giovedì 3 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (1)

UNA RAGAZZA MADRE

Il blog è un DIARIO personale dove si scrive la “CRONACA” della propria vita. Ecco perché STORY e non HISTORY. Un blog non può assurgere alla dignità di “storia”. E’ una cronaca. Anche se contiene tutti gli elementi per ricavare la “storia” di una persona. Come l’ho ricavata io nel mio sito.

Nel sito c’è la mia STORIA. In queste pagine, che appariranno ogni VENERDI’, ci sarà la “cronaca” della mia vita. Delle mie origini. Della mia crescita culturale e umana. Delle mie aspettative. Dei miei sogni. Delle mie ambizioni. Dei miei fallimenti. Ma, soprattutto, ci saranno le mie riflessioni sugli avvenimenti salienti di cui sono stato testimone o attore.

Ci saranno le mie riflessioni sulle persone che ho incontrato e sulle cose in cui mi sono imbattuto nel corso della mia non facile vita e che hanno contribuito, in un modo o nell’altro, a formare la mia personalità alquanto FORTE E COMPLESSA, CON PUNTI DI RIFERIMENTO SALDI E STABILI .

Si dice che il buon giorno si vede dal mattino. Mi è stato raccontato che il mio mattino è stato “RADIOSO”. Non ho imparato a camminare. Ho camminato e basta. Ho fatto tutto da solo. Ero stato lasciato seduto ai bordi di un campetto di calcio, dove mio fratello (di 7 anni più grande) giocava con altri compagni. Ad un tratto mio fratello mi vide camminare verso casa con l’aiuto di un bastone. Avevo fatto il grande passo. Da solo. Mio fratello, ancora oggi, racconta questo episodio con ammirazione.

Eravamo una famiglia poverissima. Mia madre oggi si sarebbe detta una “RAGAZZA MADRE”. Una delle tante “vittime” di una mentalità aberrante. Vittime di una società che non dava alcuna assistenza a queste povere disgraziate, che avevano creduto nell’amore e si erano abbandonate alla volontà predatrice dell’uomo “cacciatore”.

Ma anche vittime di uno Stato che colpevolizzava il debole (la donna) ed assolveva il forte (l’uomo), che pure era la causa di tutto. Mia madre ebbe la colpa grave di essere nata all’inizio del Novecento, quando il WELFARE STATE non era nemmeno nella mente di Dio. Se fosse nata verso la fine del secolo, quando lo STATO DEL BENESSERE divenne un patrimonio di tutti dalla CULLA ALLA TOMBA, le cose sarebbero andate diversamente.

Essere una “ragazza madre” in Inghilterra oggi è uno STATUS molto appetibile. Tanto appetibile che le ragazze cercano, di proposito, di diventare RAGAZZE MADRII per intascarsi il lauto sussidio che lo Stato eroga loro. È un fenomeno questo che sta dissanguando le casse dello Stato inglese, che sta studiando contromisure per bloccarlo.

Mia madre, invece, messa incinta dal suo fidanzato, fu cacciata di casa perché “AVEVA DISONORATO LA FAMIGLIA” (questo era il tremendo costume a quell’epoca),. E a noi figli la società impose il MARCHIO INDELEBILE della colpa. Su tutti i documenti dello Stato, noi figli eravamo definiti FIGLI DI NESSUNO. Di N.N., come recitava la formula.

Era un marchio che mi dava fastidio. Non eravamo figli di nessuno. Eravamo figli di una donna che non aveva un marito. Ma la società, a quel tempo, era tremendamente maschilista e voleva la paternità. La donna contava poco. Ecco perché eravamo FIGLI DI NESSUNO. Di N.N..

Fino alla morte di mia madre ho subito questa umiliazione che mi rendeva “DIVERSO” dai miei compagni ed amici. Per molti, noi figli di N:N: eravamo “FIGLI DI PUTTANA”, come termine ingiurioso verso la donna. Mia madre non fu mai una “puttana”. Fu una donna che aveva subito la violenza del maschio, che si era presentato in veste di agnello, ma che si dimostrò soltanto un lupo affamato..

Ma io sono diventato veramente “un figlio di puttana”, nel senso psicologico della frase. E ne ero orgoglioso. Inconsciamente, avevo talmente affinato il mio modo di vedere le cose che riuscivo a “vedere” (oggi direi “intuire”) prima e meglio degli altri. Ero diventato un eccellente “figlio di puttana”.

Ero intelligente e usavo questa mia intelligenza per essere “astuto”. Gli inglesi direbbero “canning”. Ma non facevo nulla consciamente. Era la mia natura che prendeva il sopravvento. Non volevo essere un PERDENTE. Ed avevo la presunzione di non essere inferiore a nessuno. Forse avevo meno scuola, ma supplivo con la mia riflessione sulle cose, sulle persone e sugli avvenimenti.


Morta mia madre, avevo 16/17 anni, mi sono ribellato a quel FIGLIO DI N.N. Quando mi si chiedeva la paternità , con molta sicurezza, rispondevo: FU MARIA. Questo mi restituiva quella dignità che una società ingiusta mi aveva tolto. E che, soprattutto, aveva tolto a mia madre. Lei, come donna, non poteva essere a capo di una famiglia.

Mia madre proveniva da un paese della presila cosentina, Spezzano Sila . Cacciata di casa, a Cosenza aveva trovato rifugio presso una donna che aveva altri figli. Di fronte a lei erano aperte due strade. O diventare una “puttana”, come avevano fatto altre prima di lei, o conservare la sua onestà facendo una vita che prometteva solo sacrifici. Lei si industriò facendo ogni tipo di lavoro. Dalla donna di servizio all’aiuto nel lavoro dei campi.
CONTINUA

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