domenica 24 aprile 2016

FEDERICO II “PATRIGNO” PER IL SUD

Suo malgrado lo "Stupor Mundi" creò una mentalità centralistica che ha nuociuto molto al Meridione Diamo a Cesare quello che è di Cesare: Federico Il ha dato all'Europa il primo Stato moderno della storia. Tutti i sovrani d'Europa, che avevano a cuore il miglioramento istituzionale dei loro Stati, lo tennero in grande considerazione. Edoardo I d'Inghilterra, il primo dei grandi legislatori del diritto scritto di quel regno, volle soggiornare nel suo regno per conoscere da vicino la sua legislazione, che era la più avanzata in tutta l'Europa medievale, e la struttura del suo governo, che - utilizzando funzionari laici al posto dei tradizionali ecclesiastici - realizzò la secolarizzazione del governo con quasi un secolo di anticipo rispetto agli altri Stati. Il suo Liber Augustalis fu il primo codice compilato scientificamente dopo quello di Giustiniano e le sue Costituzioni di Melfi del 1231 furono studiate e imitate in tutta Europa. Leggiamola la storia, ma leggiamola in tutte le direzioni, non solo in quella elogiativa. Può essere un motivo d'orgoglio per noi affermare, con forza, che Federico Il fu il sovrano di queste terre, ma dobbiamo dire, con altrettanta forza, che lo sviluppo storico successivo gli diede torto. Col suo Stato centralizzato, egli negò all'Italia meridionale l'esperienza della nascente civiltà comunale, dove si formarono le mentalità democratiche e si acquisì il senso dello Stato nelle coscienze individuali. Due obiettivi che i meridionali ancora oggi non hanno raggiunto appieno. Se vogliamo, egli fu più "benigno" verso la Germania, quando non pretese la centralizzazione del potere, ma diede la più ampia autonomia agli stati regionali (i lander di oggi e i fuedi di allora) nell'ambito della struttura imperiale, che - se vogliamo tradurla nei termini scientifici della scienza politica moderna - assumeva la forma di una confederazione di Stati. Così, i tedeschi crebbero al loro attuale federalismo attraverso 1' esperienza storica di secoli. Noi meridionali, suoi diretti discendenti, siamo rimasti con una mentalità medievale dove regna ancora il barone, comunque camuffato. Sono queste le cose che dobbiamo dire. Sia gloria a Federico II. Mettiamo in evidenza tutti i suoi pregi. Additiamolo pure come la prima grande novità della storia per quanto riguarda la concezione dello Stato e dei rapporti tra le razze e le culture. Ma diciamo anche che a noi fu “patrigno” suo malgrado. Non vide o non volle scegliere neanche la seconda strada che aveva davanti. Aveva la forza e le qualità per unificare l'Italia e farne il primo Stato nazionale d'Europa con quasi due secoli di anticipo rispetto alla Francia e alla Spagna, ma quest'idea era lontana mille miglia dalla sua visione delle cose. Se lo avesse fatto, forse avrebbe ucciso la nascente civiltà comunale, ma avrebbe salvato l'Italia dai suoi campanilismi e avrebbe fatto gli italiani con sette secoli di anticipo rispetto a Cavour. Nella realtà dei fatti, egli era solo un sovrano illuminato, che governava col pugno di ferro, come avevano fatto i suoi avi normanni di Sicilia e i suoi trisavoli normanni di Normandia e d'Inghilterra. All'interno del suo Stato non ebbe e non consentì mai la