mercoledì 4 luglio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (61)

L’UOMO DELL’ANTICO ORIENTE SI FERMA AL SINCRETISMO

In queste civiltà troviamo mai una dimostrazione che implichi un rigoroso ragionamento logico simile a quello che poi troveremo presso i greci. "Esse accumulavano semplici formule, regole tecniche elementari che nascevano come risposta a problemi che sorgevano in situazioni particolari.

“Non c'era la possibilità di uno sviluppo generale dell'argomento, nè i testi che ci sono pervenuti enunciano principi generali... La loro incapacità di costruire un corpo di conoscenze scientifiche o di inglobare i dettagli in un'ampia sintesi si nota anche nell'astronomia egiziana e babilonese.

“L'osservazione degli astri si svolse per millenni, ma non venne mai alla luce una teoria che correlasse e illustrasse quelle osservazioni " (Kline, 1964: 21-22). Il ragionamento che esse seguivano era realistico, e questo dava, quando si svolgeva su sequenze causali direttamente osservabili, lo stesso risultato di un ragionamento deduttivo; ma, quando si svolgeva su casi individuali, separati nel tempo e nello spazio, conduceva al sincretismo (Piaget, 1966: 192-93). E il sincretismo fu la loro massima conquista intellettuale.

Alla deduzione logica esse non arrivarono mai, anche se possedevano tutti gli elementi di conoscenza per raggiunger questo nuovo livello di struttura mentale (pensiero logico concreto), ma erano talmente invischiati nell'esistente e nel presente che non seppero farlo.

La nuova sintesi doveva essere prodotta da altri non coinvolti nella psicologia collettiva dominante perchè alieni, e che, per l'occasione, dovevano essere i greci.

Anche quando parliamo dell'organizzazione della giustizia, in queste civiltà, e parliamo di codici, siamo portati ad attribuire a questi un valore semantico che connota il termine moderno: una raccolta di norme generali ed astratte che vengono applicate a casi particolari.

In realtà, quello che noi impropriamente chiamiamo il codice di Ammurabi è una raccolta di norme (leggi) particolari riferentesi a casi specifici e descritti da applicare quando quel caso specifico si verificava.

Quando noi diciamo che il codice di Ammurabi è diviso in tre grandi sezioni: civile, penale, amministrativo, gli diamo un ordine e una struttura sistematica che, anche se utile a noi moderni, sono in realtà una forzatura alla psicologia di quella società che questo raggruppamento e quest'ordine non era in grado di produrre.

Quello che noi impropriamente chiamiamo codice(Edzaro, 1967: 218) erano in realtà leggi sparse, anche se raccolte per argomenti, che venivano attivate così come le necessità lo richiedevano. La classificazione, l'ordine, la sistematicità erano concetti e categorie che le civiltà dell'Antico Oriente non avevano ancora maturato e non matureranno mai.

Il grande merito di Ammurabi, che non aveva creato nulla di nuovo, o quasi, fu quello di aver reso queste leggi applicabili in tutto il suo impero (Bibby, 1962: 119), garantendo così la certezza del diritto.

Ma le leggi in se stesse, se considerate in termini moderni, erano molto spesso ingiuste e, qualche volta, inumane. E pur tuttavia, questo codice ha un'importanza fondamentale nello sviluppo della civiltà dell'uomo perchè è la prima volta, per quanto ne sappiamo, che l'uomo sente l'esigenza di dare un qualche ordine alla giustizia senza la quale non ci può essere pace sociale.

La Pax, in tutte le civiltà, è sempre fondata sul diritto e sulla forza che fa osservare questo diritto (potere politico dello stato). E Ammurabi, anche senza un disegno cosciente, garantiva, col codice, tutt'e due i principi.

Anche nella storia naturale esse non andarono al di là di un pragmatico elenco di quasi tutte le specie viventi (piante ed animali), assegnando ad ogni pianta e ad ogni animale un nome.

La classificazione era ancora lontana. Esse erano interessate solo al riconoscimento pratico della pianta e dell'animale, non alla classificazione o alla descrizione, che è il primo passo verso la classificazione.

La storia,per queste civiltà, era il mito. Esso era quasi sempre, almeno nei tempi succssivi, la trasposizione, in forma fantastica, di un fatto realmente accaduto, che veniva attribuito ad un dio ed acquistava, così, valore universale.

Quello che noi impropriamente chiamiamo storia è la cronaca (la lista dei re), nel primo millennio, spicciola di eventi e fatti accaduti sotto un regno particolare.

Essa assume la forma di un'elencazione arida e semplice di una sequenza di azioni commesse dal sovrano durante il suo regno: sono fatti messi uno accanto all'altro senza un collegamento d'insieme tra di loro e senza alcuna riflessione su di essi.

Di solito essi recitano: 'io, sovrano tal dei tali, ho costruito questo tempio e fatto questa cosa per il piacere del dio.' Sono fatti realistici che non hanno nulla da dire di più di quello che dicono e raramente essi si innalzano a valori letterari (Barton, 1929: XXI-XXII).

Nella religione le credenze sono attestate, ma mai formulate teoricamente (Moscati, 1978: 30). Il panteon era costituito da un'interminabile lista di dei, senza alcun ordine e senza alcuna gerarchia, ma con poteri diversi.