sabato 27 dicembre 2008

LA SCUOLA MEDIA “FAUSTO GULLO” DI VIA POPILIA CONTINUA A VIVERE NELLA SCUOLA ITALIANA

Il SOLE-240RE, nella sua edizione del 18/6/1994 , con un titolo a sei colonne, scrisse che la Scuola in Calabria era rimasta al 1929, tranne che a Cosenza, dove c’era UNA SCUOLA ECCELLENTE: era la Fausto Gullo di Via Popilia.

Via Popilia era il quartiere più degradato di Cosenza, anche se questo, ora, è meno vero. Al suo interno si sta affermando un’edilizia residenziale del ceto medio impiegatizio. Ma questa nuova popolazione, se può, non si integra con il quartiere. I suoi figli non li fa studiare alla Fausto Gullo. Li fa studiare nelle scuole del centro città. La Fausto Gullo, dopo la sua epoca d’oro, è ripiombata nel degrado, da cui sta tentando di risollevarla Rosita Paradiso, suo dirigente attuale.

L’epoca d’oro della “Fausto Gullo” va dal 1983 al 1996, quando un corpo docente giovane, di rara competenza, messo insieme dalla volontà ferrea del suo nuovo dirigente, trasformò la scuola aprendola al territorio. L’obiettivo, che si prefisse questo corpo docente, era ambizioso, ma necessario: CONTRIBUIRE A CAMBIARE IL QUARTIERE ATTRAVERSO GLI ALUNNI.

L’alunno della scuola, nel 1983, era refrattario a qualsiasi regola. Egli mirava solo alla propria sopravvivenza in quel campo di battaglia. Le strutture della scuola erano state devastate dal vandalismo. Al suo interno dominava il bullo-spacciatore esterno che entrava anche nelle aule a dettare legge agli insegnanti. La droga veniva spacciata all’esterno e all’interno della scuola.

Il primo ottobre 1983, primo giorno di scuola della nuova dirigenza, le televisioni locali, compresa RAI3, vennero a riprendere il tradizionale assalto alla diligenza: i guappi del quartiere che venivano a porre il loro marchio sull’anno scolastico che iniziava. Questi guappi erano soliti entrare fin dentro le aule per imporre la loro legge: i loro figli erano gente di rispetto. Docenti ed alunni venivano avvisati.

Ma quel giorno non fu consentito nulla di tutto ciò. Lo Stato era ritornato nella scuola ed imponeva la sua legalità. A nessun genitore fu permesso di entrare nella Scuola. I loro figli erano affidati alla responsabilità istituzionale del Capo d’Istituto, che, insieme agli insegnanti, li riceveva sulla porta.

Un pezzo da “novanta” non gradì questa novità e aggredì fisicamente il Capo d’Istituto. In quell’ attimo si giocava la credibilità della Scuola. La vecchia scuola si sarebbe riaffermata di prepotenza o la nuova era venuta per restare? Reagendo energicamente, ma senza infierire, il Capo d’Istituto diede la risposta. LA PAURA NON AVREBBE PIU’ DOMINATO IN QUELLA SCUOLA. Al suo posto stavano per subentrare le REGOLE DELLA CONVIVENZA DEMOCRATICA.

La scuola fu rivoluzionata nella sua organizzazione fisica. Le si diede un nome, che non aveva. Fu approvato un Regolamento d’Istituto in cui si fissarono l’organizzazione ed i diritti-doveri di tutte le sue componenti: alunni, docenti, non docenti.

Per mutare l’atteggiamento negativo degli alunni verso la scuola e spingerli a riconoscersi in essa, si istituì la CLASSE PERSONALIZZATA, dove gli alunni sarebbero rimasti per tutto il triennio. Per evitare le distinzioni di censo, e per dare un senso di identità agli alunni, fu introdotta la DIVISA SCOLASTICA.

