discusso in assemblea (Vernant, 1962:3). Questa pubblicità degli atti politici si estese al pensiero privato. Tutto veniva comunicato e dibattuto. Così venne meno la gelosa custodia del sapere, da parte di una classe ristretta di sacerdoti e funzionari di stato, come nelle antiche civiltà, e tutto diviene motivo di dibattito, di confronto e di confutazione. Il sapere, da divino, come era considerato nelle antiche civiltà, diventa umano e come tale può essere messo in discussione. La sua validità era espressa dal consenso (Vernant, 1981: 89). "... Le ... contese ed i ... dibattiti aguzzarono le menti degli uomini: una grande varietà di argomenti veniva comunicata per la ricerca del consenso, mentre ognuno cercava di prevalere sugli altri; e le scienze, essendo libere da qualsiasi forma di autoritarismo, fecero conquiste così rimarchevoli che persino oggi esse suscitano la nostra ammirazione " (Hume, 1963). I greci erano facilitati alla riflessione, inoltre, perchè avevano sviluppato una capacità espressiva, orale e scritta, superiore a quella delle civiltà precedenti, le quali erano rimaste attaccate alla scrittura cuneiforme e geroglifica. I greci avevano adottata, migliorandola, la scrittura alfabetica inventata dai Fenici. Le grandi conquiste intellettuali che essi fecero furono dovute anche alle grandi possibilità fornite da questa lingua, che essi avevano costruito, molto complessa ed in grado di esprimere qualsiasi concetto. Cosa che non potevano fare nè gli egiziani, nè i babilonesi. Così, anche se le grandi idee giacevano nella cultura della Mesopotamia e dell'Egitto, solo i greci potevano esprimerle (Burckhardt, 1963). Con l'invenzione dell' ARTICOLO DETERMINATIVO essi erano in grado, non solo di generalizzare il sostantivo (il leone), ma anche di SOSTANTIVIZZARE l'aggettivo e il verbo e, quindi, erano in grado di esprimere, oltre ai concetti concreti, attraverso la generalizzazione del sostantivo, anche i concetti astratti (il caldo, il freddo, ecc.). CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 23 novembre 2012

GIORGIO NAPOLITANO SALVA L'ITALIA DAL CAOS POLITICO TU PUOI FARLO. YES YOU CAN. SALVA L’ITALIA DAL NANISMO POLITICO. "AZZERA TUTTO" FORMA IL GOVERNO DEL PRESIDENTE. FAI RIPARTIRE L’ITALIA POLITICA DA ZERO. CONVOCA UNA COSTITUENTE. FAI APPPROVARE UNA NUOVA COSTITUZIONE CON NUOVE REGOLE. FAI APPROVARE UNA LEGGE ELETTORALE CHE SIA EQUA CON TUTTI. NESSUNO DUBITERA’ DELLA TUA DEMOCRATICITA’. LA HAI AMPIAMENTE DIMOSTRATA NEL PASSATO. I POSTERI TE NE SARANNO GRATI

mercoledì 5 settembre 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (66)


LE CITTA’ STATO GRECHE INTRODUCONO IL METODO DELLA DISCUSSIONE

La civiltà greca è potuta sorgere e fiorire perchè essa era costituita da tante piccole città-stato contigue e relativamente sviluppate. Tra di loro si stabili, quindi, una gara di emulazione.

Queste citta-stato avevano una caratteristica fondamentale comune: la discussione (Hume, 1963). Ogni problema comune veniva dibattuto e discusso in assemblea (Vernant, 1962:3). Questa pubblicità degli atti politici si estese al pensiero privato. Tutto veniva comunicato e dibattuto.

Così venne meno la gelosa custodia del sapere, da parte di una classe ristretta di sacerdoti e funzionari di stato, come nelle antiche civiltà, e tutto diviene motivo di dibattito, di confronto e di confutazione.

Il sapere, da divino, come era considerato nelle antiche civiltà, diventa umano e come tale può essere messo in discussione. La sua validità era espressa dal consenso (Vernant, 1981: 89).

"... Le ... contese ed i ... dibattiti aguzzarono le menti degli uomini: una grande varietà di argomenti veniva comunicata per la ricerca del consenso, mentre ognuno cercava di prevalere sugli altri; e le scienze, essendo libere da qualsiasi forma di autoritarismo, fecero conquiste così rimarchevoli che persino oggi esse suscitano la nostra ammirazione " (Hume, 1963).

I greci erano facilitati alla riflessione, inoltre, perchè avevano sviluppato una capacità espressiva, orale e scritta, superiore a quella delle civiltà precedenti, le quali erano rimaste attaccate alla scrittura cuneiforme e geroglifica.

I greci avevano adottata, migliorandola, la scrittura alfabetica inventata dai Fenici. Le grandi conquiste intellettuali che essi fecero furono dovute anche alle grandi possibilità fornite da questa lingua, che essi avevano costruito, molto complessa ed in grado di esprimere qualsiasi concetto. Cosa che non potevano fare nè gli egiziani, nè i babilonesi.

Così, anche se le grandi idee giacevano nella cultura della Mesopotamia e dell'Egitto, solo i greci potevano esprimerle (Burckhardt, 1963). Con l'invenzione dell' ARTICOLO DETERMINATIVO essi erano in grado, non solo di generalizzare il sostantivo (il leone), ma anche di SOSTANTIVIZZARE l'aggettivo e il verbo e, quindi, erano in grado di esprimere, oltre ai concetti concreti, attraverso la generalizzazione del sostantivo, anche i concetti astratti (il caldo, il freddo, ecc.).
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martedì 28 agosto 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (66)


LE CITTA’ STATO GRECHE INTRODUCONO IL METODO DELLA DISCUSSIONE

La civiltà greca è potuta sorgere e fiorire perchè essa era costituita da tante piccole città-stato contigue e relativamente sviluppate. Tra di loro si stabili, quindi, una gara di emulazione.

Queste citta-stato avevano una caratteristica fondamentale comune: la discussione (Hume, 1963). Ogni problema comune veniva dibattuto e discusso in assemblea (Vernant, 1962:3). Questa pubblicità degli atti politici si estese al pensiero privato. Tutto veniva comunicato e dibattuto.

Così venne meno la gelosa custodia del sapere, da parte di una classe ristretta di sacerdoti e funzionari di stato, come nelle antiche civiltà, e tutto diviene motivo di dibattito, di confronto e di confutazione.

Il sapere, da divino, come era considerato nelle antiche civiltà, diventa umano e come tale può essere messo in discussione. La sua validità era espressa dal consenso (Vernant, 1981: 89).

"... Le ... contese ed i ... dibattiti aguzzarono le menti degli uomini: una grande varietà di argomenti veniva comunicata per la ricerca del consenso, mentre ognuno cercava di prevalere sugli altri; e le scienze, essendo libere da qualsiasi forma di autoritarismo, fecero conquiste così rimarchevoli che persino oggi esse suscitano la nostra ammirazione " (Hume, 1963).

I greci erano facilitati alla riflessione, inoltre, perchè avevano sviluppato una capacità espressiva, orale e scritta, superiore a quella delle civiltà precedenti, le quali erano rimaste attaccate alla scrittura cuneiforme e geroglifica.

I greci avevano adottata, migliorandola, la scrittura alfabetica inventata dai Fenici. Le grandi conquiste intellettuali che essi fecero furono dovute anche alle grandi possibilità fornite da questa lingua, che essi avevano costruito, molto complessa ed in grado di esprimere qualsiasi concetto. Cosa che non potevano fare nè gli egiziani, nè i babilonesi.

Così, anche se le grandi idee giacevano nella cultura della Mesopotamia e dell'Egitto, solo i greci potevano esprimerle (Burckhardt, 1963). Con l'invenzione dell' ARTICOLO DETERMINATIVO essi erano in grado, non solo di generalizzare il sostantivo (il leone), ma anche di SOSTANTIVIZZARE l'aggettivo e il verbo e, quindi, erano in grado di esprimere, oltre ai concetti concreti, attraverso la generalizzazione del sostantivo, anche i concetti astratti (il caldo, il freddo, ecc.).
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venerdì 24 agosto 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (65)

L’UOMO MASSA LASCIA IL PASSO AL CITTADINO

" La civiltà greca ha svolto un ruolo decisivo nel determinare nell'uomo la presa di coscienza della propria dignità. Negli stati più antichi, gli uomini sono, fondamentalmente, i servitori del capo dello stato, e la dignità che si riconoscono è semplicemente la partecipazione al prestigio del capo.

Il cittadino degli stati greci, al contrario, è cosciente di possedere una dignità in quanto membro di un gruppo organizzato, retto da determinate leggi, valide per tutti gli uomini liberi, a esclusione degli schiavi. Egli non è più servo di un uomo, ma viene ad essere sottomesso a una legge " (Denis, 1973, I: 20).

I greci erano delle tribù indoeuropee che invasero la Grecia in due ondate successive: gli Achei, nel XV secolo a.C., e i Dori, nel XII. Gli Achei si stabilirono in Tessaglia, da dove, alcuni sostengono, fossero originari, e nel Peloponneso, da dove cacciarono gli Achei, che si stabilizzarono in Attica.

Entrambe le tribù erano di stirpe ariana ed avevano gli stessi usi e costumi dei germani dei tempi dell'impero romano. Una di queste tradizioni voleva che la vita comune fosse regolata dall'assemblea generale dei guerrieri in armi.

Da qui si sviluppò, successivamente, la polis e la democrazia. Essi avevano lo stesso spirito dei germani ( Guthrie, 1926, II: 859 ): prima assimilavano la cultura e la lingua della civiltà conquistata e poi su questa innestavano le loro tradizioni, che erano di natura politica: gli affari comuni erano risolti in comune.

In mezzo a loro non c'era una casta sacerdotale o un re che fosse stato investito del potere da un dio. Il potere, tutto il potere, era appannaggio dell'assemblea generale e veniva distribuito secondo le necessità. Il re era elettivo ( Andrewes, 1962: 17 ). Questo fu il carattere fondamentale della civiltà greca: il potere era democratico, mentre nelle civiltà dell'Antico Oriente era autocratico.

La civiltà greca nasce, sin dalle origini ( Gschnitzer, 1988: 73-75 ), come una civiltà di individui, mentre nelle altre civiltà l'individuo non esisteva; esisteva solo la massa.
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domenica 19 agosto 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (64)

DAL MITO AL PENSIERO RAZIONALE

Il passaggio dalle antiche civiltà d'oriente al mondo greco è caratterizzato dalla progressiva maturazione di un nuovo livello di struttura mentale o intelligenza.

Dal mondo del mito si passa, gradatamente e nei secoli, alla realtà del pensiero razionale. Con i greci incomincia, per la prima volta nella storia, la riflessione cosciente sui dati della conoscenza.

Non che l'uomo delle civiltà precedenti non riflettesse, ma egli non ne aveva coscienza. I pensieri si presentavano semplicemente ed egli non si chiedeva perchè e come si presentassero.

Con Omero, invece, vediamo che i suoi personaggi sono coscienti di pensare e di riflettere, anche se non hanno ancora maturato il concetto della SOGGETTIVITA’ e, quindi, credono che il loro pensiero, la loro riflessione sia dettata da un dio che vuole e consiglia che essi seguano una data linea di azione a loro più confacente.

