giovedì 15 agosto 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (94): L’UOMO NUOVO SI AFFACCIA ALLA STORIA

L'uomo nuovo farà capolino dopo il mille, con la ripresa dell'attività economica, con l'apertura dei feudi al commercio e con la ripresa generale. Nascerà dal rimescolamento della popolazione germanica con quell'uomo romano che, nell'epoca precedente, era scomparso (Lopez, 1975 : 18). Quest'uomo sarà portatore di un'altra mentalità, di un'altra esigenza culturale. Tuttavia, l'elemento germanico si veniva ad innestare in una situazione in movimento nella società latina del V secolo. All'interno di questa società si era formato un proletariato, per dirla in termine toynbeeiani, che aveva abbracciato una nuova fede religiosa: il cristianesimo. Il cristianesimo era portatore di un messaggio nuovo ed accattivante con due concetti rivoluzionari, anche se non esplicitati. Il concetto di Dio-padre stabiliva, nello spirito, un'uguaglianza tra tutti gli uomini (primo concetto rivoluzionario) che si sarebbe realizzata nel Regno di Dio di prossimo avvento (secondo concetto rivoluzionario) e perciò ogni uomo doveva prepararsi all'evento migliorando se stesso e liberandosi di tutte le passioni terrene. Nello stesso tempo il concetto dell'uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio dava un taglio netto all'animismo pagano e differenziava definitivamente l'uomo dalla natura, la quale era stata creata a suo beneficio ( Whyte Lynn, 1952: 56-58 ): egli poteva godere dei suoi frutti, ma non poteva alterarne il corso. Sin dall'inizio, il cristianesimo stabilisce un dualismo tra l'uomo e il cittadino. Come uomo ha un'attività interiore che lo collega direttamente con Dio, senza bisogno di segni esteriori (doni, sacrifici, ecc.). Ed è questa nuova ed inespressa attività spirituale che fa fare un balzo in avanti all'individuo e lo fa scoprire uomo, portatore di diritti e direttamente partecipe della divinità, che è in lui, in quanto Dio lo ha creato a sua immagine e somiglianza, senza la intermediazione di dei o di sacerdoti . L'uomo viene preso in considerazione per la sua natura e non per la posizione sociale che occupa, come avveniva nelle società antiche. Il povero, il diseredato, non sono più i reietti in preda alle forze del male, ma, con Cristo, diventano gli eletti, a cui è riservato il regno dei cieli, con un capovolgimento totale del pensiero antico, in cui al ricco, colui che poteva offrire grossi sacrifici, era riservato il posto accanto alla divinità ( De Ruggero, 1972: 84 ). Come uomo egli deve la sua lealtà a Cristo, suo salvatore; come cittadino, invece, deve la sua lealtà allo stato che lo nutre e lo protegge ( " dai a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare )*. La fine del dualismo si verificherà solo con l'avvento del Regno dei Cieli, dove regnerà solo la legge di Dio. La scoperta dell'uomo da parte del cristianesimo, dell' uomo quale portatore di diritti, a cominciare da quello di uguaglianza, costituiva un punto cardine della dottrina cristiana e questa scoperta sarebbe stata rivoluzionaria se se ne fosse rivendicata la immediata applicazione nel mondo terreno ( ma i reali termini del problema, con tutte le sue implicazioni sociali e politici, sfuggiva a loro stessi ). Nel mondo terreno, invece, i primi cristiani , che aspettavano la prossima fine del mondo e l'instaurazione del Regno di Dio, dove si sarebbe realizzata la vera uguaglianza tra gli uomini, accettavano l'ordine sociale esistente e quindi giustificavano non solo la disuguaglianza, ma anche la schiavitù (Childe, 1949: 290). CONTINUA www.franco-felicetti.it

mercoledì 3 luglio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (93): LA NUOVA CLASSE DOMINANTE GERMANICA E’ INCOLTA

