giovedì 24 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (4)

UN VERO UOMO


Quando andai a lavorare al bar Renzelli, lasciando la scuola, intorno ai 10 anni, ero già un ragazzo “maturo”. Ma, per arrivare alla macchinetta per fare il caffè, dovevo mettere una cassetta sotto i piedi. Ero stato assunto come APPRENDISTA, ma, in realtà, facevo lo stesso lavoro di un adulto.

Provenivo dalla mia esperienza lavorativa extra scolastica, fatta sempre da Renzelli, ma al laboratorio (gelati e dolciumi) gestito dal “Vecchio”, IL CAVALIERE, una bravissima persona. Uno dei suoi figli, Sasà, era un mio coetaneo ed era un mio compagno di giochi nel quartiere della SALITA DI PAGLIARO-VIA MOLINELLA. Sua madre aveva la puzza sotto il naso. mi redarguiva spesso. Non voleva che io chiamassi suo figlio Sasà.

Dovevo chiamarlo DON SASA’. Ero un suo dipendente e dovevo esserlo anche quando giocavamo insieme. Ma il mondo gira. Io credo di essere stato l’unico Preside che abbia dato una supplenza a Sasà, che si era laureato in inglese. Io non ho preteso che mi chiamasse Preside. Per Lui, Franchino ero e Franchino sono rimasto.


L’ambiente del bar di Pinotto Renzelli era molto evoluto. In tutti i sensi. Pinotto era TOGO. Credo mi volesse bene. Per lui io ero “SPIERTU”. La notte mi accompagnava a casa sulla sua bicicletta. Spesso, durante il tragitto, mi domandava cosa avrei fatto da grande. Evidentemente, non mi vedeva come barista per tutta la vita. La storia gli ha dato ragione

Il bar era intercomunicante con un cinema, il SUPERCINEMA. Dove io avevo libero accesso, grazie alla benevolenza della GRANDE VECCHIA LEONETTI. Vi passavo tutto il mio tempo libero. Un film lo vedevo 4/5 volte. Ora so che il cinema ha svolto un grosso ruolo nella mia formazione.

Con alcuni clienti del bar ero diventato amico anche al di fuori del lavoro. Erano più grandi di me, ma non di molto. 7/8 anni. Ero accettato alla pari perché avevo una maturità molto superiore alla mia età. Questa caratteristica l’ho conservata sempre nella mia vita.

Se dobbiamo credere alle due classiche definizioni dell’INTELLIGENZA di JEAN PIAGET: (CAPACITA’ DI ADATTAMENTO E CAPACITA’ DI COGLIERE NESSI E RELAZIONI) io mi sarei potuto definire UN RAGAZZO INTELLIGENTE.

Che lo fossi ne davo dimostrazione tutti i giorni. Un cliente del bar, un commercialista un po’ bizzarro, aveva la mania di ordinare pronunciando le parole alla rovescia. Un “CAFFE’” diventava un “‘EFFAC”. La prima volta ho dovuto rifletterci un attimo per capire il meccanismo, ma poi ero sempre pronto a capire qualsiasi parola pronunciasse.

Naturalmente, la mania di questo signore non si fermò alle ordinazioni, ma si spinse a tutte le parole della lingua italiana. Erano vere e proprie gare tra me e lui. Perché mi diede la possibilità di metterlo alla prova a mia volta.

All’università ho conquistato una delle mie prof., di 15 anni più vecchia, proprio grazie alla mia “maturità-intelligenza”. Lei mi riteneva diverso e più maturo dei miei coetanei. Mi riteneva “un vero uomo”, come diceva lei. Ma non era la prima che me lo diceva.

Me lo aveva già detto, molti anni prima, una ragazza in un situazione drammaticissima. Era una bellissima ragazza. Di lineamenti molto fini. I suoi genitori l’avevano mandata a “servizio” giovanissima. Diciamo che si era cresciuta in casa dei suoi datori di lavoro. Il mio migliore amico, forse l’unico che avevo, sette anni più vecchio di me, la voleva.

A lui le donne non mancavano. Era il tipo di uomo che le donne sognano. Questa ragazza se ne innamorò e si concesse. Ma lui volle di più. Volle che andasse a vivere con lui come amante. In un epoca in cui la VERGINITA’ era il METRO DI PARAGONE, lei fece questo passo perché si era illusa su di lui. Per un certo periodo anch’io ho vissuto con loro in un grande SEMINTERRATO. Allora facevo il fotografo.

