lunedì 16 giugno 2008

IL NEOLIBERISMO CONTRO IL WELFARE STATE:LA DEREGULATION

Il Welfare State, dopo oltre cinquant’anni di esistenza, ha dimostrato i suoi limiti. La ricchezza che esso assorbe è enorme. In Inghilterra esso assorbe oltre il 30 per cento del prodotto nazionale lordo (PiL), in Italia viaggia intorno al 30, così in Germania federale , nel Belgio e in Olanda.

I servizi che esso fornisce sono spesso di pessima qualità e ha sviluppato una macchina burocratica elefantiaca. Alcune aree sono state super garantite, altre sono rimaste a livello di sopravvivenza. Gli sprechi sono enormi. I conti economici dello Stato sono saltati. Lo Stato spende di più di quanto incassa. I deficit accumulati sono paurosi.

L'Italia ha un debito pubblico che viaggia oltre il 100 per cento di tutto quello che riesce a produrre in un anno (PiL). L'inflazione è diventata un male endemico, più che una malattia ricorrente, come lo era nel passato.

Paul Samuelson, premio Nobel per l'economia, ha detto che questo è il prezzo che si paga per la disumanità dell'umanità dell'uomo verso l'uomo: quando un disoccupato percepisce un sussidio, che gli garantisce di che vivere, non è disponibile ad accettare un posto di lavoro non gradito. Preferisce vivere a spese della collettività.

Queste sono disfunzioni reali che hanno bisogno di correttivi per riportare ordine nei conti dello Stato e combattere l'inflazione che penalizza le categorie meno protette.

Alcuni Governi, però, non credono nei correttivi. Essi pensano che lo Stato debba ritornare alle sue funzioni tradizionali del periodo liberista (per questo sono detti neoliberisti). Il loro grido, e la loro politica, è: Deregulation, ritorniamo all'antico!

Smantelliamo tutto: lo Stato ad economia mista, che è stato un fallimento, e il Welfare State, che si è dimostrato ingovernabile.

Le aziende di Stato non hanno svolto il ruolo che ci si attendeva e sono diventate una fonte di sperpero del denaro pubblico? Allora esse vanno restituite ai privati e riportate nella logica dell'economia di mercato.

Lo Stato che provvede a tutti dalla culla alla tomba è un divoratore insaziabile di ricchezza? Allora esso deve finire, eliminando il superfluo e riportando alla logica del mercato quel che oggi è dominato dalla regulation amministrativa.

Le provvidenze dello Stato vanno riservate solo a quelle categorie di cittadini che si trovano al disotto della soglia di reddito definita come soglia della povertà.

La politica della deregulation è stata adottata, per prima, dagli Stati Uniti di Reagan e dall'Inghilterra della Thatcher. Quest'ultima si era spinta molto avanti nello smantellamento dello Stato ad economia mista e si preparava a smantellare quello assistenziale.

E su questa strada si stanno muovendo tutti i governi europei, più o meno timidamente. Compreso quello italiano. che ha già venduto una buona parte dei gioielli di famiglia ed è sulla strada per correggere lo Stato assistenziale (welfate state).

domenica 8 giugno 2008

LO STATO DIVENTA AMICO DELL’UOMO: IL WELFARE STATE

Il primo intervento dello Stato nell'economia era stato dettato dall'esigenza di creare un equilibrio stabile nel sistema economico ed evitare, così, i guasti che il sistema capitalista, se lasciato a se stesso, produceva periodicamente. Questo fu il periodo delle grandi nazionalizzazioni nel settore dei servizi.

Successivamente, questo intervento si estese fino ad interessare direttamente la grande industria: da quella di base a quella manifatturiera. Così, accanto ad un settore privato dell'economia, nacque e si sviluppò, a partire dagli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, un settore pubblico che, secondo Aneurin Bevan, ministro del primo governo laburista inglese del secondo dopoguerra, doveva assumere un ruolo strategico nella politica del governo.

Secondo il socialista Bevan, le nazionalizzazioni dei settori strategici della grande industria e dei servizi dovevano costituire le premesse indispensabili per la realizzazione di una politica di grandi riforme sociali in senso egualitario e garantista.

In poco più di un quarto di secolo, lo Stato inglese nazionalizzò il 16 per cento dell'industria nazionale. Gli altri Stati europei lo seguirono a ruota. La Francia con il 23 per cento. L'Italia, con il suo settore nazionalizzato e quello a partecipazione statale, il 20 per cento, la Germania il 14 e iì Benelux il 10.

Su queste premesse, il governo socialista dì Clement Attlee (19451951) impostò la sua politica per la realizzazione di un piano assistenziale, che fu elaborato, in piena seconda guerra mondiale (1942) e su incarico di Winston Churchill, dal liberale William Beveridge.

Il piano Beveridge sì basava sull'impegno da parte dello Stato di GARANTIRE L’ASSISTENZA AL CITTADINO DALLA CULLA ALLA TOMBA (A questo tipo di Stato, più tardi, verranno date varie definizioni: Welfare State, Stato assistenziale, Stato del benessere, Stato garantista, ecc), senza distinzioni sociali.

Al cittadino, come membro di diritto dello Stato, veniva garantito:
1) un minimo dì sicurezza economica;
2) tutta l'assistenza sanitaria;
3) una pensione per la vecchiaia o in caso di inabilità;
4) e - soprattutto – veniva salvaguardata la sua dignità umana: quello che prima riceveva, in caso di bisogno, come carità pubblica o privata, ora gli veniva attribuito come diritto sin dalla nascita, sia che nascesse ricco o povero.