I livelli di struttura mentale non si possono saltare, ma devono essere percorsi o ripercorsi uno di seguito all'altro, anche se la permanenza in un singolo livello può essere abbreviata. L'uomo è riuscito a maturare, nella storia, i diversi livelli di struttura mentale perchè è riuscito a produrre conoscenze che erano indispensabili alla maturazione di ogni singolo livello. E il successivo livello veniva prodotto, dopo aver acquisito il precedente per via ontogenetica, solo se si producevano nuove informazioni o si decentrava il proprio pensiero fino a cogliere nuovi nessi e nuove relazioni tra le informazioni esistenti, che prima non venivano colte. Chi non vive in un ambiente adatto o maturo, che inglobi nel suo vivere quotidiano (della struttura sociale) tutte le conquiste (conoscenze applicate) avvenute in via filogenetica, non può ricapitolare in via ontogenetica la strada percorsa dalle civiltà precedenti, ma la può solo ripercorrere in via filogenetica se non vuole perdere la sua identità anche se le tappe intermedie possono essere ripercorse in secoli invece che in millenni. Ed è quello che è avvenuto nell'alto medioevo. La classe dominante germanica aveva un livello di struttura mentale allo stadio del pensiero pre-concettuale** ( Radding, 1978: 577-78) e si era calata in una civiltà che si trovava allo stadio della operatività concreta, anche se il paradigma era in crisi. Con le invasioni barbariche c'è un nuovo cominciamento nei livelli di struttura mentale. L'uomo di quest'epoca era un uomo che aveva perso le sue antiche certezze. Il romano era caduto e sparito insieme all'impero. Egli risorgerà solo dopo il mille. Nel frattempo, chi dominava la scena nel campo politico, come in quello culturale, era il 'barbaro'. E, in effetti, in questo periodo, tutta la classe dirigente e 'colta ' è di origine 'barbara'. La cultura, come l'innovazione politica, viene dal nord 'barbaro'. Fino al mille, la storia dell'uomo europeo è la storia della classe egemone che è tutta, o quasi, di origine 'barbara'. Quest'uomo è povero intellettualmente e culturalmente. Ha una grande ammirazione per gli uomini dell'antichità, ma sa, altrettanto bene, che egli è un nano, un "omuncolo", come dirà Alcuino, di fronte ad essi. Ogni competizione sarebbe stata impossibile (è quello che afferma Alcuino stesso). Egli può solo compilare dei compendi o chiosare il pensiero di questi autori classici per renderlo accessibile alla classe dirigente dell'epoca, la cui mentalità è molto semplice (Taylor, 1911, I: 219 ) e quasi completamente sguarnita d'istruzione. La compilazione di questi, basati sulle conoscenze greche, fu l'attività principale e più importante di questo mondo, che andava sempre più, e progressivamente, chiudendo le porte a tutta la cultura antica. Le conquiste intellettuali dei greci e la saggezza giuridica dei romani si andavano disperdendo in mille rivoli nella reminiscenza di uomini mediocri in un Europa percorsa dalle orde barbariche, che erano indifferenti alla cultura. La civiltà di queste orde era illetterata. E lo rimarrà ancora per lungo tempo. Basti pensare che Carlo Magno, il primo grande imperatore dell'era cristiana, in pieno IX secolo, non sapeva leggere e scrivere, come del resto la stragrande maggioranza dei suoi nobili. Tuttavia, "la tradizione di queste enciclopedie fu una benedizione per più aspetti. Mentre sintetizzava ed esponeva molte idee antiche che altrimenti sarebbero andate perdute, creava una forte dipendenza verso l'autorità. Nello stesso tempo, però, adoperava un linguaggio allegorico che deliberatamente nascondeva la verità scientifica" ( Stock, 1976: 8 ). CONTINUA www.franco-felicetti.it

domenica 23 giugno 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (92):IL REGRESSO DEI LIVELLI DI STRUTTURA MENTALE NEL MEDIOEVO

Se nel campo della scienza e della filosofia, i romani erano rimasti dei dilettanti che non seppero andare oltre la compilazione di "... enciclopedie e agili compendi che fornissero facili sintesi di conoscenza greca " ( Hall-Hall, 1979: 66 ), nel diritto avevano raggiunto un livello di struttura mentale pari a quello dei più maturi filosofi greci, con la sola differenza che il loro prodotto non fu la conquista di un singolo pensatore, ma fu la conquista di una psicologia collettiva e di una civiltà nella sua evoluzione, da forme rozze e semplici a forme sempre più sofisticate e complesse, dove le azioni venivano giudicate in base alle intenzioni e a tutte le possibili attenuanti. Una forma di giustizia che si ritroverà soltanto nell'poca moderna. Ma, con le invasioni barbariche del V secolo della nostra era, questo era un livello di struttura mentale che era destinato a perdersi nel breve periodo. Alla caduta dell'impero romano, il livello di struttura mentale maturato subì un brusco arresto e un cospicuo regresso nell'' Europa Occidentale. Nel campo della giustizia si ritornerà al realismo morale delle civiltà dell'Antico Oriente e si giudicheranno gli individui non in base alla intenzionalità, ma in base alla gravità del reato ( Radding, 1979: 968 ). " Lo studioso, che attraversa questi secoli delle invasioni barbariche, prova un senso di stupore e di smarrimento nel constatare che tutto il grande lavoro mentale dell'età precedente sembra ad un tratto vanificato. Il pensiero che, ancora nel V secolo, si muoveva tra gli ardui problemi della metafisica, nel VI e nel VII balbetta le prime nozioni della grammatica e della logica " ( De Ruggero, 1972, II: 383 ). La cultura greca, con tutto quello che aveva prodotto, andò quasi interamente perduta, tranne qualche rara ed incompleta traduzione La tradizione rimase viva, invece, nell'Europa Orientale con l'impero romano d'Oriente, ma essa ristagnava. Questo obliteramento della cultura, tuttavia, non era dovuto ad una senescenza del pensiero. Si trattava, invece, di un suo totale annientamento e di un nuovo cominciamento su basi alquanto differenti, come vedremo (logica terministica di Boezio). Già nelle opere di Boezio e Cassiodoro, che pur appartenevano con un piede al mondo greco-romano che spariva, si vedeva questa regressione del pensiero. E non si trattava solo della sparizione dei testi della cultura classica. La verità di fondo era l'incapacità intellettuale degli uomini di quest'epoca di capire quei testi ( Brown, 1974: 146 ). Il fenomeno era spiegabile con il fatto che in questi secoli, se si fa eccezione di uomini come Boezio e Cassiodoro, che appartenevano al vecchio mondo in sfacelo, la classe dominante era di origine germanica e all'interno di questa classe non c'era una sottoclasse colta ed erudita. I germani erano dei guerrieri che vivevano in forma tribale secondo usi e costumi tramandati dalla consuetudine. Il loro cervello, per quanto agile , sveglia e ricettiva fosse la loro intelligenza, era completamente grezzo e incolto e la cultura non è qualcosa che si acquista in forma matura. Essa richiede una lenta maturazione attraverso un processo ben preciso che può essere così schematizzato: acquisizione dei dati della conoscenza----> assimilazione e accomodamento di questi dati al proprio sustrato culturale----> rielaborazione di questi dati sotto forma di imitazione creatrice----> contestazione e/o superamento dei dati sotto forma di creazione originale. Questo è stato il processo che si è verificato nel millennio che va dal VI al XVI secolo della nostra era. Ma questo era stato anche il processo che si era verificato nella Grecia classica rispetto alle civiltà dell' Antico oriente. E questo sarà il processo che si verificherà nel Rinascimento italiano e nell'Inghilterra della Rivoluzione Industriale. Solo la civiltà Islamica non terminò il processo, come vedremo. CONTINUA www.franco-felicetti.it

