domenica 23 giugno 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (92):IL REGRESSO DEI LIVELLI DI STRUTTURA MENTALE NEL MEDIOEVO

Se nel campo della scienza e della filosofia, i romani erano rimasti dei dilettanti che non seppero andare oltre la compilazione di "... enciclopedie e agili compendi che fornissero facili sintesi di conoscenza greca " ( Hall-Hall, 1979: 66 ), nel diritto avevano raggiunto un livello di struttura mentale pari a quello dei più maturi filosofi greci, con la sola differenza che il loro prodotto non fu la conquista di un singolo pensatore, ma fu la conquista di una psicologia collettiva e di una civiltà nella sua evoluzione, da forme rozze e semplici a forme sempre più sofisticate e complesse, dove le azioni venivano giudicate in base alle intenzioni e a tutte le possibili attenuanti. Una forma di giustizia che si ritroverà soltanto nell'poca moderna. Ma, con le invasioni barbariche del V secolo della nostra era, questo era un livello di struttura mentale che era destinato a perdersi nel breve periodo. Alla caduta dell'impero romano, il livello di struttura mentale maturato subì un brusco arresto e un cospicuo regresso nell'' Europa Occidentale. Nel campo della giustizia si ritornerà al realismo morale delle civiltà dell'Antico Oriente e si giudicheranno gli individui non in base alla intenzionalità, ma in base alla gravità del reato ( Radding, 1979: 968 ). " Lo studioso, che attraversa questi secoli delle invasioni barbariche, prova un senso di stupore e di smarrimento nel constatare che tutto il grande lavoro mentale dell'età precedente sembra ad un tratto vanificato. Il pensiero che, ancora nel V secolo, si muoveva tra gli ardui problemi della metafisica, nel VI e nel VII balbetta le prime nozioni della grammatica e della logica " ( De Ruggero, 1972, II: 383 ). La cultura greca, con tutto quello che aveva prodotto, andò quasi interamente perduta, tranne qualche rara ed incompleta traduzione La tradizione rimase viva, invece, nell'Europa Orientale con l'impero romano d'Oriente, ma essa ristagnava. Questo obliteramento della cultura, tuttavia, non era dovuto ad una senescenza del pensiero. Si trattava, invece, di un suo totale annientamento e di un nuovo cominciamento su basi alquanto differenti, come vedremo (logica terministica di Boezio). Già nelle opere di Boezio e Cassiodoro, che pur appartenevano con un piede al mondo greco-romano che spariva, si vedeva questa regressione del pensiero. E non si trattava solo della sparizione dei testi della cultura classica. La verità di fondo era l'incapacità intellettuale degli uomini di quest'epoca di capire quei testi ( Brown, 1974: 146 ). Il fenomeno era spiegabile con il fatto che in questi secoli, se si fa eccezione di uomini come Boezio e Cassiodoro, che appartenevano al vecchio mondo in sfacelo, la classe dominante era di origine germanica e all'interno di questa classe non c'era una sottoclasse colta ed erudita. I germani erano dei guerrieri che vivevano in forma tribale secondo usi e costumi tramandati dalla consuetudine. Il loro cervello, per quanto agile , sveglia e ricettiva fosse la loro intelligenza, era completamente grezzo e incolto e la cultura non è qualcosa che si acquista in forma matura. Essa richiede una lenta maturazione attraverso un processo ben preciso che può essere così schematizzato: acquisizione dei dati della conoscenza----> assimilazione e accomodamento di questi dati al proprio sustrato culturale----> rielaborazione di questi dati sotto forma di imitazione creatrice----> contestazione e/o superamento dei dati sotto forma di creazione originale. Questo è stato il processo che si è verificato nel millennio che va dal VI al XVI secolo della nostra era. Ma questo era stato anche il processo che si era verificato nella Grecia classica rispetto alle civiltà dell' Antico oriente. E questo sarà il processo che si verificherà nel Rinascimento italiano e nell'Inghilterra della Rivoluzione Industriale. Solo la civiltà Islamica non terminò il processo, come vedremo. CONTINUA www.franco-felicetti.it

sabato 1 giugno 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (91): I ROMANI INTRODUCONO IL PRAGMATISMO