Era una concezione nuova e rivoluzionaria dello Stato. Allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo del liberismo puro, si sostituiva la concezione dell'umanità dell'uomo verso l'uomo. Allo Stato gendarme, così caro ad Adam Smith, si sostituiva lo Stato-amico che liberava l'uomo dalla paura del bisogno.

L'esperienza storica, tuttavia, ha dimostrato che il settore pubblico dell'economia non ha svolto quel ruolo strategico che era nei pensieri dei suoi ideatori. Col passare del tempo, esso era diventato un cronicario delle industrie private decotte, che venivano addossate alla collettività per garantire i livelli occupazionali.

Esso non creava ricchezza, ma la distruggeva. I suoi deficit erano diventati paurosi e riesciva a sopravvivere solo grazie ai costanti finanziamenti dello Stato. La sua stessa esistenza, come industria assistita, stravolgeva le regole dell'economia di mercato, secondo le quali ogni impresa ha un proprio ciclo di vita e riesce a restare sul mercato (e quindi a vivere) solo se è competitiva e produce utili.

Il settore pubblico, invece, era diventato immortale e come tale era al di sopra e al di fuori delle leggi del mercato. Non produceva più per il mercato, ma produceva solo per perpetuare se stesso a spese della collettività.

Il fallimento delle nazionalizzazioni venne ampiamente riconosciuto da tutti, ed i partiti di sinistra, che prima ne facevano dei cavalli di battaglia, le hanno cancellate dai loro programmi.

mercoledì 4 giugno 2008

PARLIAMONE: LO STATO CONTRO I GUASTI DEL LAISSER FAIRE

Per quasi tutto il periodo della RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (due secoli circa), la classe operaia, ancora non organizzata, pagò un costo tremendo. L’anello debole di questa rivoluzione, che permise l’immenso accumulo di capitale su cui la società moderna fu fondata, era l’operaio non organizzato.

La CONTRATTAZIONE COLLETTIVA non esisteva. E non esisterà ancora per 150 anni. La contrattazione avveniva uno contro uno. Datore di lavoro contro operaio singolo. Era una contrattazione iniqua. La paga che il datore di lavoro era disposto a concedere era quella misera somma appena sufficiente per SOPRAVVIVERE E RIPRODURSI.

Oltre questa paga, l’operaio non aveva alcun diritto. Nè contro le malattie. Nè contro gli incidenti sul lavoro. Nè per la vecchiaia. Era la solideriata familiare che garantiva il funzionamento del meccanismo. L’adulto manteneva il bambino fino ai sette otto anni. Poi questo doveva andare a guadagnarsi un tozzo di pane col sudore della sua fronte e doveva mantenere i propri vecchi negli ultimi anni della loro vita, quando non erano più in grado di lavoro.

Negli anni di crisi economica generalizzata, la scure dei licenziamenti gettava tutti sul lastrico. Nella miseria più nera per tutta la famiglia.

All'inizio del XX secolo, le crisi economiche, che nel frattempo erano diventate sempre più frequenti e sempre più acute, convinsero lo Stato che il sistema liberista, lasciato a se stesso, era incapace di assicurare alla nazione un progresso economico continuo ed equilibrato, come non era stato capace di garantire alla nazione un armonico sviluppo sociale e civile.

Ci si rese conto che se si voleva assicurare alla nazione un crescente sviluppo economico e abolire o, quanto meno, attutire le catastrofiche conseguenze delle depressioni economiche, lo Stato doveva abbandonare la sua tradizionale neutralità ed intervenire anche nel campo dell'economia.

Dapprima questo intervento fu frammentario ed occasionale. Esso si risolveva in «una serie di misure economiche isolate, non coordinate e senza rapporto fra di loro, intese a migliorare, in determinati periodi, le condizioni dei produttori di grano, degli allevatori di bestiame, della industria tessile, di qualsiasi altro gruppo economico.

Poteva essere adottato per mantenere il livello degli utili, dei prezzi, dei salari o delle condizioni di lavoro nella particolare industria che formava oggetto di tali misure, oppure poteva essere principalmente inteso a migliorare il gettito delle imposte.

Poteva anche avere come scopo la conservazione delle risorse minerarie, idriche o forestali; oppure servire ad assistere una comunità o una zona in particolari condizioni di disagio economico; soprattutto poteva spesso rappresentare il tentativo di attenuare gli effetti di una depressione ciclica o strutturale, in gestazione o in atto» (LAUTERBACH).

Ciò che c'era di positivo in queste misure è che esse riuscivano a tappare, bene o male, le falle che continuamente si aprivano nella grande barca dell'economia, ma non riuscivano ad impedire che esse si aprissero, e ciò era dovuto al fatto che, più che misure preventive, esse erano misure correttive di squilibri che si venivano a creare in alcuni settori dell'economia.

Esse si erano dimostrate efficaci nella lotta contro le grandi depressioni o nel risollevare un settore dell'economia da uno stato di crisi, ma del tutto inefficaci per garantire al paese un alto sviluppo economico e sociale.

Fu proprio per colmare questa insufficienza che lo Stato intensificò il suo intervento nel mondo dell'economia con una azione più organica, più coordinata, più continua e, soprattutto, con un'azione programmata, intesa ad utilizzare razionalmente le risorse del Paese e ad aggredire i problemi economici e sociali con una visione globale ed unitaria, distribuendo le risorse secondo una scala di priorità, in modo da assicurare l'armonico sviluppo di tutti i settori della società.