sabato 1 giugno 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (91): I ROMANI INTRODUCONO IL PRAGMATISMO

I primi perchè, quelli dei filosofi naturalisti delle città ioniche del VI secolo a.C., ebbero delle risposte intuitive, che scaturivano dalla riflessione-osservazione sulla realtà circostante. Ma queste risposte intuitive, intrise da un nascente razionalismo, ebbero il merito di iniziare un metodo di lavoro e di ricerca che doveva dare i suoi frutti più maturi con i filosofi del V e del IV secolo. Il come,delle prime civiltà, non veniva rinnegato, ma assumeva una diversa valenza. Da finalità, si trasformava in strumento di indagine per capire, attraverso l'osservazione e la descrizione accurata delle cose, il meccanismo dei fenomeni e la natura della cose stesse. Il come descrittivo-analitico dei greci (e del mondo moderno) era il superamento del come narrativo delle antiche civiltà, che non spiegava nulla,ma forniva semplicemente una giustificazione dell'esistente e dei suoi fenomeni, e costituiva un insostituibile metodo di indagine per arrivare al perchè, alla causa, dei fenomeni attraverso una spiegazione fisica e non antropomorfica, come avveniva nel mito. I greci, con il loro pensiero speculativo, erano stati capaci di teorizzare il diritto di natura perchè intuito logicamente, ma solo i romani lo potevano applicare. Questi avevano una mentalità pragmatica. Essi rifuggivano da un discorso prettamente teorico senza alcun riferimento ad una applicazione tangibile e concreta. E la loro grandezza sta, appunto, in questo: pragmaticamente essi potevano applicare concetti astratti, quali quello del diritto di natura, ma questa applicazione non nasceva da una deliberata scelta ideologica: essa nasceva dall'esigenza concreta di rispondere ad un reale bisogno che si produceva nella società ( Gasset, 1973: 292 ). Nel mondo romano, non era la norma generale ed astratta che determinava il comportamento, ma era il comportamento che produceva la norma astratta. Era un processo che andava dall'esterno verso l'interno: dalla prassi alla teoria della codificazione e della sintesi. La fecondità e la maturità dei principi, di cui il diritto romano è portatore, ne hanno fatto la base del diritto di tutti gli stati neolatini moderni ( Losanno, 1978: 23 ). Ma anche i popoli anglosassoni, che pur hanno avuto una diversa esperienza giuridica, che si richiama direttamente all'esperienza dei popoli germanici, hanno preso a piene mani dai principi del diritto romano o quanto meno, " molto di più di quanto generalmente si ammette " (Watson, 1970: 3). Per esempio, il principio e il concetto di aequitas del diritto romano, cioè quel diritto che sta al di sopra e al di fuori della legge ordinaria tutte le volte che questa non riesce a garantire, per la sua rigidità, una giustizia giusta, lo ritroviamo riprodotto nel diritto anglosassone dell'Equity. Con il secondo lascito, il diritto romano, nel suo duplice livello di ius privatum e ius gentium, era portatore di una visione della giustizia che garantiva al singolo la più completa tutela. La norma non si limitava alla regolamentazione del comportamento esteriore, ma andava in profondità alla ricerca dell'intenzionalità del soggetto; cioè, andava alla ricerca della volontà del soggetto nel momento in cui commette il reato. Per il diritto romano, uccidere accidentalmente e uccidere intenzionalmente non è la stessa cosa. Una distinzione questa che non era percepita nel livello di struttura mentale pre-operatorio delle antiche civiltà e non sarà percepita neanche nel livello pre-operatorio dell'alto medioevo. Nel diritto romano "la volontà cosciente diviene il fondamento del diritto; le cause che infirmano il volere, come l'errore, il dolo, la violenza, sono al tempo stesso menomatrici del rapporto giuridico; 'la verità dei fatti piega benignamente la ragione delle leggi ' (Vico). “Sorgono così i tardi istituti della cura e della restitutio in integrum sconosciuto al diritto antico; la minuta casistica delle gradazioni della culpa, del dolus, dell'error, sonda le ignorate profondità del labirinto spirituale; l'aequitas rompe il rigido formalismo dello ius strictun; Cesare, come legislatore, spinge il riconoscimento della libertà individuale al punto da considerarla come un bene assimilabile alla proprietà, come un diritto inalienabile dell'uomo; tale è lo spirito della sua legge contro l'antico procedimento della bancarotta che poneva il debitore alla mercé del creditore " (De Ruggero, 1972, I: 18). Ma la tutela dell'individuo andava ben oltre. " Antonino, un prodotto della scuola stoica, dichiarò che in caso di dubbio la giustizia doveva essere pro reo e che ogni imputato è innocente finché non viene provata la sua colpevolezza - due supremi principi del diritto civilizzato moderno " ( Durant, 1950, III: 392 ). CONTINUA www.franco-delicetti.it www.francofelicettiblogspot.com