formazione di un contropotere, come avvenne in Inghilterra. Ma i sovrani più illuminati di quel regno seppero leggere le tendenze del tempo e vi si adeguarono loro malgrado. Federico II, pur essendo primo in tutto, non volle o non seppe farlo. E il costo di questo fallimento lo abbiamo pagato noi e lo continuiamo a pagare ancora oggi. Il suo Stato fu un faro, ma - non ponendosi il problema di estendere il suo regno a tutta la penisola, dopo aver soffocato qualsiasi anelito alle libertà comunali meridionali - condannò il meridione al sottosviluppo dei secoli successivi. I suoi eredi furono i baroni, antichi e moderni, a cui aveva tolto ogni potere (liber Augustalis) con largo anticipo rispetto agli altri sovrani d'Europa, ma aveva lasciato loro il più completo controllo sulla popolazione, che resterà sottomessa agli antichi servaggi feudali molto più a lungo di qualsiasi altro Stato europeo. I baroni avevano tutto l'interesse a lasciare le popolazioni nella più totale sottomissione e nella più totale ignoranza per continuare a detenere il potere. Questa fu anche l'eredità di Federico II. Diciamole queste cose. Ci fanno crescere. www.museocentrostorico.cs.it

UNA GIUSTIZIA PER I POPOLI VINTI: IL CASO DEI BRUZI

IL PECCATO ORIGINALE DEI BRUZI fu il loro smisurato amore per la LIBERTA’. Alla libertà sacrificarono tutto. Tranne la dignità. Che seppero conservare anche quando furono ridotti a SERVI dai ROMANI.. Roma fu dura con loro. Questa SUPERPOTENZA dell’antichità classica non tollerò che questo popolo INDOMITO, FIERO GUERRIERO, TENACE COME NESSUNO, INFLESSIBILE, CAPACE DI RISORSE INAUDITE non accettasse la sua supremazia. Per TRE VOLTE questo popolo si ribellò alla potenza romana per riconquistare la sua libertà. Lo fece con PIRRO, re dell'Epiro, che combatteva contro Roma sul suolo italiano (280-70 a. C.). Lo fece quando si unì alle schiere di ANNIBALE contro Roma nella BATTAGLIA STORICA DI CANNE nella seconda guerra punica (216 a. C.). E, infine, lo fece quando giocò la carta dello schiavo SPARTACO, che, per un attimo, aveva fatto tremare Roma (73 a. C.). Roma non seppe essere magnanima nella vittoria. Non seppe capire le motivazioni profonde dei Bruzi. E rese questo popolo SERVO. Sudditi senza diritti.Roma si sentì sicura solo quando ridusse il BRUZIO a COLONIA ROMANA, cancellandola come città-stato ed arruolando i Bruzi come “ausiliari” nell’esercito romano, dove furono utilizzati per svolgere i “lavori sporchi” di cui loro “si lavavano le mani”, come fece Ponzio Pilato nella questione di Cristo. Storicamente Roma si assolse nella crocifissione di Cristo. Tramandarono alla storia che furono i Bruzi a costruire la croce per Cristo. Che furono i Bruzi a punzecchiare con la lancia Cristo sulla croce. Tutte le cose sporche che Roma faceva venivano addossate ai Bruzi. Roma si sentì soddisfatta solo quando espresse il suo GIUDIZIO STORICO sui Bruzi, che definì BANDITI DI STRADA, TRADITORI, TESTE DURE, IDIOTI, INAFFIDABILI. Era giustificato un giudizio così duro? Sì, lo era, se si guarda dal punto di vista dei romani. Per tre secoli i Bruzi rimasero una spina nel fianco dei romani. No, non lo era se si guarda dal punto di vista dei Bruzi. E questo giudizio storico fu tramandato ai posteri. Nessuno storico, fino ad