Si attrezzò l’ampia area esterna a Palestra scoperta e a giardino per abituare l’alunno al rispetto e alla cura del verde. La palestra esterna venne dotata di un mini campo erboso di calcio, un campo di pallavolo, un campo di basket, una corsia per i 100 metri piani, una corsia per il salto in lungo, un’area per il salto in alto.

Per promuovere l’impegno allo studio degli alunni e ridurre l’assenteismo, si introdussero I CAMPIONATI D’ISTITUTO (calcio, pallavolo, basket) per classi orizzontali, che si svolgevano durante i 15 minuti di ricreazione. Si introdusse anche la COPPA DEI CAMPIONI per classi verticali per proclamare la classe CAMPIONE D’ISTITUTO.

Per far crescere il senso di responsabilità degli alunni, durante i campionati d’istituto il SERVIZIO D’ORDINE era svolto a turno dalle classi (24 classi). I docenti, presenti, ma, ufficialmente, per tifare per le proprie classi.

Fu completato il secondo edificio destinato alle aule speciali (una per ogni disciplina) e per l’auditorium, che si volle insonorizzato e quadrifunzionale (sala conferenze, teatro, cinema, sala concerti).

Nelle aule speciali si introdusse la MULTIMEDIALITA’ e la INFORMATIZZAZIONE. Il libro nella scuola divenne marginale (l’alunno era un “ragazzo di strada” che aveva scarso amore per il libro). Era la multimedialità e l’uso del computer che motivavano l’alunno all’apprendimento.


Per creare un prestigio alla scuola e per valorizzare le due giovanissime docenti di musica, vincitrici di cattedra a solo 23 anni, fu istituito IL PREMIO NAZIONALE DI MUSICA “IL FLAUTO E LA CLAVIETTA D’ARGENTO”, che ebbe un enorme successo perché la commissione giudicatrice era super partes e ad alto livello: era formata dal direttore del Conservatorio cittadino e due suoi docenti. Su suggerimento del direttore del conservatorio, che voleva stabilire un vincolo più stretto con la Fausto Gullo, la Scuola fu trasformata ad INDIRIZZO MUSICALE.

Ogni anno provenivano oltre mille alunni da tutte le scuole d’Italia. Le eliminatorie del Premio si svolgevano nell’auditorium della scuola. Le semifinali e la finale si svolgevano nello splendido teatro A. Rendano, messo a disposizione dal Comune, il cui assessore alla P.I. era presidente del Premio.

Per motivare ulteriormente gli alunni allo studio, furono istituite tre borse di studio che premiavano il migliore alunno/a delle classi verticali. Il basso livello di preparazione degli alunni suggerì anche l’istituzione di una borsa di studio unica in Italia: quella destinata all’alunno che partiva con forti deficit, ma che, a fine anno, raggiungeva un consistente miglioramento anche se ancora non soddisfacente.

Per legare l’alunno alla scuola e farlo ritornare come ex, fu istituita la festa di addio alla scuola a fine ciclo. Ogni classe preparava un suo sketch con cui salutava la scuola. In questi sketch si aveva licenza di satira verso tutti. La festa si concludeva con un mega pranzo preparato con l’aiuto del Comitato delle Mamme.

Fu fondato il giornale della scuola, LA VOCE DI VIA POPILIA, redatto e stampato in offset dagli alunni ed ex alunni. Per mantenere il contatto con la scuola, agli ex alunni LA VOCE DI VIA POPILIA veniva recapitato per posta.

Per tenere vivo e costante l’interesse e l’impegno delle persone esterne, che davano un grosso contributo al funzionamento e al miglioramento della scuola, fu istituito un Happening per gli auguri di Buon Natale da parte dei docenti. Gli ospiti avevano facoltà di esibirsi.