domenica 26 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (90): I GRECI INTRODUCONO L’UOMO-INDIVIDUO

I greci avevano inventato gli strumenti del pensiero razionale. Lentamente, e nei secoli, avevano inventato il concetto di ordine, di definizione, di generalizzazione, di classificazione, di descrizione, di associazione, di relazione, di causa, la logica, il sillogismo e la dialettica. E, con questi strumenti, mossero alla conquista della conoscenza, di cui non furono gli inventori. La conoscenza, infatti, è nata con l'uomo ( Reichenbach, 1974: 17 ), ma, fino ai greci, egli non ebbe mai coscienza di essere un soggetto che conosce. L'uomo primitivo, quello delle civiltà mesopotamiche e quello della civiltà egiziana, pur avendo accumulato, nei millenni, un'enorme massa di conoscenze, hanno sempre creduto che la conoscenza fosse un dono divino e non un affare dell'uomo. L'uomo era lo strumento del quale il dio si serviva per dare all'umanità una nuova tecnica o un nuovo metodo e nulla di più. Solo con i greci del V secolo a.C. l'uomo prende piena coscienza che la conoscenza è un'attività umana e non divina. E, con questa nuova consapevolezza, l'uomo greco si diede ad indagare sulle cose del mondo con i metodi che erano congeniali alla sua stirpe: il dialogo e la discussione, che stanno alla base del pensiero speculativo. Dapprincipio questa febbrile attività di ricerca fu indirizzata, con i filosofi delle città ioniche del VI secolo a.C., verso i problemi del mondo fisico per dare una risposta diversa alle domande di sempre, cioè alle stesse domande che si erano poste tutte le civiltà precedenti: chi siamo, da dove veniamo e dove siamo diretti. Il mistero dell'esistenza e del mondo fisico ha sempre affascinato l'uomo, sin dal suo sorgere, ed egli ha sempre cercato di darsene una spiegazione con gli strumenti intellettuali che possedeva. Fino ai greci, quando ancora gli strumenti intellettuali erano ai primi livelli, questa spiegazione fu basata sul mito, espresso primo in forma rozza e poi via via in una forma sempre più elaborata man mano che i livelli di struttura mentale passavano da quello sensomotorio dell'uomo primitivo a quello simbolico-transduttivo delle civiltà mesopotamiche ed egiziana. Il mito è stata la massima espressione intellettuale delle civiltà dell'Antico Oriente: la fonte regolatrice di tutti i rapporti: da quello istituzionale a quello sociale. L'uomo, in queste società, è una creatura degli dei, da cui ha ricevuto tutto e a cui deve tutto, compreso la vita, che non gli appartiene. I greci rappresentano un punto di svolta nel pensiero dell'uomo. Con essi scompare l'uomo-massa delle antiche civiltà e viene alla ribalta l'uomo-individuo, padrone dei propri destini e dotato di una curiosità intellettuale sconosciuta prima di lui: la ricerca della conoscenza fine a se stessa; cioè, la conoscenza per amore della conoscenza e non per trarne un utile immediato o futuro. E' da questo momento che nasce il pensiero speculativo, il pensiero che va alla ricerca del perchè delle cose e non del come esse avvengono. E questo spostamento dal come al perchè rappresenta una rivoluzione che ha cambiato i destini dell'uomo. CONTINUA www.franco-felicetti.it

martedì 21 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (89):L’EREDITA’ DELLA GRECIA CLASSICA