oggi, lo ha riscritto per fare una più giusta lettura dei fatti storici. Da giovani, NOI “BRUZI” abbiamo vissuto questa storia CON VERGOGNA. Usavamo un sillogismo per NASCONDERLA E PER ASSOLVERCI COME INDIVIDUI. Ci dicevamo: “L’UOMO E’ IL PRODOTTO DELLA STORIA… NOI ABBIAMO UNA STORIA CHE FA SCHIFO…”. Ora non lo sottoscriverei più questo sillogismo. E’ FALSO. E’ BASATO SULLA VERITA’ STORICA DEI ROMANI, che si accanirono contro questo popolo che aveva OSATO OPPORSI AL LORO DOMINIO PER BEN TRE VOLTE. Nessuno dei POPOLI ITALICI l’aveva fatto. Questi si integrarono nella realtà romana e fecero anche carriera nell’esercito e nella burocrazia romana. I BRUZI non potevano accettare questa condizione. Farlo significava rinunciare alla propria IDENTITA’ per assumere quella romana, come era accaduto per gli altri popoli italici. Per loro, questa IDENTITA’ era una conquista ottenuta di recente sul campo di battaglia . Ed era il loro BENE PIU’ GRANDE a cui non potevano e non volevano rinunciare. I Bruzi erano stati SERVI-PASTORI DEI LUCANI da tempi immemorabili. Ma nel IV secolo a.c. (si dice il 356 a.c.) riunirono i loro gruppi sparpagliati sul territorio dei monti silani e fronteggiarono i Lucani sul campo di battaglia. Erano fieri di se stessi. Erano consapevoli del loro valore come guerrieri. Ed erano fortemente determinati a vincere per liberarsi del giogo della servitù ed assaporare la dolcezza della LIBERTA’, che non avevano mai conosciuto. Mitica fu la battaglia per conquistare la ROCCA BRETICA sul colle Pancrazio, nella Cosenza storica, difesa da 600 mercenari africani di Dionisio alleato dei Lucani. I Bruzi erano GUIDATI DA UNA DONNA, conosciuta come DONNA BRETTIA, che, col suo impeto, riuscì a portare i suoi alla vittoria finale. In meno di 80 anni come uomini liberi, riuscirono ad organizzarsi in una forte CONFEDERAZIONE. Divenendo una potenza locale che fece delle conquiste territoriali di una certa importanza, sia a Nord che a Sud del loro baricentro, che era la provincia di Cosenza. Quando i Romani li sottomisero nel 270 a.c., i Bruzi erano una piccola potenza in ascesa con una propria civiltà, anche se ancora in forma embrionale. Ecco perché continuarono a ribellarsi a Roma. Volevano conservare il loro diritto a svilupparsi come civiltà autonoma. Ma fu una lotta impari. Il coraggio e il valore, da soli, non potevano bastare contro una delle più potenti macchine da guerra che la storia abbia mai conosciuto. La storia scritta dai romani vincitori non poteva tener conto delle ragioni dei BRUZI VINTI. E GUAI AI POPOLI VINTI CHE NON SANNO RISCRIVERE LA PROPRIA STORIA! Oggi, quel sillogismo della mia gioventù, lo riscriverei in questo modo: “L’UOMO E’ IL PRODOTTO DELLA STORIA… LA NOSTRA E’ LA STORIA DI UN POPOLO DI EROI”… e ne sarei FIERO ED ORGOGLIOSO. FIERO ED ORGOGLIOSO DI ESSERE UN BRUZIO. Il progetto: “PER FAR RINASCERE IL CENTRO STORICO DI COSENZA” (www.museocentrostorico.cs.it), si propone di raffigurare questa storia dei Bruzi nel quartiere di SANTA LUCIA, dov’era la ROCCA BRETICA, in CINQUE GRANDI MURALES O PANNELLI, per raggiungere due obiettivi: 1) GRIDARE QUESTA VERITA’ STORICA AL MONDO 2) DARE A TUTTI I CALABRESI, MA, SOPRATTUTTO, ALLE NUOVE GENERAZIONI, UNA NUOVA COSCIENZA DELLE PROPRIE RADICI.