Nella poesia epica e in quella lirica (vedi Esiodo) l'individuo non ha ancora maturato il concetto di soggettività. Se egli pensa e riflette è perchè un dio (Omero) o le muse (Esiodo) pensano e riflettono per lui (Snell, 1953: 177).

Solo con la poesia tragica (nel V secolo), l'uomo matura il concetto di soggettività e, quindi, se pensa e riflette, lo fa in prima persona, senza la intermediazione di alcuno.

E' da questo momento che nasce la vera individualità autonoma ed indipendente. Gli dei esistono, ma essi, pur influenzando il corso degli avvenimenti umani, vivono in una sfera loro propria e sono anch'essi soggetti alla stessa legge degli esseri umani: il fato, contro il quale essi sono impotenti come gli uomini.

A differenza dei babilonesi e degli egiziani, che si incamminarono sul sentiero della conoscenza per esigenze esclusivamente (o preminentemente) pratiche, i greci diedero vita al pensiero speculativo, non necessariamente finalizzato ad una esigenza pratica. Essi tentarono di andare al perchè delle cose e del mondo per fini squisitamente conoscitivi (Michel, 1963, I: 181).

Mentre i dotti babilonesi ed egiziani appartenevano ad una corporazione, o casta, inserita nella mappa del potere dello stato (sacerdoti, ecc.), e il sapere era gestito direttamente, ed esclusivamente, da questo potere, i greci erano delle individualità o, in termini volgari, cani sciolti, che non perseguivano fini di potere, ma rispondevano, nella ricerca della conoscenza, soltanto a moti interiori che li spingevano sempre più avanti nella speculazione.

Essi non ponevano "limiti al loro campo di indagine. Talete era contemporaneamente medico, matematico, astronoma e geografo" (Michel, 1963, I:181). A queste due considerazioni se ne aggiunge necessariamente una terza: i due diversi tipi di organizzazione della ricerca erano legati alle due differenti organizzazioni politiche.

Autoritaria ed autocratica la prima, dove l'individuo non esiste (Barbu, 1960: 62), democratica la seconda, dove l'individuo, non solo esiste, ma è al centro del mondo e può liberamente promuovere la propria formazione spirituale, politica e scientifica.
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lunedì 13 agosto 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (63)


L’UOMO DELL’ANTICO ORIENTE PRIGIONIERO DEL SUO PARADIGMA CULTURALE

Le civiltà dell'Antico Oriente erano rimaste vittime del livello di struttura mentale che esse stesse avevano maturato in millenni di storia.

Elaborato il primo paradigma culturale che la storia conosca, nel primo millennio della loro storia, esse ne rimasero prigioniere per tutto il resto della loro esistenza come civiltà e divennero, di conseguenza, incapaci di ulteriore sviluppo.

Esse non varcarono mai la soglia DELL'INTELLIGENZA PRE-CONCETTUALE. Nelle iscrizioni delle primissime (come delle ultime) dinastie in Egitto, o nelle iscrizioni dei popoli che si avvicendarono, nei millenni, in Mesopotamia, troviamo sempre un elenco delle opere fatte, o dei fatti accaduti, esposti in modo narrativo e senza la benchè minima riflessione su di essi: sono singoli fatti messi uno accanto all'altro senza un collegamento d'insieme tra di loro.

La loro attività intellettuale non andava oltre la semplice riproduzione dei dati dell'esperienza percettiva. Le informazioni che esse ricavavano dalla loro attività quotidiana, o dalla loro esperienza di vita, non venivano organizzate e sistematizzate, ma venivano sistemate una accanto all'altra (sincretismo) senza alcun ordine, il cui concetto era loro estraneo.

L'attività di pensiero, intesa come riflessione sui dati acquisiti per dare loro un ordine, una classificazione, per dare loro una definizione o metterle in relazione, era completamente assente.

Nella loro esperienza di millenni, esse non riuscirono a maturare i concetti che le avrebbero messe in grado di riflettere sulla loro esperienza e cosi maturare un secondo livello di struttura mentale. Eppure, nelle conoscenze che esse avevano acquisito e prodotto questi concetti erano insiti, ma esse non seppero cavarli fuori.

"Esse potevano risolvere correttamente equazioni complesse, ma sempre in termini numerici, e sempre con esempi concreti, poiché non possedevano la NOZIONE DI GENERALITA’. Secoli dopo, i loro risultati furono usati dai matematici greci che avevano inventato i metodi generali" (Hall-Hall, 1979: 12).

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sabato 11 agosto 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (62)

LA SCOPERTA DELL'INDIVIDUO

L'uomo, sin dal suo sorgere, ha sentito l'esigenza di dare un'interpretazione globale dell'universo nel quale era inserito con una qualche forma di coscienza (Fritz, 1988: 13). Questa interpretazione non è stata mai univoca nella storia.

Essa fu sempre strettamente connessa con gli strumenti intellettuali che l'uomo possedeva. Nelle civiltà dell'Antico Oriente, l'uomo non era ancora intellettualmente equipaggiato per dare una spiegazione razionale dell'universo.
Egli poteva solo darne una giustificazione attraverso l'immaginazione (mito). La natura era giustificata con l'intervento degli dei che tutto avevano creato dal caos primitivo.

La spiegazione, invece, avrebbe richiesto un lavoro di analisi, che presupponeva il possesso di strumenti di pensiero che erano impensabili nel suo livello di struttura mentale.

La giustificazione, invece, non richiedeva alcuna analisi, ma richiedeva solo il racconto di come le cose erano avvenute E a questo provvedeva il mito, che è proprio della mentalità analagica-immediata antropomorfica.

La spiegazione si poteva avere solo se si possedevano, almeno, le tre categorie principali del pensiero razionale: ordine, definizione e generalizzazione Ma queste civiltà non rifletterono mai(Wiener-Noland, 1957: 5) sui processi che avevano seguito per raggiungere una nuova conoscenza o una nuova tecnica. Esse erano soddisfatte del risultato finale, che serviva loro per uno scopo pratico

Nella matematica, per esempio, da cui possono essere tratte le tre categorie mentali di ordine, definizione e generalizzazione, esse avevano raggiunto una conoscenza che non sarà superata dai greci anzi quest'ultimi saranno al di sotto di esse

Eppure esse non rifletterono mai un momento per domandarsi: "perchè il triangolo isoscele aveva due angoli uguali? Perchè l'area di un triangolo era uguale alla metà di un rettangolo di base ed altezza uguali?" (Struik, 1981: 53).

Perchè l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa era uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti (che più tardi, ma molto più tardi, sarà chiamato teorema di Pitagora)?

Al perchè delle cose e dei fenomeni esse non erano interessate. Esse erano interessate, per esigenze esclusivamente pratiche, al come una cosa o un fenomeno avveniva.

L'ordine, la definizione, la generalizzazione, la teorizzazione erano al di fuori del loro pensiero, che era figurativo e, cioè, percettivo, imitativo e fantastico: esso poteva comprendere la realtà nella sua staticità: l'essere della cose.

Il pensiero figurativo opera sui singoli casi. Esso è ancora centrato, se vogliamo usare un termine piagetiano. Le relazioni d'insieme, le trasformazione appartengono al pensiero operativo che esse non raggiungeranno mai, anche se avevano preparato le condizioni per farlo.

La massa di conoscenze che esse avevano accumulato in tutti i campi contenevano tutte le informazioni da cui, più tardi, i greci trarranno un sapere qualitativamente diverso.

Queste civiltà, se vogliamo dirlo in altri termini, rappresentano il contenuto della forma che i greci daranno alla conoscenza: il pensiero operatorio, che parte dalla realtà concreta per operare su di essa e ricavarne nuove conoscenze

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mercoledì 4 luglio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (61)

L’UOMO DELL’ANTICO ORIENTE SI FERMA AL SINCRETISMO

In queste civiltà troviamo mai una dimostrazione che implichi un rigoroso ragionamento logico simile a quello che poi troveremo presso i greci. "Esse accumulavano semplici formule, regole tecniche elementari che nascevano come risposta a problemi che sorgevano in situazioni particolari.

“Non c'era la possibilità di uno sviluppo generale dell'argomento, nè i testi che ci sono pervenuti enunciano principi generali... La loro incapacità di costruire un corpo di conoscenze scientifiche o di inglobare i dettagli in un'ampia sintesi si nota anche nell'astronomia egiziana e babilonese.

“L'osservazione degli astri si svolse per millenni, ma non venne mai alla luce una teoria che correlasse e illustrasse quelle osservazioni " (Kline, 1964: 21-22). Il ragionamento che esse seguivano era realistico, e questo dava, quando si svolgeva su sequenze causali direttamente osservabili, lo stesso risultato di un ragionamento deduttivo; ma, quando si svolgeva su casi individuali, separati nel tempo e nello spazio, conduceva al sincretismo (Piaget, 1966: 192-93). E il sincretismo fu la loro massima conquista intellettuale.

Alla deduzione logica esse non arrivarono mai, anche se possedevano tutti gli elementi di conoscenza per raggiunger questo nuovo livello di struttura mentale (pensiero logico concreto), ma erano talmente invischiati nell'esistente e nel presente che non seppero farlo.

La nuova sintesi doveva essere prodotta da altri non coinvolti nella psicologia collettiva dominante perchè alieni, e che, per l'occasione, dovevano essere i greci.

Anche quando parliamo dell'organizzazione della giustizia, in queste civiltà, e parliamo di codici, siamo portati ad attribuire a questi un valore semantico che connota il termine moderno: una raccolta di norme generali ed astratte che vengono applicate a casi particolari.

In realtà, quello che noi impropriamente chiamiamo il codice di Ammurabi è una raccolta di norme (leggi) particolari riferentesi a casi specifici e descritti da applicare quando quel caso specifico si verificava.

Quando noi diciamo che il codice di Ammurabi è diviso in tre grandi sezioni: civile, penale, amministrativo, gli diamo un ordine e una struttura sistematica che, anche se utile a noi moderni, sono in realtà una forzatura alla psicologia di quella società che questo raggruppamento e quest'ordine non era in grado di produrre.

Quello che noi impropriamente chiamiamo codice(Edzaro, 1967: 218) erano in realtà leggi sparse, anche se raccolte per argomenti, che venivano attivate così come le necessità lo richiedevano. La classificazione, l'ordine, la sistematicità erano concetti e categorie che le civiltà dell'Antico Oriente non avevano ancora maturato e non matureranno mai.

Il grande merito di Ammurabi, che non aveva creato nulla di nuovo, o quasi, fu quello di aver reso queste leggi applicabili in tutto il suo impero (Bibby, 1962: 119), garantendo così la certezza del diritto.

Ma le leggi in se stesse, se considerate in termini moderni, erano molto spesso ingiuste e, qualche volta, inumane. E pur tuttavia, questo codice ha un'importanza fondamentale nello sviluppo della civiltà dell'uomo perchè è la prima volta, per quanto ne sappiamo, che l'uomo sente l'esigenza di dare un qualche ordine alla giustizia senza la quale non ci può essere pace sociale.

La Pax, in tutte le civiltà, è sempre fondata sul diritto e sulla forza che fa osservare questo diritto (potere politico dello stato). E Ammurabi, anche senza un disegno cosciente, garantiva, col codice, tutt'e due i principi.