I greci non possedevano la capacità dell'astrazione formale, nè la possedettero altri popoli prima del XVII secolo. Per maturarla c'era bisogno di acquisire l'esperienza del medioevo cristiano e del mondo mussulmano. Solo in senso lato si può affermare che i moderni ripresero il cammino là dove lo avevano lasciato i greci. Come solo in senso lato si può affermare che i greci ripresero il cammino là dove lo avevano lasciato le antiche civiltà. Può essere vero alla lettera, ma non nella sostanza. I creatori di un nuovo paradigma sono portatori di un altro atteggiamento mentale e, soprattutto , sono liberi dal condizionamento del paradigma esistente. L'uomo del XVII secolo, quello che maturò il pensiero formale, era portatore di un'altra psicologia, di un'altra maturità che gli fecero vedere cose che i greci non videro (perchè non potevano), che gli fecero trarre delle conclusioni che i greci non trassero (perchè non ne possedevano i mezzi), che gli fecero arguire nuove possibilità che i greci non arguirono (perchè era al di là delle loro possibilità). Questa è la vera causa del loro fallimento. La porta del mondo moderno poteva essere aperta solo dai moderni. E per essere moderni bisognava acquisire prima le conoscenze e le esperienze del mondo medievale cristiano e del mondo mussulmano. La civiltà greca fu produttrice di conoscenze e di progresso nel campo intellettuale. Le conoscenze erano frutto della risoluzione di problemi che riguardavano l'uomo e , spesso, le soluzioni erano geniali. Nulla di più. Si può dire che l'uomo greco era nello stadio della verità scoperta, ma non aveva ancora la maturità di pensiero per raggiungere lo stadio della verità costruita. Cioè, in altri termini, egli poteva scoprire verità, ma non era in grado di programmare la loro costruzione. Non aveva un metodo per produrle. Non aveva il metodo scientifico del mondo moderno che fu il vero artefice del fall out tecnologico, che ha reso la nostra società capace di un progresso ininterrotto. La Grecia, come le grandi civiltà che l'hanno preceduta, era rimasta vittima del paradigma culturale raggiunto. La sua grande capacità assimilativa e la sua grande potenza creatrice avevano raggiunto il loro climax nel IV secolo, dopo l'organizzazione sociale si irrigidì e divenne ripetitiva e sparirono sia le capacità assimilative che la potenza creatrice e si consumava quello che si era prodotto nel passato senza nulla aggiungervi. E' come se le energie che avevano prodotto quella crescita si fossero interamente prosciugate e al loro posto fosse rimasto un vuoto orgoglio per l'alto grado di civiltà raggiunto. La crisi si palesò con il decrescere lento, in un primo momento, dell'accrescimento di nuovi elementi, interni ed esterni. Quando l'accrescimento di nuovi elementi sparì del tutto si entrò in un lungo periodo di stagnazione. Si consumavano le glorie del passato. A partire dal III secolo a.C., i greci entrarono in un lungo periodo di stagnazione. "Un osservatore del III secolo a.C. sarebbe rimasto sorpreso nell'apprendere che la civiltà greca stava entrando... in un lunghissimo periodo di decadenza intellettuale che doveva durare, con qualche sussulto e con qualche brillante uomo di retroguardia, fino alla presa di Bisanzio da parte dei Turchi" (Dodds, 1978: 244). Essi avevano prodotto un nuovo paradigma culturale, che era qualcosa di sconosciuto per il mondo antico, ma, finita l'attività creatrice, terminò con essa anche la tensione ideale che quella aveva prodotta e che è la sola che può condurre a nuovi risultati. "Ciò che era accaduto nella grande epoca della Grecia, [accadrà] di nuovo nell'Italia del Rinascimento... La liberazione dalle catene rese gli individui energici e creativi, producendo una rara fioritura di geni, ma l'anarchia... [rese] gli italiani collettivamente impotenti, ed essi caddero, come i greci, sotto il dominio di nazioni meno civili, ma non così privi di coesione sociale. "Il risultato fu però meno disastroso che nel caso della Grecia, perchè le nazioni divenute ora potenti, ad eccezione della Spagna, si dimostrarono altrettanto capaci degli italiani di insigni conquiste" (Russel, 1966, I: 17). Le conquiste dei greci non furono suscettibili di ulteriore sviluppo nell'immediato perchè lo stato, che si sostituì alla civiltà greca come organizzazione politica, aveva altri interessi e stava sviluppando un altro aspetto della personalità dell'uomo: quello pragmatico. E tutte e due queste civiltà rimasero vittime dell'andamento ciclico della storia e furono sopraffatte da altri popoli che non avevano ancora raggiunto la maturità di pensiero necessaria affinchè si verificasse l'effetto cumulativo. Il Rinascimento, invece, fu prolifico perchè le altre nazioni che stavano ai suoi confini erano intellettualmente in grado di recepire, assimilare, le sue conquiste e spingerle oltre. E questo si può spiegare con le condizioni generali dell'umanità nelle due epoche. La seconda, quella rinascimentale, era, la punta avanzata di un rinnovamento intellettuale generalizzato che interessava tutti gli stati del mondo europeo. La prima, quella greca, era, invece, inserita in un contesto mondiale fatto di popoli barbari, tranne uno, quello romano, che, però, nonostante fosse più efficiente nell'organizzazione politica e statuale, non era interessato all'attività speculativa. Nel campo delle scienze e della filosofia, infatti, il mondo romano non raggiunse mai il livello di struttura mentale dei greci. Esso non era un popolo di intellettuali. La conoscenza che lo attirava era quella "della scienza applicata e aveva poca pazienza per la teoria" (Africa, 1968: 68). Il romano era interessato a risolvere i problemi pratici dell'organizzazione sociale: costruire ponti, acquedotti, strade, bagni, amministrare la giustizia, organizzare un esercito, ecc. La cultura, fine a se stessa, era lontana dai suoi orizzonti mentali. Eppure, l'impero romano avrebbe potuto costituire "un serbatoio unico per la messa in comune dell'esperienza umana... "Nell'ordinamento scientifico della gran massa di nozioni rese così disponibili, non venne fatto nessun progresso. Non fu avanzata alcun ipotesi creatrice originale per ridurre ad un ordine un certo numero di fatti dispersi. Da tutti i dati accumulati non fu suggerita una sola invenzione importante. Nonostante l'esistenza di una grande classe agiata di uomini istruiti e anche colti, la Roma imperiale non diede contributi significativi alla scienza pura. Ricchi dilettanti, come Seneca e Plinio, con l'aiuto di un esercito di segretari greci, compilarono enciclopedie di scienza naturale. Sebbene un buon numero di osservazioni vere e nuove vi erano registrate, la loro disposizione è chiaramente asistematica, e il giudizio critico di Aristotele chiaramente assente. Per quanto Plinio respinga a parole la magia, la sua credulità è deplorevole " (Childe, 1949: 287-88). CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 17 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (88): I GRECI RIMASERO AL DI QUA DEL PENSIERO ASTRATTO FORMALE

