giovedì 7 giugno 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (57)

L’UOMO NON E’ COSCIENTE DELLA PROPRIA INDIVIDUALITA’

L'individuo, in queste civiltà, non ha nome, è anonimo. Le invenzioni, le tecniche, i processi, che hanno rivoluzionato il mondo della produzione e dell'organizzazione sociale, sono sempre stati il frutto della acuta osservazione o della brillante idea di qualche individuo, ma essi non la vedevano in questo modo: essi li attribuivano ad un dio.

Tutte le invenzioni, dall'aratro alla ruota, tutte le scoperte, dalla cottura della terracotta alla fusione dei metalli, sono attribuiti ad un dio, non agli uomini, D'altronde, erano invenzioni e scoperte che avevano subito un lungo processo evolutivo, in cui ogni individuo, ogni generazione (attraverso i secoli, è il caso di dire) apportava il proprio contributo fino ad arrivare al prodotto finito.

Per cui questo non era più un prodotto individuale, ma era un prodotto collettivo: era il prodotto di un dio e in quanto tale non era più modificabile, in quanto era stato creato perfetto sin dall'origine.

"I testi sottolineano la perfezione dell'opera creatrice: prima non c'era nulla, ma quando la divinità interviene, le cose vengono create in modo assolutamente 'perfetto', articolate in ogni dettaglio, per non più cambiare.

"La genesi degli strumenti di lavoro è anch'essa un fatto istantaneo: nel mito sumerico di ' Enki e l'ordine del mondo', il dio provvede all'allestimento dell'aratro, del giogo e del tiro; prende la zappa e prepara lo stampo per i mattoni; organizza il lavoro della tessitura. Ancora più esplicito è il mito sumerico della creazione della zappa: lo strumento nasce completo in tutti i suoi dettagli tecnici...

"Lo strumento viene affidato all'uomo, perchè lo impieghi nei lavori agricoli, nella costruzione delle case e della città. Il carattere archetipico e immutabile degli strumenti di lavoro, e dalle attività che con essi si svolgono, è vivissimo nella mitologia sumerica; una volta avvenuta la creazione, i destini sono fissati e nulla muterà più " (Zaccagnini, 1976: 294).

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