giovedì 15 agosto 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (94): L’UOMO NUOVO SI AFFACCIA ALLA STORIA

L'uomo nuovo farà capolino dopo il mille, con la ripresa dell'attività economica, con l'apertura dei feudi al commercio e con la ripresa generale. Nascerà dal rimescolamento della popolazione germanica con quell'uomo romano che, nell'epoca precedente, era scomparso (Lopez, 1975 : 18). Quest'uomo sarà portatore di un'altra mentalità, di un'altra esigenza culturale. Tuttavia, l'elemento germanico si veniva ad innestare in una situazione in movimento nella società latina del V secolo. All'interno di questa società si era formato un proletariato, per dirla in termine toynbeeiani, che aveva abbracciato una nuova fede religiosa: il cristianesimo. Il cristianesimo era portatore di un messaggio nuovo ed accattivante con due concetti rivoluzionari, anche se non esplicitati. Il concetto di Dio-padre stabiliva, nello spirito, un'uguaglianza tra tutti gli uomini (primo concetto rivoluzionario) che si sarebbe realizzata nel Regno di Dio di prossimo avvento (secondo concetto rivoluzionario) e perciò ogni uomo doveva prepararsi all'evento migliorando se stesso e liberandosi di tutte le passioni terrene. Nello stesso tempo il concetto dell'uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio dava un taglio netto all'animismo pagano e differenziava definitivamente l'uomo dalla natura, la quale era stata creata a suo beneficio ( Whyte Lynn, 1952: 56-58 ): egli poteva godere dei suoi frutti, ma non poteva alterarne il corso. Sin dall'inizio, il cristianesimo stabilisce un dualismo tra l'uomo e il cittadino. Come uomo ha un'attività interiore che lo collega direttamente con Dio, senza bisogno di segni esteriori (doni, sacrifici, ecc.). Ed è questa nuova ed inespressa attività spirituale che fa fare un balzo in avanti all'individuo e lo fa scoprire uomo, portatore di diritti e direttamente partecipe della divinità, che è in lui, in quanto Dio lo ha creato a sua immagine e somiglianza, senza la intermediazione di dei o di sacerdoti . L'uomo viene preso in considerazione per la sua natura e non per la posizione sociale che occupa, come avveniva nelle società antiche. Il povero, il diseredato, non sono più i reietti in preda alle forze del male, ma, con Cristo, diventano gli eletti, a cui è riservato il regno dei cieli, con un capovolgimento totale del pensiero antico, in cui al ricco, colui che poteva offrire grossi sacrifici, era riservato il posto accanto alla divinità ( De Ruggero, 1972: 84 ). Come uomo egli deve la sua lealtà a Cristo, suo salvatore; come cittadino, invece, deve la sua lealtà allo stato che lo nutre e lo protegge ( " dai a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare )*. La fine del dualismo si verificherà solo con l'avvento del Regno dei Cieli, dove regnerà solo la legge di Dio. La scoperta dell'uomo da parte del cristianesimo, dell' uomo quale portatore di diritti, a cominciare da quello di uguaglianza, costituiva un punto cardine della dottrina cristiana e questa scoperta sarebbe stata rivoluzionaria se se ne fosse rivendicata la immediata applicazione nel mondo terreno ( ma i reali termini del problema, con tutte le sue implicazioni sociali e politici, sfuggiva a loro stessi ). Nel mondo terreno, invece, i primi cristiani , che aspettavano la prossima fine del mondo e l'instaurazione del Regno di Dio, dove si sarebbe realizzata la vera uguaglianza tra gli uomini, accettavano l'ordine sociale esistente e quindi giustificavano non solo la disuguaglianza, ma anche la schiavitù (Childe, 1949: 290). CONTINUA www.franco-felicetti.it

mercoledì 3 luglio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (93): LA NUOVA CLASSE DOMINANTE GERMANICA E’ INCOLTA