Anche nella storia naturale esse non andarono al di là di un pragmatico elenco di quasi tutte le specie viventi (piante ed animali), assegnando ad ogni pianta e ad ogni animale un nome.

La classificazione era ancora lontana. Esse erano interessate solo al riconoscimento pratico della pianta e dell'animale, non alla classificazione o alla descrizione, che è il primo passo verso la classificazione.

La storia,per queste civiltà, era il mito. Esso era quasi sempre, almeno nei tempi succssivi, la trasposizione, in forma fantastica, di un fatto realmente accaduto, che veniva attribuito ad un dio ed acquistava, così, valore universale.

Quello che noi impropriamente chiamiamo storia è la cronaca (la lista dei re), nel primo millennio, spicciola di eventi e fatti accaduti sotto un regno particolare.

Essa assume la forma di un'elencazione arida e semplice di una sequenza di azioni commesse dal sovrano durante il suo regno: sono fatti messi uno accanto all'altro senza un collegamento d'insieme tra di loro e senza alcuna riflessione su di essi.

Di solito essi recitano: 'io, sovrano tal dei tali, ho costruito questo tempio e fatto questa cosa per il piacere del dio.' Sono fatti realistici che non hanno nulla da dire di più di quello che dicono e raramente essi si innalzano a valori letterari (Barton, 1929: XXI-XXII).

Nella religione le credenze sono attestate, ma mai formulate teoricamente (Moscati, 1978: 30). Il panteon era costituito da un'interminabile lista di dei, senza alcun ordine e senza alcuna gerarchia, ma con poteri diversi.

martedì 26 giugno 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (60)

L’UOMO INVENTA I PRIMI SAPERI, MA NON NE HA COSCIENZA

Queste civiltà inventarono l'aritmetica (il far di conto) e la geometria. La prima facilitava "il computo del calendario, l'amministrazione del raccolto, l'organizzazione dei lavori pubblici e la riscossione delle tasse " (Struik, 1981:53); la seconda consentiva la misurazione dei terreni.

Ma queste non possono essere assolutamente confuse con il concetto che noi oggi abbiamo di queste due branche della matematica; cioè, di leggi a priori espresse nelle tavole matematiche con formule generali.

Quella che, dai greci in poi, chiamiamo aritmetica erano in realtà singole operazioni su singoli casi. E così anche per la geometria. "I babilonesi del periodo 2200-2000 sapevano come misurare l'area dei rettangoli e dei triangoli isosceli e rettangoli.

“Essi avevano una certa conoscenza del teorema di Pitagora ed erano coscienti che l'angolo inserito in una semicirconferenza è un angolo retto. Essi sapevano misurare il volume di un parallelopipedo rettangolo, di un cilindro circolare rettangolo, della base di un cono o di una piramide quadrata" (Sarton, 1953: 73).

Ma a queste conquiste essi non ci arrivarono attraverso un ragionamento logico-deduttivo, come faranno i greci, ma ci arrivarono attraverso un'attività pratica sequenziale, nel senso che un'operazione seguiva l'altra, la quale - svolgendosi su sequenze causali - conducevano alle stesse conclusioni di una deduzione logica, ma non lo era.

Esse non maturarono mai struttura mentale necessaria per scoprire, come faranno i greci più tardi, che le "proposizioni della geometria sono interrelate; cioè a dire, date certe proposizioni, si può provare che certe altre sono la logica conseguenza delle prime.

Questo suggerisce la possibilità di ordinare tutte le proposizioni in una tale sequenza che ogni proposizione nell'ordine, dopo un certo punto, è la logica conseguenza di alcune o di tutte le proposizioni che la precedono" (Britannica,1962, X: 178).

Ma il concetto di relazione e di ordine era al di fuori della portata di queste civiltà. L'unica cosa che esse sapevano dire di un'operazione era che "avevano fatto questo e poi quello" (Rey, 1942, I: 138-40).

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lunedì 18 giugno 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (59)

L’UOMO DELL’ANTICO ORIENTE E’ COME UN BAMBINO DI 7/8 ANNI DI OGGI: PRE-LOGICO O PRE-OPERATIVO

Le civiltà dell'Antico oriente non andarono mai oltre il livello pre-logico o pre-operativo; anzi, esse rimasero al di qua di questa soglia in qualsiasi branca del sapere.

Saperi di cui esse stesse avevano posto le basi e che avevano sviluppato secondo le proprie capacità e possibilità. Queste civiltà possedevano la capacità di accumulare conoscenze, ma non erano in grado di riflettere su di esse e, quindi, di organizzarle razionalmente per costruire sistemi.

Esse pensavano problema per problema. Esse erano, in senso filogenetico, allo stadio ontogenetico del bambino moderno che "non edifica sistemi: ne ha di inconsci e di preconsci, e in tal caso non sono formulabili nè formulati, e soltanto l'osservatore esterno può individuarli; mentre egli non ' riflette ' mai su di essi.
“In altre parole, pensa concretamente, problema per problema, man mano che la realtà gliene propone, e non collega mai le proprie soluzioni a teorie generali che manifesterebbero i principi" (Piaget, 1967: 69).

Nell'esperienza storica di queste civiltà "vi sono indubbiamente sia calcoli astronomici e matematici, sia diagnosi e ricette mediche: val le pena domandarci se nel formulare quelli e queste, gli uomini furono o meno coscienti di fare scienza?

“Ne fecero, in ogni caso, anche se non la teorizzarono come tale. Si dirà piuttosto che appunto di questa teoria furono privi: esiste il pensiero, ma non la riflessione sul pensiero. Per questo dovremo attender la Grecia " (Moscati, 1978: 303).

In tutti i campi, esse non seppero andare al di là della necessità immediata e contingente. La finalità ultima per loro era la risoluzione del problema quotidiano e non la riflessione su quanto avevano fatto o realizzato.
Esse erano soddisfatte nel sapere che una nuova tecnica "serviva a..." e non andarono alla ricerca del perchè di essa. La nuova struttura economica e sociale, che esse avevano inventato e creato dal nulla, richiedeva conoscenze che consentissero loro di tenere conto, in qualche modo, di tutte le attività produttive, che si svolgevano nella vita quotidiana, e di tutta la problematica dei rapporti interpersonali nell'ambito della struttura sociale.

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giovedì 14 giugno 2012

FRANCO FELICETTI’S STORY (23)

IL MARE, LA LUNA E NOI

Le tre ragazze erano uno schianto. Un’austriaca di una bellezza unica. Una bambola. Con una carnagione vellutata. Faceva colpo su tutti i maschi della classe turistica. Tutti la corteggiavano. Un prete le stava sempre dietro e lei a stento riusciva a liberarsene. Lei si lamentava, con le altre due ragazze, che c’era un solo uomo che non la corteggiasse nella classe turistica. Ero io. Per me era solo una ICONA, una bellissima icona, che ti lascia freddo.

La seconda, un’italo-americana, sprigionava fuoco da tutte le parti. Una mora di origini siciliane. Veniva in Italia per andarsi a sposare nella terra d’origine dei suoi genitori. A queste donne piene di fuoco non si può chiedere la fedeltà. E lei diede l’addio al nubilato con tanti trofei da portare in dono al suo ignaro futuro consorte.

La terza era una tedesca di pura razza teutonica. Longilinea, di un biondo rossiccio, ma non eclatante nella sua bellezza come l’austriaca. Ma fortemente positiva ed equilibrata. Io ero imbarazzato. Il mio tempo libero sulla nave era limitato. Dovevo studiare perché dovevo darmi sette esami prima di ripartire per Parigi, come avevo programmato.

Un esame l’avevo proprio il giorno dell’attracco a Napoli. Tra il dovere verso me stesso e il divertimento non avevo scelta. Il dovere veniva prima. Avevo studiato durante tutto il mio girovagare per l’America e dovevo continuare a farlo ora che gli esami erano vicinissimi.

È vero che ero organizzatissimo. Avevo registrato il mio studio sui singoli esami perché sapevo che durante il viaggio non avrei avuto la concentrazione per studiare. Ma ero sicuro che la stanchezza non mi avrebbe impedito la ripetizione ascoltando i nastri.

La cosa aveva funzionato benissimo fino a quel punto. Mi ero trascinato dietro, per tutta l’America, quel registratore, uno dei primissimi che erano usciti. Era in legno, grande quanto una valigia di media dimensione (7/8 kg). Nulla a che vedere con i registratori miniaturizzati di oggi. La mia decisione la dico in tedesco: gli esami UBER ALL.

L’ho detto alla tedesca perché la mia scelta cadde su di lei. L’unica che avrebbe potuto capirmi. Infatti, era l’unica delle tre che non avesse grilli per la testa. Nel mio tempo limitato le feci fare un’esperienza stupenda. Di sesso niente. Per tacita decisione di entrambi. Eravamo amici e basta.

Due notti prima dell’arrivo a Napoli, mi prese per mano e mi intimò di non parlare. Mi portò sull’estrema punta della prua della nave (off limits per i passeggeri), che navigava lungo la scia luminosa della luna. Lei aveva deciso di suggellare la nostra amicizia, casta e pura fino a quel momento, con un’esperienza che non capita a tutti nella vita. Il mare, la luna e noi. In un misto di poesia e passione, ci amammo intensamente. Ecco perché non ho visto nulla di eccezionale nella scena di Di Caprio e la sua donna nel film Titanic. Quella situazione io l’avevo vissuta, grazie ad una ragazza tedesca che aveva deciso che io ero degno del suo amore.

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lunedì 11 giugno 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (58)

L’UOMO DELLE PRIME CIVILTA’ NON HA COSCIENZA DI SE’ E ATTRIBUISCE TUTTO AL DIO

" I primi uomini, ne siamo convinti, non mancavano nè della curiosità, nè della inventività necessaria per creare e costruire strumenti tecnici; piuttosto la loro curiosità e la loro inventività, sotto la pressione della necessità, si limitava ad uno spazio molto ristretto, delimitato, generalmente, dal semplice soddisfacimento dei bisogni immediati che erano quelli della sussistenza e, quindi, della sopravvivenza.

“Se gli strumenti tecnici rendevano possibile questa soddisfacimento, essi non trovavano una ragione valida per migliorarli. Così si affermò la tradizione che gli strumenti tecnici erano perfetti e quindi si sbarrò il passo all'innovazione...
“Almeno altri due fattori, oltre alla tradizione, contribuirono all'inaridimento dell'inventività.. Essi erano inclini a credere che l'invenzione e perfino l'abilità tecnica fosse opera di un dio.

“Più complesso era il processo tecnico e più questa inclinazione si affermava...; strettamente connessa a questa inclinazione c'era l'incapacità a percepire la relazione tra la conoscenza fattuale e il progresso tecnico.

“I primi uomini hanno accumulato una grande quantità di conoscenze, lentamente e nel tempo, ma essi non capirono che il benessere è basato sull'applicazione di questa conoscenza alla manipolazione della natura...

“Fin dove questi fattori, come la tradizione, hanno influenzato l'uomo delle prime civiltà, è spiegabile perchè per un lunghissimo periodo di tempo il progresso tecnico fu quasi impercettibile " (Turner, 1941: 73-74).

L'affermazione di questa psicologia segna il limite del livello di struttura mentale raggiunto da queste prime civiltà. Un limite che esse non seppero superare nella loro storia millenaria.

