giovedì 10 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (2)

A PIEDI NUDI

Mia madre era molto bella . Alta. Gentile nei lineamenti. Di scuola ne aveva fatto poca. A quei tempi, gli inizi del XX secolo, una donna giovane e bella con un figlio non la si poteva sposare. Non eravamo in America dove la donna si risposa anche se ha figli. Da noi non è così neanche oggi.

Da noi, ancora oggi, l’uomo si avvicina ad una donna con figli solo con la speranza di rimediare una “scopata” e basta. Sposarla? Mai! Mia madre sfamò i suoi cinque figli lavorando come una dannata.

Ci vestivamo grazie alla benevolenza di alcune famiglie, che ci davano gli indumenti smessi dai loro figli. Da aprile ad ottobre inoltrato non vestivo scarpe. ANDAVO IN GIRO A PIEDI NUDI. Era duro camminare sull’asfalto bollente o sulla terra battuta a causa delle spine.

La nostra casa era un monolocale a piano terra di 40 mq circa. Questo rappresentava il nostro mondo. La nostra cucina. Il nostro bagno (si fa per dire). Le nostre camere da letto. Il nostro soggiorno. Tutto in questi 40 mq. Io dormivo con i miei fratelli in un letto matrimoniale. I risvegli festivi di quei giorni mi mancano ancora. Erano belli.

Eravamo tre fratelli affiatati. Io dormivo in mezzo ai due giganti. Giganti perché io ero piccolino. Gigino mi passava sette anni. Peppe addirittura undici. Nel letto giocavamo. Io e Peppe eravamo sempre alleati. Chi ne faceva le spese era sempre il povero Gigino.

Con Peppe c’era una particolarità che ci legava: eravamo nati nello stesso giorno: il 26 gennaio. Ora Peppe non c’è più. Sono andato a seppellirlo a Vancouver, in Canada nel 1983. Ho cercato fra tutti i suoi amici canadesi e italiani per cercare di conoscere le sue ultime volontà. Se voleva essere sepolto in Italia o in Canada.

Tutti i suoi amici mi hanno detto che per lui era indifferente. Ma chi mi ha fatto decidere di lasciarlo in Canada è stata mia sorella Lucia. Piangendo mi ha detto: “lasciamelo qui. È l’unico che mi rimane della famiglia. Ne avrò più cura di quando era vivo”. Gli ho scelto un cimitero che noi italiani non conosciamo. Quelli che vediamo nei film: un grande parco verde curato a giardino.

Le tombe sono sufficientemente distanziate per creare un ambiente discreto, dove i congiunti vanno anche a pranzare sulla tomba del loro caro. Anch’io, prima di ripartire per l’Italia, sono andato, con la famiglia di mia sorella, a prendere il BRUNCH sulla sua tomba. Abbiamo scherzato con lui. I ragazzi, quelli che lui aveva cresciuto come figli suoi, lo prendevano in giro e raccontavano tutte le marachelle che avevano fatto da bambini facendolo arrabbiare.

Tutti siamo grati a questo fratello, a QUESTO FIGLIO DELLA COLPA, che è stato un pò il padre che non avevamo. Non ha mai pensato egoisticamente solo a se stesso. Il suo pensiero era la famiglia. In tanti anni di Canada non ha accumulato soldi per se stesso. Era generosissimo. Ha speso sempre tutto per i nipoti e la sorella, per me e per chiunque ne avesse bisogno della famiglia. In banca ho trovato solo una cassetta di sicurezza con poche migliaia di dollari. Ho capito che quelli li aveva destinati al suo funerale.

Io gli ho dedicato il mio primo libro: LA STRUTTURA POLITICA DELLA SOCIETA’, un libro di SOCIOLOGIA POLITICA, che avrebbe dovuto farmi conoscere all’interno del PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI), a cui mi ero iscritto da poco. Questa la dedica “ A MIO FRATELLO PEPPE, CHE NON CREDE NELLA RICONOSCENZA DEGLI UOMINI”.

Questa dedica ha una storia. Peppe mi ha aiutato molto quando mi sono iscritto all’università. Mi ha sovvenzionato nel momento iniziale. Poi mi sono mantenuto da solo. Ma lui temeva che io, una volta preso la laurea, avrei fatto come un suo compagno di giochi da ragazzo.


Questo suo compagno era il figlio di un “cocchiere” (guidava una vettura a cavallo). Quest’uomo aveva sacrificato la sua vita per dare al proprio figlio il massimo degli studi: UNA LAUREA IN MEDICINA. Ma questo neo “dottore” si dimostrò doppiamente ingrato. Da “dottore” non poteva accettare di essere il figlio di un “cocchiere”. Così negava di essere suo figlio. Come non riconobbe più i suoi compagni di giochi che erano rimasti semplici lavoratori.

Peppe lo detestava. Non perché tenesse alla sua amicizia. Ma perché riteneva che il proprio passato non si rinnega. Fa parte della propria storia. Nel bene e nel male. E bisogna esserne orgogliosi. Specialmente chi si è elevato socialmente, con i propri sforzi, ma anche con l’aiuto dei propri genitori o parenti.

Peppe temeva che anch’io avrei rinnegato le mie origini. Col tempo si rese conto che io ero fatto di un’altra pasta. Di ben altra intelligenza. E divenne orgogliosissimo di me. Il suo orgoglio per me crebbe a dismisura quando gli telefonai da Roma che avevo superato il concorso a preside col massimo dei voti. Se fosse morto due anni più tardi mi avrebbe visto diventare PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE PROVINCIALE PRESIDI DI COSENZA.
CONTINUA

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