I primi perchè, quelli dei filosofi naturalisti delle città ioniche del VI secolo a.C., ebbero delle risposte intuitive, che scaturivano dalla riflessione-osservazione sulla realtà circostante. Ma queste risposte intuitive, intrise da un nascente razionalismo, ebbero il merito di iniziare un metodo di lavoro e di ricerca che doveva dare i suoi frutti più maturi con i filosofi del V e del IV secolo. Il come,delle prime civiltà, non veniva rinnegato, ma assumeva una diversa valenza. Da finalità, si trasformava in strumento di indagine per capire, attraverso l'osservazione e la descrizione accurata delle cose, il meccanismo dei fenomeni e la natura della cose stesse. Il come descrittivo-analitico dei greci (e del mondo moderno) era il superamento del come narrativo delle antiche civiltà, che non spiegava nulla,ma forniva semplicemente una giustificazione dell'esistente e dei suoi fenomeni, e costituiva un insostituibile metodo di indagine per arrivare al perchè, alla causa, dei fenomeni attraverso una spiegazione fisica e non antropomorfica, come avveniva nel mito. I greci, con il loro pensiero speculativo, erano stati capaci di teorizzare il diritto di natura perchè intuito logicamente, ma solo i romani lo potevano applicare. Questi avevano una mentalità pragmatica. Essi rifuggivano da un discorso prettamente teorico senza alcun riferimento ad una applicazione tangibile e concreta. E la loro grandezza sta, appunto, in questo: pragmaticamente essi potevano applicare concetti astratti, quali quello del diritto di natura, ma questa applicazione non nasceva da una deliberata scelta ideologica: essa nasceva dall'esigenza concreta di rispondere ad un reale bisogno che si produceva nella società ( Gasset, 1973: 292 ). Nel mondo romano, non era la norma generale ed astratta che determinava il comportamento, ma era il comportamento che produceva la norma astratta. Era un processo che andava dall'esterno verso l'interno: dalla prassi alla teoria della codificazione e della sintesi. La fecondità e la maturità dei principi, di cui il diritto romano è portatore, ne hanno fatto la base del diritto di tutti gli stati neolatini moderni ( Losanno, 1978: 23 ). Ma anche i popoli anglosassoni, che pur hanno avuto una diversa esperienza giuridica, che si richiama direttamente all'esperienza dei popoli germanici, hanno preso a piene mani dai principi del diritto romano o quanto meno, " molto di più di quanto generalmente si ammette " (Watson, 1970: 3). Per esempio, il principio e il concetto di aequitas del diritto romano, cioè quel diritto che sta al di sopra e al di fuori della legge ordinaria tutte le volte che questa non riesce a garantire, per la sua rigidità, una giustizia giusta, lo ritroviamo riprodotto nel diritto anglosassone dell'Equity. Con il secondo lascito, il diritto romano, nel suo duplice livello di ius privatum e ius gentium, era portatore di una visione della giustizia che garantiva al singolo la più completa tutela. La norma non si limitava alla regolamentazione del comportamento esteriore, ma andava in profondità alla ricerca dell'intenzionalità del soggetto; cioè, andava alla ricerca della volontà del soggetto nel momento in cui commette il reato. Per il diritto romano, uccidere accidentalmente e uccidere intenzionalmente non è la stessa cosa. Una distinzione questa che non era percepita nel livello di struttura mentale pre-operatorio delle antiche civiltà e non sarà percepita neanche nel livello pre-operatorio dell'alto medioevo. Nel diritto romano "la volontà cosciente diviene il fondamento del diritto; le cause che infirmano il volere, come l'errore, il dolo, la violenza, sono al tempo stesso menomatrici del rapporto giuridico; 'la verità dei fatti piega benignamente la ragione delle leggi ' (Vico). “Sorgono così i tardi istituti della cura e della restitutio in integrum sconosciuto al diritto antico; la minuta casistica delle gradazioni della culpa, del dolus, dell'error, sonda le ignorate profondità del labirinto spirituale; l'aequitas rompe il rigido formalismo dello ius strictun; Cesare, come legislatore, spinge il riconoscimento della libertà individuale al punto da considerarla come un bene assimilabile alla proprietà, come un diritto inalienabile dell'uomo; tale è lo spirito della sua legge contro l'antico procedimento della bancarotta che poneva il debitore alla mercé del creditore " (De Ruggero, 1972, I: 18). Ma la tutela dell'individuo andava ben oltre. " Antonino, un prodotto della scuola stoica, dichiarò che in caso di dubbio la giustizia doveva essere pro reo e che ogni imputato è innocente finché non viene provata la sua colpevolezza - due supremi principi del diritto civilizzato moderno " ( Durant, 1950, III: 392 ). CONTINUA www.franco-delicetti.it www.francofelicettiblogspot.com