Esse avevano raggiunto il loro massimo paradigma psicologico-culturale, entro il quale l'umanità sarebbe rimasta indefinitivamente se non ci fossero stati altri popoli che, dopo aver fatto proprio tutte le conoscenze prodotte da queste civiltà, avessero elaborato un nuovo paradigma e quindi un nuovo livello di struttura mentale.

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venerdì 8 giugno 2012

FRANCO FELICETTI’S STORY (22)

UNA CROCIERA DA SOGNO

Mi imbarcai per Napoli a New York, come avevo programmato. Ero disceso da Vancouver, sul Pacifico, fino a New York, sull’Atlantico, attraversando in pullman, in lungo e in largo, tutto il continente nord americano.

Avevo prenotato questo viaggio un anno prima per cogliere due opportunità: avere i prezzi degli EARLY BIRDS (in America, chi prenota con largo anticipo ha degli sconti fortissimi) e fare una CROCIERA DA SOGNO di otto giorni sulla nave di linea ammiraglia, che l’Italia aveva varato da poco: la LEONARDO DA VINCI.

La Leonardo da Vinci fu l’ultima nave di linea ad essere varata. Il trasporto aereo le aveva eliminate per sempre. Ora ci sono le navi da crociera, anche più sfarzose, ma operano in aree geografiche molto più limitate. Quasi nessuna di esse attraversa l’Atlantico per arrivare fino agli Stati Uniti.

Al turista odierno la vita di bordo interessa, e molto, ma non saprebbe rinunciare ai porti che si toccano. Ai Paesi che si visitano. Sulle navi di linea transatlantiche, invece, la vita di bordo era tutto. Il resto, per 4/5 giorni, era soltanto l’immensità dell’Atlantico. Ecco perché sono morte. L’aereo, come mezzo di trasporto, le aveva rese non convenienti.

Sapevo che, se perdevo questa occasione, difficilmente avrei potuto fare una crociera a questo livello nella mia vita. La mia classe turistica sulla Leonardo da Vinci corrispondeva alla prima classe della “carretta” con cui avevo fatto il viaggio di andata due anni prima.

Ma le sorprese non finirono. Il commissario di bordo della Leonardo da Vinci ero lo stesso della “carretta”. Ci salutammo calorosamente. Era un napoletano che mi aveva in simpatia perché io ero studente nella sua Napoli.

Quando andai a pranzo per la prima volta non credevo ai miei occhi. Non un anonimo in mezzo a tanti, ma un ragazzo baciato dalla fortuna. Un tavolo per quattro: tre bellissime ragazze mozzafiato ed io. Mi ero appena seduto quando si avvicinò il Commissario di bordo. Mi disse: “professore, le è piaciuta la sorpresa?”. Ero confuso. Ho farfugliato qualcosa, ma non ricordo cosa.

Ipso facto, divenni il ragazzo più invidiato di tutta la classe turistica.

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giovedì 7 giugno 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (57)

L’UOMO NON E’ COSCIENTE DELLA PROPRIA INDIVIDUALITA’

L'individuo, in queste civiltà, non ha nome, è anonimo. Le invenzioni, le tecniche, i processi, che hanno rivoluzionato il mondo della produzione e dell'organizzazione sociale, sono sempre stati il frutto della acuta osservazione o della brillante idea di qualche individuo, ma essi non la vedevano in questo modo: essi li attribuivano ad un dio.

Tutte le invenzioni, dall'aratro alla ruota, tutte le scoperte, dalla cottura della terracotta alla fusione dei metalli, sono attribuiti ad un dio, non agli uomini, D'altronde, erano invenzioni e scoperte che avevano subito un lungo processo evolutivo, in cui ogni individuo, ogni generazione (attraverso i secoli, è il caso di dire) apportava il proprio contributo fino ad arrivare al prodotto finito.

Per cui questo non era più un prodotto individuale, ma era un prodotto collettivo: era il prodotto di un dio e in quanto tale non era più modificabile, in quanto era stato creato perfetto sin dall'origine.

"I testi sottolineano la perfezione dell'opera creatrice: prima non c'era nulla, ma quando la divinità interviene, le cose vengono create in modo assolutamente 'perfetto', articolate in ogni dettaglio, per non più cambiare.

"La genesi degli strumenti di lavoro è anch'essa un fatto istantaneo: nel mito sumerico di ' Enki e l'ordine del mondo', il dio provvede all'allestimento dell'aratro, del giogo e del tiro; prende la zappa e prepara lo stampo per i mattoni; organizza il lavoro della tessitura. Ancora più esplicito è il mito sumerico della creazione della zappa: lo strumento nasce completo in tutti i suoi dettagli tecnici...

"Lo strumento viene affidato all'uomo, perchè lo impieghi nei lavori agricoli, nella costruzione delle case e della città. Il carattere archetipico e immutabile degli strumenti di lavoro, e dalle attività che con essi si svolgono, è vivissimo nella mitologia sumerica; una volta avvenuta la creazione, i destini sono fissati e nulla muterà più " (Zaccagnini, 1976: 294).

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lunedì 28 maggio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (56)

L’UOMO APPRODA ALL’INDIVIDUALISMO

L'individualismo greco è il frutto della maturazione di questo concetto religioso. L'individualismo, che prima era appannaggio esclusivo degli dei, divenne un patrimonio dell'uomo.

E questo individualismo umano portò ad una diversa organizzazione della produzione. Come il dio agiva individualmente, così agiva l'uomo, non più cellula di una comunità, ma membro di una comunità, come prima il dio era membro della comunità degli dei.

Le fortune politiche del dio dello stato erano strettamente legate al suo re-sacerdote. Se questi era un grande condottiero ed estendeva il suo dominio, anche le fortune del dio crescevano e diventava un grande dio, che dalla città di origine si estendeva ai territori occupati.

E questo avveniva perchè le vittorie del re-sacerdote erano attribuite al dio (Van Seters, 1983: 57), il solo che avesse un'individualità. E solo un grande dio poteva ottenere grandi vittorie e, quindi, il suo posto nel panteon cambiava.

La storia di Marduk è esemplare in questo senso. Da dio di second'ordine (Hallo-Van Dick, 1968: 66) ai tempi in cui Babilonia era un'oscura città, a capo supremo del panteon babilonese, quando questa città assunse, grazie alla capacità dei suoi re-sacerdoti, la leadership della regione.

Nell'assurgere al nuovo ruolo, il dio assumeva, ricorrendo al sincretismo (Arborio Mella, 1978: 181), molte funzioni che prima appartenevano ad altri dei. I nuovi nomi, che esso assumeva, non rappresentavano semplici titoli onorifici.

Per i sumeri-babilonesi il nome non era un epifenomeno, qualcosa che era stata attaccata ad una persona o ad un oggetto; non era una semplice relazione tra due cose che l'uomo arbitrariamente stabiliva, ma era insito nella cosa stessa (Morenz, 1973: 9), proveniva da essa (realismo immediato) e tra i due c'era una perfetta identificazione (Bottero, 1977: 26), per cui Marduk assumeva tutti quei poteri che prima venivano attribuiti ad altri dei.

Così tutte "le conquiste e gli attributi di Enlil, il dio supremo di Sumer, furono attribuiti a lui, e le antiche saghe e leggende, in particolar modo quella della creazione del mondo, furono riscritte in questa nuova versione dai sacerdoti di Babilonia" (King, 1969: 194).

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venerdì 18 maggio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (55)

NELL’ANTICO ORIENTE L’UOMO E’ MASSA

Le civiltà dell'Antico Oriente erano società collettive. Per l'individuo non c'era posto: non esisteva come concetto (Finkelstein, 1979) perchè ogni persona fisica era una cellula dell'organizzazione sociale, che era la sola che contava.

Però, acconto a questa concezione, esisteva l'individualismo degli dei Essi erano concepiti come individui organizzati gerarchicamente, ognuno dei quali aveva una propria personalità, un proprio potere ed una propria posizione nel panteon dello stato.

Naturalmente, il popolo non aveva maturato la coscienza di questa divaricazione tra gli uomini-collettività e dio-individualità. Il dio, per loro, era il signore e padrone che tutto aveva deciso e tutto aveva organizzato per l'uomo. Il dio era il padrone-creatore a cui l'uomo doveva soltanto obbedienza, sottomissione e lavoro al suo servizio.

Forse è da questa primitivo individualismo degli dei che nasce l'individualismo degli uomini. Il sistema di produzione potrebbe essere meno rilevante di quello che si crede.

Il collettivismo di queste società è la conseguenza di una concezione di pensiero, di una scelta ideologica, se così si può dire, che si trasformò naturalmente in un sistema di produzione, piuttosto che la conseguenza di un sistema di produzione (almeno a monte).

In altri termini, l'ideologia (concezione religiosa), invece di essere una sovrastruttura, era la struttura entro la quale si sviluppò il sistema di produzione. Senza quella non si sarebbe potuto avere questo

Naturalmente questo era vero nei primordi dell'organizzazione sociale, quando vigeva il collettivismo socialista di Stato e religioso. Quando, successivamente, si introdusse il concetto e la pratica della proprietà privata (Bibby, 1962: 11), si incominciarono ad organizzare le classi e incominciò a far capolino un proletariato.

La società assunse la forma di una piramide (che si conservò nel corso della storia successiva fino all'epoca moderna) in cui il re-sacerdote era il vertice (l'unico a godere dell'individualità, in analogia a quella del dio di cui era sacerdote), sotto di lui la classe di governo e religiosa e, al di sotto di questa, ma molto al di sotto, le tre classi che poi diverranno tradizionali delle società antiche: liberi, semiliberi e schiavi.