Dopo aver acquisito il primo livello di struttura mentale (pensiero simbolico-transduttivo delle prima civiltà) attraverso l'organizzazione sociale e il sistema formativo-educativo, come era da loro concepito (Marrou, 1956: 39-40), i greci raggiunsero il secondo (pensiero operatorio concreto) e vi rimasero fermi fino alla maturità, per cui furono in grado di produrre teorie e sistemi. Ma il paradigma culturale non fu prodotto dai massimi pensatori dell'epoca: Socrate, Platone, Aristotele. esso fu prodotto dai loro predecessori, elemento dopo elemento (Lloyd,1981: 257 ). Essi furono i suoi sistematizzatori (Wiener-Noland, 1957: 19) ed ordinatori, e rappresentano il punto più alto della parabola del paradigma. "Per la fine del III secolo a.C. l'età eroica della scienza greca era finita. Da Platone ed Aristotele in poi, le scienze incominciarono a cadere in disgrazia e in una lunga decadenza e le conquiste dei greci furono riscoperte solo un millennio più tardi. “L'avventura Prometeica, che era iniziata intorno al 600 a,C., aveva esaurito il ciclo di vita nello spazio di tre secoli: e fu seguito da un periodo di ibernazione che durò tre volte tanto" (Koestler, 1959: 22). Come livello di struttura mentale, i greci arrivarono alle soglie del mondo moderno. "Da Aristarco a Copernico non c'è, come logica, che un passo; da Ippocrate a Paracelso non c'è che un passo; da Archimede a Galileo non c'è che un passo" (Koestler, 1959: 22). Essi avevano tutte le conoscenze per varcare questa soglia, ma non ne furono mai capaci e non potevano esserlo. Anche loro erano soggetti alla ferrea legge dei livelli di struttura mentale, secondo la quale nessun popolo, nessuna civiltà maturò più di un livello in via filogenetica. In via ontogenetica, invece, ne maturava tanti quanti ne erano stati prodotti filogeneticamente. I greci maturarono il secondo livello e vi rimasero fermi. Secondo alcuni (Farrington, 1982: 163-65), essi non varcarono la soglia del mondo moderno non perchè mancassero di talenti individuali, ma per l'organizzazione che si era data la società, divisa tra liberi e schiavi. Ai primi era riservato il diletto del pensiero fine a se stesso (al solo scopo di promuovere la propria formazione personale), ai secondi era riservato il lavoro manuale. Il primo rendeva l'individuo superiore, il secondo lo abbrutiva. E tra le due classi una netta separazione. Tra le due sfere non c'era e non ci poteva essere alcuna comunicazione, nè interscambio di idee ed esperienze. Il fallimento della scienza greca è dovuta proprio alla incapacità della società a superare questa contraddizione. Questa, come altre, sono spiegazioni che rimangono alla superficie del problema, senza affrontarlo nella sua vera natura. Ogni società si dà l'organizzazione sociale che ha maturato all'interno del suo paradigma culturale. I greci, nè individualmente, nè collettivamente, possedevano i mezzi per spingersi oltre la soglia del mondo moderno. Essi non possedevano la maturità di pensiero, il grado di intelligenza per andare oltre. Per farlo, essi avrebbero dovuto sviluppare l'intelligenza astratta formale e cioè l'intelligenza che non si limita ad astrarre dalla realtà (o astrazione semplice, capacità che essi avevano raggiunto), ma l'intelligenza che supera la realtà concreta per trasferirsi su un altro piano, in cui il reale è solo il punto di partenza per elaborare concetti che lo travalicano e lo inglobano nello stesso tempo. Ai greci, per esempio,"l'astrazione di uno Stato, che è essenziale per il nostro modo di intendere, era loro sconosciuta, mentre il loro fine era la patria vivente: questa Atena, questa Sparta, questi templi, questi altari, questa maniera di vivere, questa cittadinanza, questi costumi e queste consuetudini" (Hegel, 1956: 245, il grassetto è nostro ). CONTINUA www.franco-felicetti.it

lunedì 13 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (87):L’INTUIZIONE COME CONOSCENZA