La loro stanza da letto era stata ricavata in un angolo con delle tavole alte 2 metri. Una notte sentii delle grida altissime: “aiuto!… aiuto!… mi vuole uccidere”! Corsi e sentii una furibonda lite tra i due. Lei che gridava: “tu non mi butterai in mezzo alla strada!”… lui, rivolto a me: “aiutami!… Vuole uccidermi… ha un coltello”.

Saltai nella loro stanza e vidi lui in un angolo impaurito e tremante. Lei con un coltellaccio da cucina che lo minacciava. Chiesi perché succedeva tutto questo e lei mi disse: “il vigliacco ha detto che non mi vuole sposare perché non è stato lui a prendersi la mia verginità. Il vigliacco sa che è stato il mio solo uomo. Io in mezzo ad una strada non ci vado. Meglio il carcere”.

Cercai di farli ragionare. Lei aveva ragione. Io sapevo che lui non aveva mai avuto l’intenzione di sposarla. Era un divertimento finché durava. Lei era fuori di sé. Lui era incapace di reagire. Psicologicamente era crollato. Aveva una paura matta. Lei minacciò di morte anche me se non andavo via.

Era troppo inviperita per riuscire a convincerla. E quell’uomo l’aveva delusa profondamente come uomo. Lei lo aveva sempre creduto un “dio”. Lui aveva sempre “venduto” un’immagine positiva. Da uomo sicuro di sé. Ma dietro quella facciata non c’era nulla.

Non mi restò che agire. Fulmineamente, con una mano le diedi un ceffone fortissimo e con l’altra la disarmai. Lei non ce l’ebbe con me. Anzi! Rivolto a lui disse: “lui è un vero uomo!… tu sei un vigliacco”.

Eppure io le avevo fatto un occhio nero. Ma quell’occhio nero divenne il simbolo di un amicizia vera e profonda, che non potrà mai essere cancellata, anche se non ci frequentiamo da decenni.

Si sposarono. Ebbero due figli. Bellissimi e affascinanti come il padre. Ma lei rimase per tutta la vita un’infelice. Dopo qualche anno, io ormai laureato da tempo, la incontrai. Era invecchiata moltissimo. Il viso era contratto e pieno di rughe. Eppure lei era molto più giovane di me.

. Le chiesi come andavano le cose. Lei mi rispose: “come vuoi che vadano! Ho cercato e cerco ancora di dimenticare, ma ogni volta che facciamo l’amore, e sono vicina all’orgasmo, quando vedo che la RICONCILIAZIONE con lui può essere possibile, quella notte ritorna lucida nella mia mente e divento fredda e rigida. Ho paura che resterà così per il resto della mia vita. Io sono ancora la sua donna, ma lui non è più il mio uomo. Non lo è più da quella notte. Eppure tu sai quanto l’abbia amato” L’unica sua gioia erano e sono i suoi figli.

Se mia madre avesse avuto lo stesso FEGATO di questa ragazza col suo fidanzato forse le cose sarebbero andate diversamente per lei. Ma, allora, il maschio si sentiva egoisticamente autorizzato ad abusare della donna senza la minima responsabilità verso di lei.

Il costume odierno è certamente superiore. Ci si è liberati della VERGINITA’, che schiavizzava la donna ad un fatto fisico, e si è affermato il principio che l’uomo che mette incinta una donna se ne deve assumere la responsabilità morale, se non legale. E, di solito, la sposa.

Le ragazze napoletane, al tempo dell’università, avevano risolto brillantemente il problema dell’integrità fisica. Terminata la loro storia con il ragazzo di turno, passavano dal GINECOLOGO per far “ripristinare” tutto. E si ripresentavano sulla scena più vergini di prima. Avanti un altro. A pensarci, temo che una di queste “vergini” sia toccata anche a me. Aveva 17 anni.

La cosa funzionava. Una di queste ragazze l’ho accompagnata io dal GINECOLOGO, ma mi ha chiesto di aspettarla sotto, per strada. Noialtri maschi siamo psicologicamente immaturi rispetto alla donna. Noi cercavamo la “prima volta”. E ci veniva data. Ecco perché la natura ha premiato la donna e ne ha fatto la CUSTODE DELLA SPECIE.

CONTINUA

1 commento:

Unknown ha detto...

Franco! questa del ginecologo che "ripristinava tutto" non la sapevo!!!;-D
sono sconvolta!
leggendo della tua infanzia mi vengono in mente i film di Tornatore, la cruda primitiva realtà di quei tempi vista dagli occhi di un bambino...hai visto l'ultimo film? Baaria?