Per far sentire i genitori parte viva della scuola, fu istituito il Comitato delle Mamme, presieduto dall'incomparabile Sara Vespa, che aveva il compito di sovrintendere a tutti i festeggiamenti che si svolgevano nella scuola, con o senza la presenza di estranei. Questo Comitato ebbe un enorme successo e contribuì moltissimo a far crescere il prestigio della scuola presso le istituzioni cittadine (Comune, Provveditorato) che portavano le delegazioni nazionali ed estere a visitare la scuola.

Per promuovere lo spirito comunitario all’interno delle componenti della scuola (alunni, docenti, non docenti), si istituì il precetto pasquale come momento più alto dei valori dell’uomo. Tutta la scuola, per un’intera giornata, si spostava a camigliatello silano dove, in un parco attrezzato concessoci dell’OVS, si svolgeva la messa al campo organizzata ed officiata dal sacerdote della scuola, Franco Barbieri. Il resto della giornata trascorreva in attività ludiche.

Tutti i muri degli ampi corridoi e degli spazi sociali della scuola furono affrescati con MURALES TEMATICI. Al piano terra i temi erano due: 1) VECCHIO E NUOVO SU VIA POPILIA e 2) ROM SIM (=sono uno zingaro) per promuovere l’integrazione degli alunni zingari attraverso la coscienza della propria identità etnica.

Al primo piano il tema era: il REGNO DELLA FANTASIA. Il secondo piano venne destinato alla GALLERIA DEI RITRATTI: ritratti di tutte quelle autorità esterne che avevano contribuito, in un modo o nell’altro, a far crescere la Fausto Gullo. Un ritratto molto sentito fu dedicato a Pietro Sproviero, preside della vecchia scuola media di Via Popilia (non ancora Fausto Gullo), che lottò per far approvare il modernissimo progetto della nuova scuola, dove egli non mise piede.

Ma l’orgoglio della scuola erano i murales dell’amplissimo e lunghissimo corridoio dell’auditorium. Tutti dedicati al centro storico di Cosenza nella consapevolezza che si stava facendo un’opera di memoria storica. Già oggi, alcuni di quegli scorci raffigurati nei murales, sono irriconoscibili nella realtà fisica a causa del totale stato di abbandono e di degrado del centro storico di Cosenza.

LA NUOVA PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA E DIDATICA
Fu approvata una programmazione educativa e didattica innovativa. Si introdusse il Regolamento di Classe, modellato sulla costituzione italiana, che regolava la vita della classe e ne faceva una piccola PALESTRA DI DEMOCRAZIA, come disse Giacomo Mancini, sindaco di Cosenza. L’intento di questo regolamento era quello di far vivere all’alunno la sua prima esperienza di CITTADINO di uno Stato democratico che gli garantisce diritti, ma che gli impone anche doveri.

L’art. 1 di questo regolamento recitava: " La vita della classe è fondato sul principio di lealtà; lealtà verso se stessi attraverso l’impegno allo studio; verso i propri compagni, verso i docenti, verso la scuola e le norme che la governano ".

L’art. 14 recitava: “l’alunno che provoca danni è tenuto al risarcimento” . Un articolo fondamentale che educò gli alunni al RISPETTO DELLE COSE. In 13 anni, il Comune di Cosenza non dovette fare nessun intervento di manutenzione, nè ordinaria, nè straordinaria.

. Fu introdotto il Rappresentante di classe per mantenere un contatto con le altre classi, con il capo d’istituto e con l’esterno. Fu istituita la Conferenza settimanale dei Rappresentanti di classe col Capo d’istituto per stabilire una comunicazione verticale ed orizzontale nella scuola.

Per combattere l’immagine dell’EROE NEGATIVO (il guappo-delinquente che si fa rispettare), fortemente presente nell’immaginazione degli alunni, si introdussero due albi doro: quello d’istituto (chiamato l’ALBO D’ORO DEGLI IMMORTALI), esposto all’entrata della scuola, e quello di classe. L’intento degli albi d’oro era quello di promuovere l’immagine dell’EROE POSITIVO (l’alunno che si distingueva all’interno o all’esterno della scuola per fatti sportivi, culturali e umani).