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sabato 5 maggio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (54)

LE PRIME CIVILTA’ DELL’UOMO NON SONO DINAMICHE Le Antiche Civiltà Orientali avevano prodotto il loro paradigma intorno al 2500 avanti Cristo, dopo di allora vissero dei successi ottenuti. Il loro sguardo, infatti, era sempre rivolto verso la mitica età dell'oro. "L'uomo fa appello alla saggezza degli antichi a preferenza della presente realtà. Sul Nilo, nel II millennio, gli scribi copiano solamente le prescrizioni mediche ed aritmetiche che, essi dichiarano, sono state composte nel III millennio" (Childe, 1949: 144). Le antiche civiltà dell'Oriente avevano raggiunto una grande perfezione tecnica. Esse erano in grado di risolvere qualsiasi problema pratico, ma erano incapaci di escogitare, inventare, scoprire un processo, come il metodo scientifico moderno, mediante il quale produrre a pioggia una serie di conoscenze che avrebbero consentito loro di creare uno sviluppo continuo nell'organizzazione produttivo e quindi sociale e quindi politica (i tre aspetti vanno in quest'ordine). Esse erano statiche, come statiche saranno le altre due civiltà del mondo antico: quella greca e quella romana. Tra un millennio e l'altro, tra un secolo e l'altro non c'erano differenze di rilievo. L'uomo del III millennio avanti Cristo sarebbe stato perfettamente a suo agio anche nel I secolo dopo Cristo. La civiltà sumerica, egiziana, siriaca, ecc., erano tra loro simili, se non identiche, anche se tra l'una e l'altra intercorsero millenni. Gli elementi caratterizzanti erano limitatissimi e non sempre facilmente determinabili; anche se ognuna di esse diede il proprio contributo originale ed esclusivo allo sviluppo della civiltà. Anche la civiltà greco-romana non differiva granché dalle altre, sebbene le tecniche della guerra, le istituzioni e lo sviluppo intellettuale fossero più avanzati L'organizzazione sociale, politica ed economica era pressoché identica in tutto il mondo antico. "Fino alla Rivoluzione Industriale in cui viviamo, gli aspetti fondamentali della vita economica e politica dell'uomo rimasero praticamente gli stessi sin dal neolitico" (Durant, 1954, I: 399). CONTINUA www.franco-felicetti.it

domenica 22 aprile 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (53)

L’UOMO DIVENTA VITTIMA DELLA SUA ORGANIZZAZIONE DEL SAPERE Queste civiltà erano in grado di risolvere qualsiasi problema tecnico-pratico che riguardasse la loro organizzazione sociale. Esse, però, erano delle affastellatrici di conoscenze (Finkelstein, 1979: 18). Le producevano per necessità, ma non erano in grado, nè erano interessate a dare loro un ordine. Ogni nuova tecnica serviva a qualcosa, ma terminata la spinta della necessità, non si aveva più alcun interesse alla riflessione sul suo funzionamento. Nè essa veniva messa in relazione con altre tecniche per ricavarne una nuova conoscenza. Esse non avevano bisogno di questa forma di pensiero, nè erano in grado di produrla. La sistematicità, la classificazione, l'ordine, la generalizzazione, la reciprocità, la consecutio logica erano al di fuori della loro portata. Eppure esse avevano accumulato, affastellato, una massa enorme di conoscenze che avrebbero potuto metterle in condizione di operare una svolta nel pensiero umano. Ma esse erano destinate a rimanere società quantitative. Vittime della legge dell'evoluzione filogenetica della mente dell'uomo. Secondo questa legge, ogni popolo, che ha prodotto un nuovo paradigma culturale, una nuova organizzazione del pensiero, rimane attaccato ad esso e non è più in grado di produrne uno nuovo che lo superi. Tutte le società del passato furono vittime di questa legge. La loro organizzazione sociale non ammetteva una diffusione delle conoscenze a tutto il popolo. Esse rimanevano appannaggio delle classi dominanti, che le gestivano a fini di potere, e così lo scriba era geloso della sua arte, come lo era l'artigiano, e ne custodiva gelosamente i suoi segreti. Questo atteggiamento mentale si conserverà fino al Rinascimento. Il popolo era irremediabilmente escluso dal sapere. Esso era un affare di Stato nelle società dell'Antico oriente e un affare privato di una classe ristretta nel mondo greco-romano. Ed era un affare che riguardava il sapere nella sua globalità, nel senso che esisteva ancora l'unità del sapere. Le branche delle singole conoscenze, caratteristiche dei nostri giorni, non esistevano. Per questo motivo, il paradigma culturale, la nuova organizzazione del pensiero, il nuovo livello di struttura mentale, non poteva essere superato dall'interno della stessa società, che era collettivamente interessata al sapere, come Stato, nelle società dell'Antico oriente, e come classe ristretta, nelle civiltà classiche e rinascimentale. Solo un nuovo venuto, che fosse libero dai condizionamenti psicologici del vecchio paradigma, era in grado di operare la svolta. E, nelle società anteriori al XVII secolo, che, con l'invenzione del metodo scientifico, rivoluzionò l'organizzazione delle conoscenze, solo un altro popolo poteva farlo, partendo dal vecchio paradigma ormai in crisi. CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 6 aprile 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (52)

L’UOMO CREA L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE

Questa nuova organizzazione sociale richiede uno sforzo creativo eccezionale. Non ci sono esperienze di popoli precedenti da cui mutuare. Tutto deve essere creato e inventato dal nulla. Ed essi non posseggono una struttura mentale capace di creare ed inventare a priori.

Le loro creazioni e le loro invenzioni sono il frutto di risposte concrete alle esigenze e ai problemi immediati del vivere civile in una società urbana, le cui dimensioni erano novità assolute.

Il problema della scrittura, che "in principio serviva all'economia del tempio" (Speiser, 1969: 86). Il problema dei numeri, che servivano allo stesso scopo. Il problema delle osservazioni astronomiche, che servivano all'agricoltura.

Il problema della geometria, che serviva per misurare i campi dopo le piene. Il problema della tecnica, che serviva per imbrigliare la natura. I problemi sociali (giustizia, sicurezza, amministrazione) che un simile tipo di organizzazione poneva. Quelli dell'unità di peso e misura. Quelli della moneta di scambio, che serviva per superare il baratto che era diventato impraticabile.

Tutte queste nuove arti devono essere esercitate da persone altamente specializzate che non possono essere impegnate direttamente nell'attività produttiva, ma devono vivere sul surplus che il nuovo tipo di organizzazione sociale è in grado di produrre (questa è l'inizio della divisione del lavoro). Queste persone non lavorano per se stesse, ma per il tempio e il palazzo (Zaccagnini, 1983: 245) da cui dipendono.

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mercoledì 28 marzo 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (51)

IL PESSIMISMO DELLE CIVILTA’MESOPOTAMICHE

Questa nuova civiltà doveva essere la Grecia. Essa seppe dare un nuovo valore e una nuova organizzazione ai dati acquisiti dai popoli che l'avevano preceduta. Se si esamina la storia della loro civiltà si può vedere che, in quanto a dati, i greci non aggiunsero nulla o quasi (Vernant, 1982: 319-396).

Ma cosa seppero fare con quei dati! Essi seppero " inquadrarli in un nuovo sistema di reciproche relazioni, dando loro uno schema diverso, il che in pratica significa assumere per l'occasione una diversa struttura mentale " (Butterfield, 1962: 7).

Nella psicologia dei primi sumeri, così come la possiamo desumere dalla loro cosmogonia, si trovano idee semplici. Gli uomini furono creati dagli dei dall'argilla perchè avevano bisogno di adoratori. Da qui nasce il pessimismo che caratterizza questa civiltà nel suo corso storico.

L'uomo non è nato libero. Fu creato per servire il dio e questa condizione di schiavitù lo accompagnerà per tutta la sua esistenza. Ecco perchè nella sfera sociale, l'uomo non lavoro per sè, ma per il dio, che è rappresentato dal suo sacerdote-re.

Da qui la mancanza di ogni individualità: tutti insieme svolgono il compito di lavorare il campo del dio Ciò che essi producono non è loro, ma del dio, e, quindi, va portato al tempio il quale diventa il centro motore ( Oates, 1979: 25 ) di tutta la vita associata.

Il singolo non c'entra. E' la società, nel suo insieme, che è vissuta come organismo, di cui, tutt'al più, il singolo è una cellula. Il tempio, a sua volta, per essere gestito e per gestire la società, ha bisogno di tutta una serie di uomini, che svolgano i compiti richiesti dall'organizzazione sociale: amministratori, giudici, ecc.

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mercoledì 21 marzo 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (50)

L’UOMO FORMA LE PRIME GRANDI CIVILTA’(2)

La civiltà egiziana raggiunse il suo massimo sviluppo mentale sotto la terza dinastia, poi fu la storia di una lunga stagnazione. "Sono poche le cose di una certa importanza dell'Egitto dei faraoni che non abbiano le loro radici in quel grande periodo di creatività " (Frankfort, 1951: 50).

La civiltà Mesopotamica conobbe il suo massimo sviluppo sotto l'impero babilonese, anche se esso non aggiunse molto al patrimonio dei Sumeri. Quest'ultima civiltà, tuttavia, raggiunse risultati più avanzati rispetto a quella egiziana a causa del suo assetto politico più dinamico di quello egiziano.

Essa vide coinvolti, in periodi diversi, diverse etnie (i Sumeri, che erano di stirpe indoeuropea, e i Semiti, che erano di stirpe camitica), e diverse entità politiche , le quali, dopo "aver assorbito, assimilato, appreso gli elementi della civiltà babilonese nello stesso modo come avevano fatto tutti gli altri invasori semitici di questa antica pianura " (Breasted, 1916: 168) aggiunsero sempre il loro contributo originale, anche se molto limitato, alle conoscenze preesistente.

Insomma, in Mesopotamia si ha una limitata dinamicità, rispetto alla totale stagnazione della civiltà egiziana. Ma, comunque, il livello di struttura mentale non cambiò di molto. "Lo spostamento del centro del potere, nel terzo millennio, da Sumer, nell'estremo Sud, a Babilonia, al centro, e,nel secondo millennio, all'Assiria, nell'estremo Nord, portò con sè importanti cambiamenti culturali.

Nonostante questi cambiamenti, la civiltà Mesopotamica non perse mai la sua identità; la sua 'forma' fu modificata dalla sua turbolenza politica, ma non fu distrutta " (Frankfort, 1951: 51).

Queste civiltà non raggiunsero mai la struttura mentale del pensiero operatorio. Esse rimasero al di qua di questa soglia, anche se avevano prodotto tutti gli elementi per superarla.

"Quando cerco di vedere l'universo come un babilonese lo vedeva intorno al 3000 avanti Cristo, io devo trascinarmi indietro fino alla mia infanzia. All'età di circa quattro anni, io avevo ciò che sentivo fosse una soddisfacente comprensione di Dio e del mondo.

“Ricordo una volta che mio padre puntò il dito al bianco soffitto e mi spiegò che Dio era lassù che mi guardava. Mi convinsi subito che i danzatori [dipinti sul soffitto] fossero Dio e da allora in poi rivolsi le mie preghiere a loro, chiedendo protezione contro i terrori del giorno e della notte.

Allo stesso modo, io credo, apparvero come divinità viventi ai babilonesi e agli egiziani le luminose figure nel buio soffitto del mondo. I Gemelli, l'Orsa Maggiore, erano a loro familiari come lo erano i danzatori a me; essi erano considerati molto distanti ed erano investiti del potere di vita e di morte, del raccolto e della pioggia " (Koesler. 1959: 19).

Esse avevano creato una civiltà raffinata e complessa. Guardando al passato da cui provenivano, quello dell'uomo neolitico, esse avevano impresso un forte impulso all'evoluzione della specie umana: un grande salto di qualità all'intelligenza dell'uomo.

Quello che a noi moderni, che abbiamo percorso tanta strada grazie alle loro conquiste, sembra primitivo e infantile (addirittura per bambini di quattro anni, dice Koesler) , in realtà costituiva la massima espressione dell'evoluzione del pensiero dell'uomo.

Esse avevano toccato la punta massima del loro sviluppo, oltre il quale non seppero e non potevano andare; anche se esse stesse, con la massa di conoscenze che avevano acquisito nei secoli, avevano creato le premesse per un nuovo balzo in avanti.

In termini piagetiani, la loro maturità, cioè, il loro massimo livello di struttura mentale (che Piaget chiama forma), costituiva il contenuto della civiltà successiva. Toccherà ad altri popoli creare una nuova sintesi, una nuova organizzazione delle conoscenze, e far fare un salto in avanti all'intelligenza dell'uomo.

Ma questo nuovo popolo, questa nuova civiltà , avrebbe dovuto prima assimilare e fare proprio tutto le conoscenze delle civiltà che l'avevano preceduto.

