sabato 1 giugno 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (91): I ROMANI INTRODUCONO IL PRAGMATISMO

I primi perchè, quelli dei filosofi naturalisti delle città ioniche del VI secolo a.C., ebbero delle risposte intuitive, che scaturivano dalla riflessione-osservazione sulla realtà circostante. Ma queste risposte intuitive, intrise da un nascente razionalismo, ebbero il merito di iniziare un metodo di lavoro e di ricerca che doveva dare i suoi frutti più maturi con i filosofi del V e del IV secolo. Il come,delle prime civiltà, non veniva rinnegato, ma assumeva una diversa valenza. Da finalità, si trasformava in strumento di indagine per capire, attraverso l'osservazione e la descrizione accurata delle cose, il meccanismo dei fenomeni e la natura della cose stesse. Il come descrittivo-analitico dei greci (e del mondo moderno) era il superamento del come narrativo delle antiche civiltà, che non spiegava nulla,ma forniva semplicemente una giustificazione dell'esistente e dei suoi fenomeni, e costituiva un insostituibile metodo di indagine per arrivare al perchè, alla causa, dei fenomeni attraverso una spiegazione fisica e non antropomorfica, come avveniva nel mito. I greci, con il loro pensiero speculativo, erano stati capaci di teorizzare il diritto di natura perchè intuito logicamente, ma solo i romani lo potevano applicare. Questi avevano una mentalità pragmatica. Essi rifuggivano da un discorso prettamente teorico senza alcun riferimento ad una applicazione tangibile e concreta. E la loro grandezza sta, appunto, in questo: pragmaticamente essi potevano applicare concetti astratti, quali quello del diritto di natura, ma questa applicazione non nasceva da una deliberata scelta ideologica: essa nasceva dall'esigenza concreta di rispondere ad un reale bisogno che si produceva nella società ( Gasset, 1973: 292 ). Nel mondo romano, non era la norma generale ed astratta che determinava il comportamento, ma era il comportamento che produceva la norma astratta. Era un processo che andava dall'esterno verso l'interno: dalla prassi alla teoria della codificazione e della sintesi. La fecondità e la maturità dei principi, di cui il diritto romano è portatore, ne hanno fatto la base del diritto di tutti gli stati neolatini moderni ( Losanno, 1978: 23 ). Ma anche i popoli anglosassoni, che pur hanno avuto una diversa esperienza giuridica, che si richiama direttamente all'esperienza dei popoli germanici, hanno preso a piene mani dai principi del diritto romano o quanto meno, " molto di più di quanto generalmente si ammette " (Watson, 1970: 3). Per esempio, il principio e il concetto di aequitas del diritto romano, cioè quel diritto che sta al di sopra e al di fuori della legge ordinaria tutte le volte che questa non riesce a garantire, per la sua rigidità, una giustizia giusta, lo ritroviamo riprodotto nel diritto anglosassone dell'Equity. Con il secondo lascito, il diritto romano, nel suo duplice livello di ius privatum e ius gentium, era portatore di una visione della giustizia che garantiva al singolo la più completa tutela. La norma non si limitava alla regolamentazione del comportamento esteriore, ma andava in profondità alla ricerca dell'intenzionalità del soggetto; cioè, andava alla ricerca della volontà del soggetto nel momento in cui commette il reato. Per il diritto romano, uccidere accidentalmente e uccidere intenzionalmente non è la stessa cosa. Una distinzione questa che non era percepita nel livello di struttura mentale pre-operatorio delle antiche civiltà e non sarà percepita neanche nel livello pre-operatorio dell'alto medioevo. Nel diritto romano "la volontà cosciente diviene il fondamento del diritto; le cause che infirmano il volere, come l'errore, il dolo, la violenza, sono al tempo stesso menomatrici del rapporto giuridico; 'la verità dei fatti piega benignamente la ragione delle leggi ' (Vico). “Sorgono così i tardi istituti della cura e della restitutio in integrum sconosciuto al diritto antico; la minuta casistica delle gradazioni della culpa, del dolus, dell'error, sonda le ignorate profondità del labirinto spirituale; l'aequitas rompe il rigido formalismo dello ius strictun; Cesare, come legislatore, spinge il riconoscimento della libertà individuale al punto da considerarla come un bene assimilabile alla proprietà, come un diritto inalienabile dell'uomo; tale è lo spirito della sua legge contro l'antico procedimento della bancarotta che poneva il debitore alla mercé del creditore " (De Ruggero, 1972, I: 18). Ma la tutela dell'individuo andava ben oltre. " Antonino, un prodotto della scuola stoica, dichiarò che in caso di dubbio la giustizia doveva essere pro reo e che ogni imputato è innocente finché non viene provata la sua colpevolezza - due supremi principi del diritto civilizzato moderno " ( Durant, 1950, III: 392 ). CONTINUA www.franco-delicetti.it www.francofelicettiblogspot.com

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