Furono introdotti progetti didattici trimestrali pluridisciplinari su tutta la problematica formativa. Su ogni progetto convergevano tutte le discipline ed erano organizzati interventi di operatori esterni della problematica in esame.

A fine progetto si svolgeva, nell’auditorium, un dibattito per classi parallele che serviva come scambio di esperienze dei percorsi che ogni classe aveva seguito e dei risultati che aveva raggiunto.

Il progetto educativo-didattico integrale, articolato in ITINERARI DIDATTICI DELLE SINGOLE DISCIPLINE, è pubblicato nel sito www.franco-felicetti.it .

Negli ultimi 20 mesi questi itinerari didattici sono stati consultati, con ripetuti ritorni, da 12.000 insegnanti da ogni parte d’Italia. L’itinerario didattico più cliccato in assoluto è stato quello di APPLICAZIONE TECNICHE.

Questo successo ha un solo significato: la scuola media “Fausto Gullo” del PERIODO D’ORO continua a vivere nell’esperienza delle altre scuole d’Italia.

mercoledì 17 dicembre 2008

LA COSTITUZIONE ITALIANA E’ DA EMENDARE?

Tutte le costituzioni degli Stati moderni sono composte di due parti. Una contiene i principi fondamentali su cui è basata la struttura dello Stato e su cui sono regolati i rapporti all’interno dello Stato.

La seconda parte non è meno importante, ma è più caduca. Le esigenze di uno Stato in crescita può fare sentire il bisogno di rivederla per garantire un miglior funzionamento degli organi dello Stato.

Anche i principi fondamentali possono essere sentiti come superati da un sentimento politico-sociale mutato rispetto a quello che imperava al momento della sua approvazione. Bisogna ricordarsi che la costituzione italiana è il prodotto di un'epoca storica ben definita.

All’epoca della sua approvazione, l’Italia si era appena liberata di un passato oscuro (dittatura). E lo aveva fatto attraverso una dura lotta di liberazione contro lo straniero (Resistenza) e contro i propri fratelli della Repubblica Sociale di Salò, epigoni di un regime (fascismo) che sopravviveva a se stesso.

Alla caduta del fascismo, e con la fine della Seconda Guerra Mondiale, lo Stato italiano si era disintegrato. Le forze antifasciste eletti alla Consulta, unitariamente, lo fecero rinascere a nuova vita e lo rifondarono su nuove basi e, soprattutto, su nuovi e più rivoluzionari principi.

Questi principi erano frutto di una concorrenza di ideologie, di esperienze politiche e della maturata consapevolezza che il nuovo Stato doveva essere proiettato nel futuro per prendere il suo posto tra le grandi democrazie dell'Occidente, da cui era stato escluso per un ventennio.

Di questo momento storico la Costituzione ne porta i segni nella sua forma. È rigida nel suo processo di emendamento. Modificarla diventa difficile se non c’è un accordo molto ampio all’interno del parlamento.

I suoi padri aveva scelto una costituzione rigida perchè non volevano che accadesse più quello che era accaduto con la Statuto Albertino, che Mussolini aveva stiracchiato a piacimento per istituire la sua dittatura.

Questa saggezza istituzionale dei padri fondatori rende difficile, oggi, a qualsiasi forza politica maggioritaria in parlamento di emendarla a proprio piacimento.

Per poterla emendare in tutta tranquillità, senza dover ricorrere al giudizio del popolo attraverso un referendum popolare, la legge di revisione costituzionale deve essere approvata, nella seconda votazione, da ciascuna Camera, a maggioranza di due terzi dei suoi componenti (3° comma Art. 138).


Nella sua applicazione vennero fuori le piccole resistenze e le grandi riserve mentali. L'art. 134, che istituiva la corte costituzionale, fu applicato nel 1956, con otto anni di ritardo.