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sabato 17 marzo 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (49)

L’UOMO FORMA LE PRIME GRANDI CIVILTA’(1)

Ma il processo mentale si era concluso, anche se in un arco di tempo di 4000 anni circa. La nuova struttura mentale lo rendeva capace di applicare questo processo ad altre invenzioni o scoperte, ma non attraverso il ragionamento logico, ma attraverso il ragionamento transduttivo, cioè, come analogia immediata. L'analogia immediata era la forma di pensiero che aveva sviluppato nel corso del tempo.

"Gli egiziani, per esempio, credevano nell'immortalità e così seppellivano i loro morti con vestiti, utensili, gioielli ed altre cose che potevano essere utili nell'al di là. Il loro ragionamento era che, poichè questi articoli erano richiesti nella vita terrena, essi erano necessari anche nell'al di là " (Kline, 1964: 25).
Così il tempo intercorrente tra un'invenzione e l'altra si ridusse moltissimo. La cottura, ad alta temperatura, della terracotta portò alla fusione del rame (che era già usato come minerale) più o meno nello stesso periodo.

Nell'arco di un millennio circa si creò l'ossatura principale di una civiltà nuova nella storia. Le invenzioni e le scoperte si susseguirono a cascata ( Birdsall-Cipolla, 1980 ). "Dopo la scoperta della fusione dei metalli, si accumulò tutta una serie di nuove invenzioni e si acquisirono nuove tecniche con l'esuberanza di un mondo nuovo in fermento" (Hawkes-Wooley, 1963: 564).

Ma era un mondo che aveva già raggiunto il suo apice, il suo massimo sviluppo intellettuale e quello tecnico organizzativo. Questo massimo sviluppo l'aveva raggiunto quando aveva dato vita ad una civiltà mai vista nella storia.
Dopo di che è entrato in una fase di stagnazione intellettuale e materiale che sarebbe potuta durare indefinitivamente se non ci fossero stati altri popoli (il proletariato esterno di Toynbee) che, facendo proprio il patrimonio elaborato da queste prime civiltà, maturavano, attraverso una propria ed originale rielaborazione, un nuovo livello di struttura mentale.

" Ciò che può essere definita la prima rivoluzione industriale nella storia umana era terminata prima del 2500 avanti Cristo. Fu una rivoluzione che era iniziata con l'invenzione della agricoltura e le tecniche che essa aveva elaborato, le quali si svilupparono in quel grande periodo delle invenzioni che abbraccia i due millenni prima del 3000 avanti Cristo e che, poi, con miglioramenti tecnici e di scala piuttosto che con innovazioni fondamentali, continuò fino al 2500 avanti Cristo.

Ma dopo quella data, incominciò la stagnazione e, per molti secoli, si fecero solo lievi progressi. Non solo i progressi fondamentali cessarono per un lungo periodo, ma anche le tecniche, le cui idee di base erano state elaborate precedentemente e che, con un altro piccolo sforzo, che a noi sembra ovvio, avrebbero potuto creare grandi miglioramenti, non conobbero alcun progresso fino al medioevo " (Lilley, 1948: 15-16).

Raggiunta la grande conquista della rivoluzione agricola, che le aveva fatte uscire dal nomadismo e dalla polverizzazione dei gruppi sociali per istituire una civiltà sedentaria, esse non seppero aggiungervi altro.

Esse avevano prodotto il loro massimo paradigma culturale ed intellettuale, all'interno del quale rimasero per tutto il resto della loro storia. Per andare oltre, esse avrebbero avuto bisogno di nuove energie, non condizionate, che sapessero elaborare un nuova sintesi, un nuovo paradigma, dalle conoscenze che esse stesse avevano accumulato nel frattempo.

Ma esse subivano, dall'interno, i condizionamenti del paradigma. Solo un nuovo popolo poteva elaborare una nuova sintesi, i cui elementi erano già belli e pronti, e questo popolo doveva essere quello greco.

"Gli egiziani, come è noto, non possedevano il dono della concettualizzazione e questo li distingue da quei naturali generalizzatori che furono i greci, i quali non potevano collegare due fatti senza creare una nuova teoria" (Green, 1989: 87).
Tutte le conoscenze tecniche, matematiche e culturali in genere, prodotte da queste prime civiltà, servirono ai greci per elaborare il nuovo paradigma, il nuovo livello di struttura mentale: il pensiero logico concreto.

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lunedì 12 marzo 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (48)

L’UOMO IMPARA AD ASSOCIARE LE INFORMAZIONI

Questa evoluzione è continuata senza soluzione di continuità fino alle prime grandi civiltà: quella sumerica-babilonese e quella egiziana. Erano le necessità stesse della nuova organizzazione produttiva e sociale che spingevano l'uomo ad una serie di scoperte ed invenzioni.

Naturalmente questo non significa che ci fu una cascata di invenzioni e scoperte. Le prime invenzioni e scoperte richiesero millenni. E, tra l'una e l'altra, lo spazio di tempo era abissale, almeno secondo i tempi dell'età moderna. Ma queste nuove abilità, queste nuove conoscenze acquisite, facevano aumentare a dismisura l'esperienza e le capacità intellettive dell'uomo.

Le informazioni, che egli accumulava lentamente, ma progressivamente, man mano affinavano il suo modo di pensare. Egli prendeva progressivamente coscienza che egli era una realtà distinta dal mondo fisico (soggettivismo), mentre prima si confondeva con esso (realismo assoluto), anche se rimaneva in lui l'anelito a riunificarsi con esso ( Hawkes-Wooley, 1963: 206 ).

Anche la lingua si arricchiva. Ai nuovi oggetti, alle nuove funzioni, bisognava dare un nome. E questa espansione della lingua lo metteva in condizioni di esprimere le nuove funzioni che egli man mano maturava nella sua esperienza storica; cioè, lo metteva in condizioni di esprimere un pensiero più articolato, capace connettere una maggiore quantità di informazioni.

Fu proprio questa progressiva evoluzione della struttura mentale, attraverso il processo descritto, e questa conseguente capacità di collegare, associare informazioni diverse, che rese possibile l'intensificazione dello sviluppo e l'accorciamento dell'intervallo di tempo intercorrente tra un'invenzione e l'altra.

Per inventare la terracotta ci vollero circa duemila anni dopo la scoperta dell'agricoltura. Il processo mentale che questa invenzione implicava, per quanto a noi moderni possa sembrare semplice, era complesso per lui che non possedeva alcuna informazione. E le informazioni poteva acquisirle solo dall'esperienza quotidiana.

Sapeva che il cibo cotto era più buono; sapeva, anche, che era il fuoco che cuoceva; sapeva che la creta esposta al sole si induriva; sapeva, anche, che il fuoco scaldava come il sole. Ma non possedeva la struttura mentale idonea per collegare o mettere in relazione queste informazioni.

Egli era capace di concentrare la sua attenzione solo su una di queste relazioni per volta. Solo col tempo egli riuscì a collegare le due informazioni, ma non come ragionamento logico (le civiltà dell'Antico Oriente non arrivarono alla logica), ma come trasposizione.

Il processo mentale che egli seguì fu quello della fusione dei casi individuali nel tempo. Nel 7500 a.C. circa, la terracotta veniva essiccata al sole. Per capire che tra il calore del sole e quello del fuoco ci poteva essere una relazione, e quindi il fuoco poteva sostituire il sole, ci vollero 2500 anni.

E, in effetti, le prime terracotta cotte al fuoco apparvero nel 5000 a.C. circa. Ma erano terracotte friabili e fragili perchè cotte a basse temperature. Per scoprire le alte temperature, e produrre una terracotta forte e durevole, impiegò altri 2000 anni.

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lunedì 5 marzo 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (47)

L’UOMO RIVOLUZIONA IL MONDO DELLA PRODUZIONE DI CIBO

Quando inizia la sua nuova e rivoluzionaria attività di agricoltore, egli è in possesso di tutti questi strumenti del pensiero: sa osservare la realtà, ma non sa andare al di là del caso singolo; l'insieme e le sue interrelazioni sono al di fuori della sua portata e lo rimarranno per tutto lo svolgimento storico delle prime civiltà.

Le conoscenze che acquisisce non le attribuisce a se stesso, ma ad un dio e quindi esse non hanno un valore dinamico: non servono per creare altre conoscenze, ma hanno un valore statico.

sono esperienze che egli immagazzina per utilizzarle nella vita quotidiana o per consegnarle ai posteri attraverso il racconto orale. sa rappresentarsi la realtà, cioè, sa evocare immagini di oggetti assenti, ma non è ancora in grado di formarsi un concetto generale degli elementi di conoscenza, rimanendo a mezza strada (pensiero pre-concettuale).

Man mano che modificava il suo assetto di vita, l'uomo evolveva nei suoi livelli di struttura mentale. "Ogni arnese [che costruiva] era una nuova invenzione, o piuttosto era il punto di partenza di una serie di nuove invenzioni, ognuna delle quali era suscettibile di miglioramento, che veniva introdotta gradatamente " (Sarton, 1953: 4).

Le nuove informazioni, che acquisiva attraverso questa sua febbrile attività di costruttore ed organizzatore sociale, anche se le attribuiva ad un dio, costituivano il veicolo attraverso il quale le sue capacità intellettive si modificavano e si evolvevano.

Oggi sappiamo che il cervello umano, nel momento in cui assorbe ed elabora informazioni, cambia anche nella sua struttura e si evolve. "Il suo hardware, che è costituito da trenta miliardi di cellule nervose, i neuroni, cambia a causa degli innumerevoli messaggi che determinate sostanze chimiche, i neurotrasmettitori, fanno rimbalzare da una cellula all'altra. Quella rete mirabilis, come è stata chiamata, che lega tutte le cellule in conseguenza degli stimoli esterni, si modifica e si evolve " (Costa, 1986).

Questo è stato il processo attraverso il quale l'uomo ha modificato i suoi livelli di struttura mentale. Egli è partito con un cervello che possedeva solo gli istinti primordiali: la paura, l'aggressività e il sentimento; per il resto egli era una tabula rasa.

Man man che riceveva degli stimoli esterni, egli agiva sotto gli impulsi dell'istinto e ne interiorizzava l'azione, che diventava, per ciò stesso, un'informazione. Dall'associazione delle azioni interiorizzate (informazioni) egli ricavava dei messaggi (l'uomo di Neandertal era solo alla stadio dell'informazione interiorizzate, solo l'uomo di Cro-Magon arrivò allo stadio dell'associazione).

"originariamente il principio generale dell'associazione era strettamente connesso con il problema della rievocazione: il principio afferma che quando un qualche evento o esperienza passata viene rievocata, l'atto stesso della rievocazione tende a riportare alla coscienza tutti gli altri eventi o esperienze che hanno una qualche relazione con l'evento o l'esperienza rievocata " (Britannica, 1962, II: 563).

Questi messaggi rievocati causavano una maggiore specializzazione del cervello, che acquisiva, così, nuove capacità, le quali lo mettevano in grado di rielaborare una maggiore quantità di informazioni.

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lunedì 27 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (46)

L’UOMO COSTRUISCE I SUOI MITI

E' in questo mondo pre conscio che egli incomincia a darsi le prime spiegazioni del mondo reale, le prime giustificazioni della sua esistenza e dell'ordine stabilito delle cose.