I livelli di struttura mentale non si possono saltare, ma devono essere percorsi o ripercorsi uno di seguito all'altro, anche se la permanenza in un singolo livello può essere abbreviata. L'uomo è riuscito a maturare, nella storia, i diversi livelli di struttura mentale perchè è riuscito a produrre conoscenze che erano indispensabili alla maturazione di ogni singolo livello. E il successivo livello veniva prodotto, dopo aver acquisito il precedente per via ontogenetica, solo se si producevano nuove informazioni o si decentrava il proprio pensiero fino a cogliere nuovi nessi e nuove relazioni tra le informazioni esistenti, che prima non venivano colte. Chi non vive in un ambiente adatto o maturo, che inglobi nel suo vivere quotidiano (della struttura sociale) tutte le conquiste (conoscenze applicate) avvenute in via filogenetica, non può ricapitolare in via ontogenetica la strada percorsa dalle civiltà precedenti, ma la può solo ripercorrere in via filogenetica se non vuole perdere la sua identità anche se le tappe intermedie possono essere ripercorse in secoli invece che in millenni. Ed è quello che è avvenuto nell'alto medioevo. La classe dominante germanica aveva un livello di struttura mentale allo stadio del pensiero pre-concettuale** ( Radding, 1978: 577-78) e si era calata in una civiltà che si trovava allo stadio della operatività concreta, anche se il paradigma era in crisi. Con le invasioni barbariche c'è un nuovo cominciamento nei livelli di struttura mentale. L'uomo di quest'epoca era un uomo che aveva perso le sue antiche certezze. Il romano era caduto e sparito insieme all'impero. Egli risorgerà solo dopo il mille. Nel frattempo, chi dominava la scena nel campo politico, come in quello culturale, era il 'barbaro'. E, in effetti, in questo periodo, tutta la classe dirigente e 'colta ' è di origine 'barbara'. La cultura, come l'innovazione politica, viene dal nord 'barbaro'. Fino al mille, la storia dell'uomo europeo è la storia della classe egemone che è tutta, o quasi, di origine 'barbara'. Quest'uomo è povero intellettualmente e culturalmente. Ha una grande ammirazione per gli uomini dell'antichità, ma sa, altrettanto bene, che egli è un nano, un "omuncolo", come dirà Alcuino, di fronte ad essi. Ogni competizione sarebbe stata impossibile (è quello che afferma Alcuino stesso). Egli può solo compilare dei compendi o chiosare il pensiero di questi autori classici per renderlo accessibile alla classe dirigente dell'epoca, la cui mentalità è molto semplice (Taylor, 1911, I: 219 ) e quasi completamente sguarnita d'istruzione. La compilazione di questi, basati sulle conoscenze greche, fu l'attività principale e più importante di questo mondo, che andava sempre più, e progressivamente, chiudendo le porte a tutta la cultura antica. Le conquiste intellettuali dei greci e la saggezza giuridica dei romani si andavano disperdendo in mille rivoli nella reminiscenza di uomini mediocri in un Europa percorsa dalle orde barbariche, che erano indifferenti alla cultura. La civiltà di queste orde era illetterata. E lo rimarrà ancora per lungo tempo. Basti pensare che Carlo Magno, il primo grande imperatore dell'era cristiana, in pieno IX secolo, non sapeva leggere e scrivere, come del resto la stragrande maggioranza dei suoi nobili. Tuttavia, "la tradizione di queste enciclopedie fu una benedizione per più aspetti. Mentre sintetizzava ed esponeva molte idee antiche che altrimenti sarebbero andate perdute, creava una forte dipendenza verso l'autorità. Nello stesso tempo, però, adoperava un linguaggio allegorico che deliberatamente nascondeva la verità scientifica" ( Stock, 1976: 8 ). CONTINUA www.franco-felicetti.it

domenica 23 giugno 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (92):IL REGRESSO DEI LIVELLI DI STRUTTURA MENTALE NEL MEDIOEVO