L'art. 34, che estendeva l'obbligo scolastico fino al 14° anno, fu applicato nel 1962, con 14 anni di ritardo.

L'art. 5, che istituiva le Regioni, fu applicato nel 1970, con ventidue anni di ritardo.

Gli articoli 39 e 40, che regolamentano le organizzazioni sindacali e il diritto di sciopero, non sono ancora riusciti a trovare una applicazione per i feroci contrasti tra le forze politiche e sociali.


I principi fondamentali che la sorreggono non hanno ancora mostrato il segno del tempo. Essi sono quattro: 1) il principio di libertà; 2) il principio di uguaglianza; 3) il principio di autonomia; 4) il principio di democraticità.

Il principio di libertà si concretizza ogni giorno nella tutela delle libertà civili e delle libertà politiche.

Il principio di uguaglianza ha costituito il momento più innovativo e progressivo della carta costituzionale e sostanzia quotidianamente il principio di libertà, introducendo elementi di democrazia economica per rendere effettivamente operante la democrazia politica.

Il principio di autonomia ha corretto l'immagine dello Stato accentratore post unitario e di quello negatore di libertà del periodo fascista, per sostituirla con l'immagine dello Stato democratico e repubblicano, che riconosce e tutela, sulla scia del sistema inglese, le autonomie locali, cioè il diritto dei cittadini all’autogoverno nella sfera degli affari locali

Il principio di democraticità pervade tutta la struttura della costituzione.

Dall'articolo 1 in cui si enuncia che la sovranità appartiene al popolo, all'art. 17, sulla libertà di riunione.

Dagli artt. 18 e 49. sulla libertà di associarsi in partiti, all'art. 48, sulla libertà e la segretezza del voto.

Dall'art. 71 sull'iniziativa popolare legislativa, all'art. 71) che ha istituito il referendum.

giovedì 11 dicembre 2008

LA CRISI DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA

I fatti delle procure di Salerno e Catanzaro, due procure che si combattono per affermare la propria supremazia, è stato uno spettacolo che merita una profonda riflessione sulla giustizia in Italia.

L'esperienza storica italiana degli ultimi decenni ha dimostrato che l'indipendenza e l'autonomia della Magistratura non sono messe in pericolo dall'esterno, cioè dagli altri organi dello Stato e dal Governo in particolare.

Ormai negli Stati democratici moderni è profondamente radicato il concetto della separazione dei poteri, che è a fondamento e a garanzia del potere democratico.

L'indipendenza e l'autonomia della magistratura sono messe in pericolo dall'interno della magistratura stessa, e cioè dalla politicizzazione e dal PROTAGONISMO dei singoli magistrati e delle singole procure.

Amministrare la giustizia significa garantire la certezza del diritto. E questa si garantisce solo quando il magistrato, oltre ad essere indipendente e autonomo, riesce a non travalicare i poteri assegnati alla sua funzione. La giustizia come potere non è giustizia: è la prevaricazione di un potere che persegue fini di diversa natura: politici, sociali, economici, ideologici, di affermazione del proprio ego, ecc.

Nel passato questa giustizia come potere era istituzionalizzata ed era esercitata a favore della classe egemone detentrice del potere politico. Il proprietario di Adam Smith, nel Settecento, poteva dormire i suoi sonni tranquillo solo se c'era una magistratura che salvaguardava il suo diritto di proprietà dalla classe operaia sfruttata ed affamata.

Oggi, l'evoluzione del diritto ha fatto giustizia di questa concezione. La giustizia non è di parte. Non è, e non dovrebbe essere, un potere. Ma è, e dovrebbe essere, un servizio reso al cittadino. Per questo la nostra Costituzione postula l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3) e alla magistratura è stato affidato il compito di garantire questa uguaglianza.

Per questo al singolo magistrato, oltre all'indipendenza e all'autonomia, è stata data tutta una serie di garanzie che lo metteno al riparo da qualsiasi influenza che non sia la sua coscienza.