E' in questo stadio che incomincia ad attribuire poteri soprannaturali agli elementi del mondo fisico che più colpiscono la sua fantasia, che lo terrorizzano con la loro potenza.

Questo fu lo stadio della formazione embrionale dei grandi miti e della nascita della religione (Campbell, 1959: 275). " Lo spirito primitivo non inventa i miti: li vive. I miti sono, originariamente,rivelazioni dell'anima pre-cosciente, involontarie testimonianze di processi psichici inconsci e tutt'altro che allegorie di processi fisici " (Jung-Kerènyi, 1972: 113).

Per questa attività di pensiero egli ha bisogno di simboli. Sono immagini che egli ricava dalle azioni reali (pensiero simbolico). E "l'immaginazione deve usare materiali che provengono dalla esperienza per costruire le sue creazioni e, per quanto possa combinarle fantasticamente, poichè l'esperienza dell'uomo primitivo era molto limitata... i miti che registrano queste creazioni si muovono su sentieri ristretti" ( Shotwell, 1961: 42 ).

Quando egli entra nella fase dell'agricoltura nascono i grandi miti della fertilità. I primi dei che egli creò furono femminili (specialmente quelli della fertilità e della produzione in genere) in analogia a quanto osservava in natura: la donna era prolifica, dava al maschio dei figli e partecipava allo stesso ciclo della natura.

L'uomo stesso era parte integrante della natura. La sua identificazione con essa era perfetta. Nelle " ... culture che hanno la loro base economica nella caccia, nell'allevamento e nell'incipiente agricoltura... la religione è generalmente caratterizzata dalla partecipazione. L'uomo si identifica con le forze e gli elementi primitivi della natura da cui dipende la sopravvivenza, per mezzo della magia simpatetica, mimandoli.

“Così, attraverso una diretta e magica identificazione con essi e attraverso l'imitazione precisa dei loro atti, l'uomo riesce ad assicurarsi che essi continuino ad essere presenti e ad agire correttamente in ogni momento di transizione, anno dopo anno. L'uomo... è dio, per dirla all'europea; è lui che crea tutto e attraverso l'azione mimata del dramma si assicura la prosperità nell'anno che inizia " (Jacobson, 1975: 68).
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martedì 21 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (45)

L’UOMO IMPARA A FORMULARE IL PENSIERO

L'Homo sapiens fu il primo, almeno per le conoscenze che possediamo fino a questo momento, a saper dare un ordine alle parole per formulare il pensiero e così equipaggiato andò alla conquista del mondo fisico.

E, man mano che la sua esperienza materiale ed intellettuale cresceva, egli maturava una nuova forma di pensiero, che inglobava le forme precedenti, ma era qualitativamente diverso.

Egli incominciò la sua esperienza intellettuale confondendo se stesso con il mondo fisico circostante. La coscienza della sua individualità era al di là da venire. Anche la formulazione del pensiero non fu un atto cosciente.

Egli non "pensa coscientemente bensì i pensieri semplicemente si presentano" (Jung-Kerènyi, 1972: 112). La realtà del mondo fisico circostante è assimilata alla propria attività (egocentrismo) in cui i dati percettivi svolgono un grande ruolo (realismo).

Egli è attivo e vivente e. allora, concepisce tutto come vivente e dotato di intenzionalità (animismo). Il fuoco, le acque, gli alberi, le nuvole, il cielo: tutto è vivente e dotato di poteri vastissimi di cui egli ha terrore.

Ogni sua azione ha uno scopo, una finalità e, allora, tutto ha una finalità ultima (finalismo): la natura, il mondo fisico è fatto per l'uomo. Egli costruisce da solo i propri utensili e, allora, pensa che tutto sia stato costruito "da un'attività divina che opera secondo le regole della costruzione umana" (artificialismo) (Piaget, 1967: 36).

L'atteggiamento tipico della mentalità dell'uomo primitivo è quello secondo il quale, creata la funzione, lentamente e nel tempo, essa non veniva attribuita a se stesso (l'uomo non ha ancora coscienza di sè), ma veniva attribuita al dio (Turner, 1941: 74), a cui egli dava il nome.

Così veniva giustificata la nuova funzione, ma non spiegata. La mentalità dell'uomo, a questo stadio. non è in grado di spiegare alcunché; può solo giustificare l'ordine esistente, attribuendone l'istituzione ad una divinità.
E quest'ordine diveniva una norma che non poteva essere trasgredita. Per i trasgressori c'era la punizione, ma non verso i singoli(l'individualità era di là da venire), ma verso la collettività a cui essi appartengono.

L'ordine esistente era retto dall'obbedienza. Ogni fenomeno, che si verificava in natura, era il prodotto di un dio. Il concetto di causa materiale era al di fuori delle sue possibilità intellettive e lo rimarrà per lungo tempo nella storia dell'uomo.

Egli vedeva l'universo come l'intergioco di forze demoniache. In questo gioco di forze, egli poteva inserirsi solo con la magia per influenzare il dio e costringerlo ad agire secondo i suoi desideri (Mella,1978:38-40). "In questo stadio primitivo, l'uomo si trova in una condizione pre religiosa " (Cornfort, 1912: 78). Il suo è un pensare per analogie immediate (pensiero transduttivo).

Il realismo, l'egocentrismo, l'animismo, il finalismo e l'artificialismo sono le prime forme di pensiero maturate dall'uomo primitivo (Petter, 1966: XVIII). Esse avevano come supporto d'insieme il sincretismo; cioè, la capacità di " legare ogni cosa a tutto grazie a precollegamenti soggettivi " (Piaget, 1966: 170). Il realismo dell'uomo primitivo era assoluto: tra il proprio io e il mondo esterno c'era una perfetta identificazione. Egli non ha alcuna coscienza del suo pensiero.

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mercoledì 15 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (44)

L’UOMO IMPARA A MODIFICARE L’AMBIENTE

Le singole e frammentarie conoscenze acquisite dall'uomo di Cro-Magnon costituiscono la base di partenza della superiore esperienza dell'Homo sapiens. La via era stata indicata: fortuità, risposta ad una sfida e/o curiosità cosciente. Così vennero tutte le altre conquiste culturali dell'uomo: dall'invenzione dell'agricoltura alla organizzazione sociale.

Era l'evoluzione biologica che prendeva un'altra strada: non era più l'uomo che mutava per adattarsi all'ambiente, ma era l'ambiente che veniva mutato per essere adattato alla sopravvivenza dell'uomo.

E questo avveniva grazie a quella massa grigia di cui la natura aveva inspiegabilmente dotato l'uomo. Sin dall'uomo di Neandertal, essa aveva raggiunto la sua maturità fisiologica completa; uguale a quella che noi possediamo oggi (Jones, 1941: 7.

Ma era una massa che non serviva a nulla, almeno nell'immediato, Era lì nella scatola cranica, pronta all'uso, con le stesse potenzialità che noi le riconosciamo oggi, ma inservibile e di nessuna utilità immediata per l'uomo.

Le sue potenzialità erano e sono enormi. Nemmeno oggi esse vengono utilizzate a pieno. Sembra che se ne utilizzano solo il tre per cento. Ma era ed è la carta vincente dell'uomo. Una carta il cui valore non esiste a priore;cioè, il suo valore non è bello e pronto per essere usato, ma esso va costruito dall'uomo secondo certe regole ben precise.

Ed esso non ha un valore fisso ed univoco nel tempo. Esso muta nella storia. Ogni epoca storica ha dato alla sua carta il massimo valore che era capace di esprimere, sia verso l'alto, sia verso il basso.

In breve, il suo valore dipende dalle abilità acquisite dall'uomo e dalla sua capacità di adattamento in una determinata epoca storica.

Queste sono le due classiche definizioni dell'intelligenza dell'uomo, ossia della sua struttura mentale, che non è mai stata uguale nel tempo, ma si è evoluta costantemente, anche se non in modo continuativo, per cui parliamo di livelli di struttura mentale o grado di intelligenza.

L'uomo di Neandertal era ancora dominato dagli istinti in cui predominavano la paura e l'aggressività. Egli non aveva maturato alcuna attività mentale che non fosse legata alla meccanicità istintuale.

Ma aveva appreso a dare una prima forma ai suoni ed ai rumori che emetteva per trarne delle parole che designassero le cose in cui si imbatteva.

Ma erano parole non coordinate tra di loro. Ognuna esprimeva e indicava una cosa. Egli era assolutamente incapace di dare ad esse una sequenzialità per trarne un pensiero. Cioè, egli aveva appreso, se vogliamo, a ricavare delle singole informazioni dalla sua esperienza quotidiana, ma non aveva appreso a saperle collegare per ricavarne un messaggio, cioè un pensiero compiuto.

Egli era come il bambino che ha appena imparato a camminare in posizione eretta e a pronunciare alcune parole come "papà", "mamma", "genitori", ecc., ma non ha ancora maturato la capacità di metterle insieme per ricavarne un pensiero semplice e di senso compiuto come "papà e mamma sono i miei genitori".

Nè poteva essere diversamente. Le potenzialità del cervello vanno sviluppata gradatamente, con passaggi obbligati e consequenziali, almeno così ci dice l'ontogenesi nella vita dell'individuo (Bruner, 1965: 71-78) nella nostra esperienza quotidiana.

Nella filogenesi, cioè nella storia evolutiva dell'uomo, è avvenuta la stessa cosa. Ogni stadio, dal livello sensomotorio dell'uomo primitivo a quello operatorio formale dei nostri giorni, è stato preparatorio dello stadio successivo e senza quello non si sarebbe potuto avere questo.

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martedì 7 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (43)

L’UOMO IMPARA A RISPONDERE ALLE SFIDE DEL MONDO FISICO

E' con l'uomo di Cro-Magnon che si fa il primo balzo definitivo. Egli è l'erede della esperienza dei suoi predecessori (Jones, 1941: 7). Le sue qualità intellettuali si sono affinate. Egli è capace di formulare il pensiero, anche se ancora in forma embrionale.

Sa evocare e rappresentare immagini. Ha inventato nuovi utensili che gli consentono di cacciare i grossi animali. Ha capacità selettive. Ha creato la prima società allargata a più nuclei familiari. E' capace di fare la prima e grossolana organizzazione delle informazioni per ricavarne nuove conoscenze.

I fenomeni della natura non sono accettati passivamente e con terrore panico, ma vengono rozzamente interpretati come l'attività di entità coscienti e volitive che egli può influenzare attraverso la rappresentazione mimetica.

In breve, avendo acquisito l'abilità del pensiero ed essendo in possesso di un relativamente evoluto mezzo di comunicazione orale, egli ha posto le basi della futura evoluzione culturale e psicologica della società umana.

Le sue rappresentazioni mentali erano strettamente legate alla sua limitata esperienza di vita. Era il mondo quotidiano che gli forniva la possibilità delle prime associazioni: le difficoltà incontrate nelle caccia grossa; l'impossibilità di abbattere un animale troppo grosso, magari gli suggeriva l'invenzione di un nuovo utensile che ovviasse al problema.

La difficoltà di difendersi adeguatamente dal freddo gli suggerì di coprirsi con le pelli degli animali uccisi e, successivamente, di unire più pelli per avere una protezione maggiore.