Se nel campo della scienza e della filosofia, i romani erano rimasti dei dilettanti che non seppero andare oltre la compilazione di "... enciclopedie e agili compendi che fornissero facili sintesi di conoscenza greca " ( Hall-Hall, 1979: 66 ), nel diritto avevano raggiunto un livello di struttura mentale pari a quello dei più maturi filosofi greci, con la sola differenza che il loro prodotto non fu la conquista di un singolo pensatore, ma fu la conquista di una psicologia collettiva e di una civiltà nella sua evoluzione, da forme rozze e semplici a forme sempre più sofisticate e complesse, dove le azioni venivano giudicate in base alle intenzioni e a tutte le possibili attenuanti. Una forma di giustizia che si ritroverà soltanto nell'poca moderna. Ma, con le invasioni barbariche del V secolo della nostra era, questo era un livello di struttura mentale che era destinato a perdersi nel breve periodo. Alla caduta dell'impero romano, il livello di struttura mentale maturato subì un brusco arresto e un cospicuo regresso nell'' Europa Occidentale. Nel campo della giustizia si ritornerà al realismo morale delle civiltà dell'Antico Oriente e si giudicheranno gli individui non in base alla intenzionalità, ma in base alla gravità del reato ( Radding, 1979: 968 ). " Lo studioso, che attraversa questi secoli delle invasioni barbariche, prova un senso di stupore e di smarrimento nel constatare che tutto il grande lavoro mentale dell'età precedente sembra ad un tratto vanificato. Il pensiero che, ancora nel V secolo, si muoveva tra gli ardui problemi della metafisica, nel VI e nel VII balbetta le prime nozioni della grammatica e della logica " ( De Ruggero, 1972, II: 383 ). La cultura greca, con tutto quello che aveva prodotto, andò quasi interamente perduta, tranne qualche rara ed incompleta traduzione La tradizione rimase viva, invece, nell'Europa Orientale con l'impero romano d'Oriente, ma essa ristagnava. Questo obliteramento della cultura, tuttavia, non era dovuto ad una senescenza del pensiero. Si trattava, invece, di un suo totale annientamento e di un nuovo cominciamento su basi alquanto differenti, come vedremo (logica terministica di Boezio). Già nelle opere di Boezio e Cassiodoro, che pur appartenevano con un piede al mondo greco-romano che spariva, si vedeva questa regressione del pensiero. E non si trattava solo della sparizione dei testi della cultura classica. La verità di fondo era l'incapacità intellettuale degli uomini di quest'epoca di capire quei testi ( Brown, 1974: 146 ). Il fenomeno era spiegabile con il fatto che in questi secoli, se si fa eccezione di uomini come Boezio e Cassiodoro, che appartenevano al vecchio mondo in sfacelo, la classe dominante era di origine germanica e all'interno di questa classe non c'era una sottoclasse colta ed erudita. I germani erano dei guerrieri che vivevano in forma tribale secondo usi e costumi tramandati dalla consuetudine. Il loro cervello, per quanto agile , sveglia e ricettiva fosse la loro intelligenza, era completamente grezzo e incolto e la cultura non è qualcosa che si acquista in forma matura. Essa richiede una lenta maturazione attraverso un processo ben preciso che può essere così schematizzato: acquisizione dei dati della conoscenza----> assimilazione e accomodamento di questi dati al proprio sustrato culturale----> rielaborazione di questi dati sotto forma di imitazione creatrice----> contestazione e/o superamento dei dati sotto forma di creazione originale. Questo è stato il processo che si è verificato nel millennio che va dal VI al XVI secolo della nostra era. Ma questo era stato anche il processo che si era verificato nella Grecia classica rispetto alle civiltà dell' Antico oriente. E questo sarà il processo che si verificherà nel Rinascimento italiano e nell'Inghilterra della Rivoluzione Industriale. Solo la civiltà Islamica non terminò il processo, come vedremo. CONTINUA www.franco-felicetti.it

sabato 1 giugno 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (91): I ROMANI INTRODUCONO IL PRAGMATISMO