Fino ai tempi di Euclide non si prese coscienza della differenza tra conoscenza oggettiva e soggettiva. Pitagora, Aristotele ed Euclide credevano che il prodotto della loro speculazione fosse una realtà oggettiva e non soggettiva. Il primo credeva che i numeri fossero una realtà del mondo reale e non un prodotto della sua mente (Singer, 1961: 32), il secondo credeva che la gerarchia della logica delle classi fosse insita nell'universo e non un prodotto del suo pensiero. In Grecia non esiste un soggetto che conosce (soggetto epistemologico), cioè un soggetto che sia cosciente che quello che produce sia farina del suo sacco (Piaget). L'uomo greco crede sempre che quello che escogita sia realmente esistente nella realtà e non che sia la sua mente a dare ordine alla realtà esterna. Il mondo delle idee di Platone è, per lui, una realtà oggettiva e non un prodotto del suo pensiero che serviva per spiegare la realtà. Le intuizioni dei greci non sono ipotesi. Le ipotesi, come le intendiamo nel senso moderno, sono delle congetture che prendono in considerazione il dato reale osservato (e quindi certo) e il dato possibile, cioè di come un dato fenomeno dovrebbe accadere o come una cosa dovrebbe funzionare in base ai suggerimenti che lo scienziato ha tratto dal dato certo. "Di regola, la costruzione delle ipotesi è la parte più difficile del lavoro dello scienziato, e anche la parte per cui è indispensabile una grande abilità" (Russel, 1974, III: 714-15). Ma l'ipotesi (che non è una verità certa, ma possibile) va verificata sperimentalmente. I greci, non solo non possedevano questa capacità di astrarre delle supposizioni o congetture dal dato reale osservato, ma non si posero mai il problema di una verifica sperimentale. Essi potevano operare, con le capacità che avevano maturato, sul dato concreto per fornire una dimostrazione logica, e questo fecero. Il metodo sperimentale era lontano dalla loro portata e non lo raggiungeranno mai. L'ipotesi greca è "un postulato che si deve accettare per poter discutere; letteralmente significa dunque 'fondamento'" (Singer, 1961: 271). Essi ebbero delle intuizioni geniali (Sambursky, 1963: 244), che avrebbero costituito le basi di tutto il sapere umano. L'intuizione atomica di Democrito (la materia è costituita da particelle infinitesime dette atomi). L'intuizione di Aristarco sul sistema solare (è la terra che gira intorno al sole e non il contrario). L'intuizione di Eratostene sulle maree (tra il moto apparente della luna e le maree vi era una relazione). L'intuizione della scuola medica di Ippocrate di Coo (il cervello è la sede in cui si forma il pensiero), ecc. Ma, per dimostrare che quelle intuizioni erano vere, in senso scientifico e non logico, l'uomo ha dovuto percorrere tutto il cammino dell'evoluzione della mente umana nei suoi livelli di struttura mentale per raggiungere, dopo 2000 anni, il porto del pensiero scientifico moderno, o pensiero operatorio formale, che si raggiunge solo nel XVII secolo della nostra era con il metodo ipotetico-deduttivo. Bisogna, però, stare attenti a non confondere le cose. I greci partirono dal metodo intuitivo-deduttivo, che era il superamento del pensiero simbolico-transduttivo delle prime civiltà e di quello intuitivo dei presocratici. Nel medioevo e nel primo Rinascimento si scoprirà il metodo induttivo-ampliativo, che era il superamento di quello intuitivo-deduttivo dei greci. Nell'epoca moderna, il distacco dalla realtà, a cui i greci erano legati, avviene tramite il metodo ipotetico-deduttivo, che programma la scoperta della verità attraverso un atto intuitivo (su cui si fonda l'ipotesi), ma che è ben lontano dalla intuizione dei greci, in quanto esso non si basa sull'induzione semplice o sommativa (greci), da cui intuitivamente si generalizza, ma proviene dalla capacità di correlare più punti di vista o conoscenze o informazioni o fatti osservati o dati raccolti che rendono plausibile l'ipotesi stessa. La teoria della conoscenza di Aristotele è fondata sul doppio principio della intuizione-deduzione. L'induzione*. attraverso i sensi (è il solo momento di contatto con la realtà fisica), è utile per acquisire quegli elementi che servono a far scattare l'intuizione. La conoscenza, quindi, è un atto dell'intelligenza che vede chiaramente i principi contenuti nell'esperienza pratica (induzione). La conoscenza, insomma, per Aristotele è assiomatica. I filosofi greci, tra cui Aristotele e Platone, non diedero alcuna spiegazione scientifica della realtà, ma elaborarono un metodo analogico dove la spiegazione veniva inferita piuttosto che analizzata (Reichenbach, 1974: 23-24). Questi filosofi davano delle spiegazioni che erano basate sulla logica del ragionamento e sulla osservazione superficiale dei fenomeni naturali, da qui la necessità del metodo analogico. CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 10 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (86):IL LIMITE DEL PENSIERO GRECO