L'uomo di Cro-Magnon non dava più risposte meccaniche alle sfide quotidiane, come avevano fatto i suoi predecessori. Egli aveva imparato, in forma inconscia, ad utilizzare quella massa di neuroni che si era formata nella lunga storia dell'evoluzione biologica dell'uomo e che non era necessaria per la coordinazione dei movimenti e la ripetizione meccanica delle azioni.
Egli aveva imparato, senza averne coscienza, che essa serviva per capire la realtà che lo circondava e che gli poneva sfide quotidiane.

Il suo era un capire rudimentale e semplice. Non era ancora in grado di associare o interconnettere più informazioni. Erano semplici idee che maturavano alla luce della esperienza, magari fortuita.

Era in possesso del fuoco, ed era un mangiatore di carne. Forse l'accidentale caduta di un pezzo di carne sul fuoco o il cosciente tentativo di mettere un pezzo di carne sul fuoco per vedere cosa succedeva, gli fece scoprire che la carne cotta era migliore e quindi ne acquisì l'idea.

Così nacquero tutte le altre esperienze dell'uomo sapiens: casi fortuiti o tentativi coscienti per superare una difficoltà o per soddisfare una curiosità. "Il primo passo verso la conoscenza scientifica è costituito dalla meraviglia e dalla curiosità" (Sedgwick-Tyler, 1917: 5).

Quest'ultima fu una molla allo sviluppo che non bisogna sottovalutare. La curiosità è nata con l'uomo ed è stata una delle fonti principali della sua evoluzione culturale. "La curiosità esplorativa dell'uomo, il suo gusto per l'imitazione, e per la manipolazione fine a se stessa, senza il proposito di ulteriori ricompense, erano già visibili nei suoi antenati scimmieschi " (Mumford, 1969: 19).

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mercoledì 1 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (42)

L’UOMO CREA LE PREMESSE DELLA CIVILTA’

Con l'uomo di Neandertal, invece, si fa un salto in avanti piuttosto rilevante, ma ancora non decisivo nell'utilizzazione delle capacità intellettuali.

Infatti, egli costruisce utensili piuttosto perfezionati. Confeziona i primi rudimentali indumenti (Birdsell, 1975: 324). Conosce l'uso del fuoco, che d'altronde era conosciuto anche dal Pitecantropo, ma non era ancora del tutto in possesso della tecnica dell'accensione (Oakley, 1962: 181). Ha formato il primo embrione di famiglia, dove predomina ancora l'incesto. Dà sepoltura ai propri morti e introduce le prime forme di culto (Oakley, 1962: 324).

Il culto dei morti fu la prima forma di attività propriamente intellettuale dell'uomo. Egli ebbe per prima la confusa coscienza che partecipasse al ciclo della natura. E, in natura, tutto ciò che moriva ritornava a nuova vita. Quindi, anche per l'uomo ci doveva essere una rinascita.

Questa conclusione non fu raggiunta attraverso una ragionamento logico, ma fu raggiunta attraverso la sentita e confusa partecipazione al mondo fisico con il quale si confondeva. Da qui nasce il culto dei morti. Essi ritornano a nuova vita. Prima come demoni, che devono essere placati, e , successivamente, come numi tutelari.

L'uomo di Neandertal aveva creato le premesse per il salto definitivo nello sviluppo delle capacità intellettive dell'uomo, ma era incapace di farlo egli stesso perchè non aveva ancora maturato la capacità di formulare il pensiero, pur essendo in possesso di una forma rudimentale di linguaggio.

La sua azione rimaneva dominata dagli istinti. I suoi utensili, per quanto perfezionati, non gli consentivano di affrontare, in forma stabile e con successo, la grande sfida della caccia grossa (Wymer, 1982: 161). Egli era dedito principalmente alla piccola caccia indiscriminata, non avendo ancora maturato la capacità di selezione.

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venerdì 27 gennaio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (41)

LE PRIME ESPERIENZE DELL’UOMO

L’uomo iniziò la sua esperienza come raccoglitore-cacciatore. La prima non presentava grosse difficoltà ed era una pratica che egli conosceva molto bene in quanto praticata anche nello stadio precedente.

La seconda, invece, richiedeva una abilità ed una destrezza che presupponevano una diversa e più efficace utilizzazione e delle mani e del cervello (Lee-De Vore, 1968). Egli aveva a che fare con bestie che erano sempre più veloci e, molto spesso, anche più forti di lui.

Se voleva avere successo, doveva supplire alle deficienze naturali con arnesi inventati e creati da lui per essere utilizzati come ausilio (Aitchison, 1960: 2). Da qui non ci volle molto per capire che una pietra aguzza su cui era caduto ferendosi, o in cui si era imbattuto, poteva diventare un arnese che poteva essere utilizzato a suo vantaggio, o che un pezzo di legno con cui, magari, aveva battuto i rami di un albero per far cadere dei frutti, poteva essere utilizzato diversamente.

Tutte le informazioni che egli aveva acquisito nello stadio preumano (Jones, 1941: 6), e che era riuscito ad organizzare in immagini mentali, venivano utilizzate per ricavarne una conoscenza diretta ad altri scopi.

Era l'inizio dell'avventura intellettuale dell'uomo. Egli non poteva avvalersi di alcun sapere o conoscenza prodotta prima di lui. Egli rappresentava, in senso filogenetico, l'infanzia dell'umanità.

Lo stato mentale era, in effetti, una tabula rasa. Tutto doveva essere creato, inventato, scoperto (Breasted, 1916: 2). E tutto fu creato, inventato e scoperto in forma semplice e rudimentale, come semplice e rudimentale è la produzione del bambino dei nostri giorni(Bruner, 1965: 71-80), in senso ontogenetico, prima che acquisisca e faccia proprio l'eredità sociale delle generazioni presenti e passate attraverso la comunicazione del processo educativo.

L'australopiteco aveva iniziato questa sua attività "creatrice" lavorando il primo utensile della storia: la pietra spezzata da una parte per renderla tagliente. Questo fu il suo massimo contributo alla storia dell'uomo, ma fu un contributo molto importante in quanto fissava l'inizio di un'attività sconosciuta al regno animale e tipica dell'uomo: la creazione di utensili da utilizzare in modo cosciente e "intelligente".

Anche le scimmie sono capaci di svolgere delle attività (Kurland-Beckerman, 1985: 73-93), che possono sembrare intelligenti, ma, in realtà, si tratta di azioni meccaniche, ripetitive, svolte in modo inconscio. Insomma, esse utilizzano degli utensili, ma non sanno fabbricarli (Grassi, 1978). "E, sebbene quest'ultima attività si sia sviluppata dalla prima, c'è un'abissale differenza tra l'uso e la fabbricazione di utensili " (Graham, 1962).

La tecnica della pietra spezzata fu successivamente perfezionata dal Pitecantropo, il quale moltiplicò le operazioni su una stessa scheggia fino ad ottenerne una specie di lama regolare. E questo fu il massimo sforzo intellettuale che il Pitecantropo seppe fare: oltre non seppe andare.

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sabato 21 gennaio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (40)

L'UOMO ARRIVA ALLA FORMULAZIONE DEL PENSIERO

Con il successivo uomo di Neandertal (o Homo faber) si raggiunge il primo traguardo definitivo dell'evoluzione biologica: la capacità della scatola cranica raggiunge la sua massima espansione, 1450-1600 cm. cubici, ma le sembianze conservano tratti ancora molto primitivi.

E' con l'uomo di Cro-Magnon che l'uomo raggiunge la stabilizzazione della sua morfologia attuale. Ma quale differenza tra i due! L'uomo di Neandertal, pur possedendo le stesse potenzialità biologiche e neurologiche dell'uomo di Cro-Magnon e pur avendo raggiunto per primo la stabilizzazione della capacità della scatola cranica, non aveva ancora maturato la capacità di pensare.

L'uomo di Cro-Magnon fu, per quello che ne sappiamo, la prima creatura capace di formulare il pensiero. Ci vollero 100.000 anni per raggiungere questa abilità, tanti quanti ne intercorsero, più o meno, tra la comparsa dell'uomo di Neandertal, che aveva una massa cerebrale identica alla sua, ma non sapeva utilizzarla per la formulazione del pensiero, e la sua comparsa che, invece, sapeva farlo. Come ci volle quasi un milione di anni perchè l'uomo sviluppasse la massa cerebrale della neocorteccia che, ai fini delle ordinarie funzioni corporee, non gli era necessaria.

Con l'uomo di Cro-Magnon, l'evoluzione biologica e morfologica si era conclusa completamente e iniziava quella straordinaria evoluzione culturale, che renderà l'uomo padrone assoluto del mondo fisico e lo spingerà a travalicarlo per indagare sui grandi segreti dell'universo alla ricerca della sua provenienza e del senso della sua esistenza.

Questa evoluzione culturale è strettamente connessa con la massa cerebrale della neocorteccia, che con i suoi 30 miliardi di neuroni, ha dato all'uomo il più formidabile strumento per superare tutti gli svantaggi della sua specie.

Sin dal suo primo sorgere, infatti, egli si presenta svantaggiato rispetto agli altri mammiferi. Ha qualche bisogno in più ed è molto più debole. A suo vantaggio aveva la versatilità delle sue mani, le potenzialità di un linguaggio e le sconosciute capacità del suo cervello.
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lunedì 16 gennaio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (39)

L’EVOLUZIONE CULTURALE DELL’UOMO

Prima dell'uomo di Cro-Magnon, la storia dell'uomo è stata la storia della sua evoluzione biologica. L'evoluzione culturale, anche se presente, era insignificante, ma essenziale per l'evoluzione successiva: in effetti, essa creò le basi su cui sarà edificata la futura capacità intellettiva dell'uomo.

L'australopiteco (o grande scimmia antropomorfa del Sud), la prima creatura a camminare in posizione eretta, morfologicamente aveva le sembianze più dello scimpanzè che dell'uomo. La sua scatola cranica non superava i 700 cm cubici, "cioè, poco più di quella del gorilla".

La deambulazione in posizione eretta era biologicamente svantaggiosa. L'apprendimento della coordinazione dei movimenti, nella nuova posizione, richiese un periodo molto lungo e la posizione quadrupede non scomparve mai del tutto. Essa ritornava ogni qual volta le necessità lo richiedevano.

Con il Pitecantropo (o uomo-scimmia), che troviamo subito dopo l'australopiteco nella catena dell'evoluzione dell'uomo, la posizione bipede è ormai stabilizzata e la sua morfologia presenta qualcosa di umano, ma i tratti fondamentali rimangono ancora scimmieschi.

La sua scatola cranica subisce un'evoluzione piuttosto rilevante. Infatti, essa può contenere una massa di 1000 cm cubici, trecento in più dell'australopiteco. E questo è un dato molto significativo. "L'uomo non nasce come essere umano nel pieno senso culturale del termine... egli nasce come un organismo biologico grezzo con degli istinti e dei bisogni primari, come quelli del cibo, del riparo e del sesso" (Ratner, 1941: 97-98).

La posizione eretta provoca in lui un doppio mutamento: nella morfologia, gli fa perdere le sembianze scimmiesche per assumere quelle che poi noi chiameremo umane; nella scatola cranica, provoca una crescita nella massa che essa contiene e questo costituisce una straordinaria e rivoluzionaria mutazione biologica, forse la più importante: quella che rese l'uomo capace di creare se stesso e le sue civiltà.

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