È reclutato per concorso, è inamovibile, si distingue solo per le sue funzioni e l'azione disciplinare contro di lui è esercitata da un organo di autogoverno (il C.S.M.).

Ma tutto questo non si è dimostrato sufficiente per garantire al cittadino la certezza del diritto e l'imparzialità del giudice. Spesso il singolo magistrato porta con sé sullo scranno le sue passioni politiche e le sue ESIGENZE DI METTERSI IN MOSTRA (protagonismo) che lo fanno allontanare da quell'esigenza di equilibrio e di prudenza indispensabili nella sua funzione.

Quando il giudice è sensibile alle motivazioni del potere, che possono assumere diverse sfaccettature: sensibilità alla politica, intesa come adesione ideologica ad un partito (pratica piuttosto diffusa), alla lusinga della ricchezza, intesa come esigenza di vivere al di sopra dei propri mezzi, e del potere, vissuto "COME DELIRIO DI ONNIPOTENZA” (molto diffuso tra i pretori, per cui si è parlato di "pretori d'assalto"), la giustizia è in crisi e la magistratura nella sua interezza (anche se i guasti sono opera di una minoranza) perde di credibilità e con essa perde di credibilità anche lo Stato se non interviene con una riforma che elimini i guasti.

sabato 6 dicembre 2008

IL BRIGANTAGGIO VECCHIO E NUOVO

Il brigantaggio è un fenomeno politico-sociale che si riproduce ogni qual volta nella storia dei popoli si verificano condizioni ecomici e sociali intollerabili. Oggi questo fenomeno si è materializzato lungo le coste della Somalia. E poichè si svolge sul mare, coloro che lo praticano non vengono chiamati BRIGANTI, ma PIRATI.

Cambia il nome ma il fenomeno è lo stesso. È gente economicamente e politicamente disperata che si ribella all’ingiustizia della estrema miseria e povertà in un mondo circostante ricco ed opulento.

Noi italiani meridionali abbiamo vissuto questo fenomeno sulla nostra pelle. Il nostro brigantaggio, al momento dell’unità d’Italia, fu una protesta sociale contro mali antichi e nuove miserie. Il nostro BRIGANTE si ribellava contro la parte più ricca della nuova Italia. E su questa ribellione si innestò un tentativo politico antiunitario.

Chi non aveva accettato, come definitivo, il nuovo assetto politico della nazione, aveva tutto l'interesse a sfruttare questa ribellione armata per raggiungere i propri fini e perciò le fornì uomini e mezzi.

Il fenomeno del brigantaggio, che interessava vaste aree del Mezzogiorno, era più acuto nelle aree economicamente più depresse e dove le condizioni di vita del contadino erano più disperate, il quale perciò non aveva nulla da perdere. La terra era posseduta a latifondo o a manomorta e le altre opportunità di lavoro erano non esistenti.

Che alla base di questa ribellione ci fossero delle motivazioni sociali era perfettamente noto al Governo e alla classe politica che sedeva in parlamento. Ma invece di affrontarla e vincerla con misure politico-sociali, quali la riforma agraria e un vasto programma di lavori pubblici, si preferì combatterla e vincerla col piombo e la legge marziale.

Nel 1865 il brigantaggio meridionale fu domato, ma con un numero di morti che superava quello complessivo delle guerre e delle rivoluzioni del Risorgimento e con una profonda ferita sul tessuto sociale e nazionale.

I soldati regolari "piemontesi" erano venuti a combattere i loro fratelli "cafoni" e si trovarono di fronte ad una realtà territoriale e sociale allucinante: i "cafoni" era gente che era stata punita da Dio e dagli uomini. Senza terra. Senza danaro. Spesso senza casa dove vivere. Senza cimiteri. Falcidiati dalla malaria, dalla pellagra, dalla mortalità infantile, tra cui l'analfabetismo toccava punte del 90%.