I primi perchè, quelli dei filosofi naturalisti delle città ioniche del VI secolo a.C., ebbero delle risposte intuitive, che scaturivano dalla riflessione-osservazione sulla realtà circostante. Ma queste risposte intuitive, intrise da un nascente razionalismo, ebbero il merito di iniziare un metodo di lavoro e di ricerca che doveva dare i suoi frutti più maturi con i filosofi del V e del IV secolo. Il come,delle prime civiltà, non veniva rinnegato, ma assumeva una diversa valenza. Da finalità, si trasformava in strumento di indagine per capire, attraverso l'osservazione e la descrizione accurata delle cose, il meccanismo dei fenomeni e la natura della cose stesse. Il come descrittivo-analitico dei greci (e del mondo moderno) era il superamento del come narrativo delle antiche civiltà, che non spiegava nulla,ma forniva semplicemente una giustificazione dell'esistente e dei suoi fenomeni, e costituiva un insostituibile metodo di indagine per arrivare al perchè, alla causa, dei fenomeni attraverso una spiegazione fisica e non antropomorfica, come avveniva nel mito. I greci, con il loro pensiero speculativo, erano stati capaci di teorizzare il diritto di natura perchè intuito logicamente, ma solo i romani lo potevano applicare. Questi avevano una mentalità pragmatica. Essi rifuggivano da un discorso prettamente teorico senza alcun riferimento ad una applicazione tangibile e concreta. E la loro grandezza sta, appunto, in questo: pragmaticamente essi potevano applicare concetti astratti, quali quello del diritto di natura, ma questa applicazione non nasceva da una deliberata scelta ideologica: essa nasceva dall'esigenza concreta di rispondere ad un reale bisogno che si produceva nella società ( Gasset, 1973: 292 ). Nel mondo romano, non era la norma generale ed astratta che determinava il comportamento, ma era il comportamento che produceva la norma astratta. Era un processo che andava dall'esterno verso l'interno: dalla prassi alla teoria della codificazione e della sintesi. La fecondità e la maturità dei principi, di cui il diritto romano è portatore, ne hanno fatto la base del diritto di tutti gli stati neolatini moderni ( Losanno, 1978: 23 ). Ma anche i popoli anglosassoni, che pur hanno avuto una diversa esperienza giuridica, che si richiama direttamente all'esperienza dei popoli germanici, hanno preso a piene mani dai principi del diritto romano o quanto meno, " molto di più di quanto generalmente si ammette " (Watson, 1970: 3). Per esempio, il principio e il concetto di aequitas del diritto romano, cioè quel diritto che sta al di sopra e al di fuori della legge ordinaria tutte le volte che questa non riesce a garantire, per la sua rigidità, una giustizia giusta, lo ritroviamo riprodotto nel diritto anglosassone dell'Equity. Con il secondo lascito, il diritto romano, nel suo duplice livello di ius privatum e ius gentium, era portatore di una visione della giustizia che garantiva al singolo la più completa tutela. La norma non si limitava alla regolamentazione del comportamento esteriore, ma andava in profondità alla ricerca dell'intenzionalità del soggetto; cioè, andava alla ricerca della volontà del soggetto nel momento in cui commette il reato. Per il diritto romano, uccidere accidentalmente e uccidere intenzionalmente non è la stessa cosa. Una distinzione questa che non era percepita nel livello di struttura mentale pre-operatorio delle antiche civiltà e non sarà percepita neanche nel livello pre-operatorio dell'alto medioevo. Nel diritto romano "la volontà cosciente diviene il fondamento del diritto; le cause che infirmano il volere, come l'errore, il dolo, la violenza, sono al tempo stesso menomatrici del rapporto giuridico; 'la verità dei fatti piega benignamente la ragione delle leggi ' (Vico). “Sorgono così i tardi istituti della cura e della restitutio in integrum sconosciuto al diritto antico; la minuta casistica delle gradazioni della culpa, del dolus, dell'error, sonda le ignorate profondità del labirinto spirituale; l'aequitas rompe il rigido formalismo dello ius strictun; Cesare, come legislatore, spinge il riconoscimento della libertà individuale al punto da considerarla come un bene assimilabile alla proprietà, come un diritto inalienabile dell'uomo; tale è lo spirito della sua legge contro l'antico procedimento della bancarotta che poneva il debitore alla mercé del creditore " (De Ruggero, 1972, I: 18). Ma la tutela dell'individuo andava ben oltre. " Antonino, un prodotto della scuola stoica, dichiarò che in caso di dubbio la giustizia doveva essere pro reo e che ogni imputato è innocente finché non viene provata la sua colpevolezza - due supremi principi del diritto civilizzato moderno " ( Durant, 1950, III: 392 ). CONTINUA www.franco-delicetti.it www.francofelicettiblogspot.com

domenica 26 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (90): I GRECI INTRODUCONO L’UOMO-INDIVIDUO

I greci avevano inventato gli strumenti del pensiero razionale. Lentamente, e nei secoli, avevano inventato il concetto di ordine, di definizione, di generalizzazione, di classificazione, di descrizione, di associazione, di relazione, di causa, la logica, il sillogismo e la dialettica. E, con questi strumenti, mossero alla conquista della conoscenza, di cui non furono gli inventori. La conoscenza, infatti, è nata con l'uomo ( Reichenbach, 1974: 17 ), ma, fino ai greci, egli non ebbe mai coscienza di essere un soggetto che conosce. L'uomo primitivo, quello delle civiltà mesopotamiche e quello della civiltà egiziana, pur avendo accumulato, nei millenni, un'enorme massa di conoscenze, hanno sempre creduto che la conoscenza fosse un dono divino e non un affare dell'uomo. L'uomo era lo strumento del quale il dio si serviva per dare all'umanità una nuova tecnica o un nuovo metodo e nulla di più. Solo con i greci del V secolo a.C. l'uomo prende piena coscienza che la conoscenza è un'attività umana e non divina. E, con questa nuova consapevolezza, l'uomo greco si diede ad indagare sulle cose del mondo con i metodi che erano congeniali alla sua stirpe: il dialogo e la discussione, che stanno alla base del pensiero speculativo. Dapprincipio questa febbrile attività di ricerca fu indirizzata, con i filosofi delle città ioniche del VI secolo a.C., verso i problemi del mondo fisico per dare una risposta diversa alle domande di sempre, cioè alle stesse domande che si erano poste tutte le civiltà precedenti: chi siamo, da dove veniamo e dove siamo diretti. Il mistero dell'esistenza e del mondo fisico ha sempre affascinato l'uomo, sin dal suo sorgere, ed egli ha sempre cercato di darsene una spiegazione con gli strumenti intellettuali che possedeva. Fino ai greci, quando ancora gli strumenti intellettuali erano ai primi livelli, questa spiegazione fu basata sul mito, espresso primo in forma rozza e poi via via in una forma sempre più elaborata man mano che i livelli di struttura mentale passavano da quello sensomotorio dell'uomo primitivo a quello simbolico-transduttivo delle civiltà mesopotamiche ed egiziana. Il mito è stata la massima espressione intellettuale delle civiltà dell'Antico Oriente: la fonte regolatrice di tutti i rapporti: da quello istituzionale a quello sociale. L'uomo, in queste società, è una creatura degli dei, da cui ha ricevuto tutto e a cui deve tutto, compreso la vita, che non gli appartiene. I greci rappresentano un punto di svolta nel pensiero dell'uomo. Con essi scompare l'uomo-massa delle antiche civiltà e viene alla ribalta l'uomo-individuo, padrone dei propri destini e dotato di una curiosità intellettuale sconosciuta prima di lui: la ricerca della conoscenza fine a se stessa; cioè, la conoscenza per amore della conoscenza e non per trarne un utile immediato o futuro. E' da questo momento che nasce il pensiero speculativo, il pensiero che va alla ricerca del perchè delle cose e non del come esse avvengono. E questo spostamento dal come al perchè rappresenta una rivoluzione che ha cambiato i destini dell'uomo. CONTINUA www.franco-felicetti.it