La Grecia era arrivata, superando le civiltà dell'Antico Oriente, alla generalizzazione e alla logica, ma non seppe arrivare al concetto di legge fisica della natura. La natura rimaneva ancora animata e cosciente. L'uomo greco non poteva conoscerla. Solo il suo creatore poteva farlo. L'uomo poteva conoscere solo ciò che egli stesso aveva creato. La natura era più forte di lui e le doveva obbedienza (Vernant, 1982: 339 ). Nella spiegazione del mondo fisico, i greci non andarono oltre l'intuizione corredata dalla generalizzazione. E questo modo di vedere le cose rimase in auge per più di duemila anni, sotto la torreggiante autorità di Aristotele. Questa concezione, che non era basata sull'osservazione dei fenomeni, ma solo sull'intuizione che di essi se ne aveva e sulla generalizzazione razionale, sarà superata solo nel secondo Rinascimento (Einstein-Infeld, 1965:19). Essi (Platone, ecc.) sostenevano che la vera conoscenza era un atto della ragione (per questo essi sono chiamati razionalisti), ecco perchè era privilegiata la conoscenza matematica, che, attraverso postulati o assiomi fissati intuitivamente, consentiva, attraverso la deduzione, di raggiungere la verità o conoscenza (Reichenbach, 1974: 43). Per i greci, comunque, i dati dell'esperienza sensibile servivano per fornire, induttivamente, materia all'intuizione. Il processo si svolgeva in quattro momenti: induzione ---> intuizione ---> assioma ---> deduzione. La ragione, quindi, era la sola fonte di conoscenza. "Per Platone, la scienza che trattava con il mondo dei sensi non era scienza, ma era un plausibile mito" (Cornford, 1926: 578). Maturati gli elementi del pensiero razionale, i greci si diedero ad indagare (nel V secolo) sui problemi dell'uomo attraverso un rigoroso processo logico. Attraverso l'induzione semplice essi intuivano una verità (postulato, assioma), che essi ritenevano indimostrabile perchè evidente per se stessa (Platone) e da questa partivano, attraverso il processo del metodo deduttivo, di cui Platone fu il sistematizzatore, alla conquista di altre verità consequenziali ed incontrovertibili(corollari). Non importava se l'intuizione era vera o falsa. Il rigore del processo deduttivo faceva sempre arrivare a conclusioni che erano valide (per quell'impostazione) e concordi con la premessa. Questo era il loro limite: la verità oggettiva era irraggiungibile. La verità era soggettiva, anche se essi non ne presero mai consapevolezza. CONTINUA www.franco-felicetti.it

sabato 27 aprile 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (85): LA NASCITA DEL PENSIERO LOGICO

L'atomismo è il coronamento dell'evoluzione del pensiero nella spiegazione del mondo fisico: é il prodotto di un dio (antiche civiltà )---> è il prodotto della trasmutazione delle sostanze (filosofi monisti greci)---> è il prodotto della combinazione di elementi che agiscono secondo le leggi umane (filosofi pluralisti)---> è il prodotto di un'entità (mente) che tutto ordina e tutto razionalizza (Anassogora)---> è il prodotto di forze meccaniche (filosofi atomisti). La definizione, inventata dai greci, è molto importante nella maturazione del pensiero razionale. Definire significava attribuire delle qualità al definendo e queste qualità, a loro volta. erano comuni a molti e, quindi, si poteva generalizzare. Quello che fa il greco è di analizzare e riflettere per descrivere la realtà che gli sta di fronte con i suoi fenomeni. Da questa descrizione-analisi nascono le definizioni, le generalizzazioni, i paragoni, le similitudini, la contrapposizione (dialettica), l'ordine, la classificazione, la sistematicità, il principio di identità, il sillogismo e sorgono i metodi induttivo e deduttivo. Nella concatenazione dei fatti naturali si incomincia ad intravvedere la legge di causa ed effetto (Snell, 1963: 296). Il pensiero logico, il cui primo esempio risale al principio di identità o di non contraddizione di Parmenide, sorge, nella piena maturità, con Socrate, quando si acquistano le capacità di connettere più punti di vista (Snell, 1963| 296) per ricavarne un terzo (proprietà transitiva; Snell, 1963: 296-97) e di coordinare diverse informazioni tra di loro per raggiungere un sistema di rapporti. La logica, che raggiunge la sua massima perfezione con Aristotele, fu lo strumento principe che condusse alla riflessione sistematizzata. Il processo che ha portato l'uomo a questa più avanzata capacità di pensiero si è svolto secondo il seguente schema: la capacità acquisita di coordinare più punti di vista o percezioni o intuizioni (questo è importante) lo condusse all' invenzione della logica; l'invenzione della logica gli diede una maggiore capacità di riflessione e la maggiore capacità di riflessione lo rese capace di produrre teorie e sistemi. I greci avevano scoperto la logica e la dialettica ed avevano inventato il metodo induttivo e quello deduttivo e, con questi strumenti, mossero alla interpretazione del mondo fisico e di quello dell'uomo. Più che una dimostrazione fisica dei fenomeni, però, che avrebbe richiesto una conoscenza tecnica che essi non possedevano, essi fornirono una dimostrazione logica (Vernant, 1982: 330). Le tecniche da affare divino, come erano state nelle antiche civiltà, erano diventato affare dell'uomo, ma questo non poteva agire su di esse con la riflessione critica per ricavarne delle leggi generali. Esse, in effetti,- sfuggivano al suo controllo (Vernant, 1982: 335). CONTINUA www.franco-felicetti.it

domenica 21 aprile 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (84): SOCRATE

Ma chi rivoluzionò il mondo intellettuale greco fu "Socrate, che operò nel pensiero antico una rivoluzione Copernicana di un altro genere. Fino a quel momento la filosofia guardava al passato per trovare l'origine di tutte le cose. Socrate rivoluzionò tutto e ingiunse di guardare al fine, [perchè anche per lui, come per Parmenide, la verità del mondo fisico è inconoscibile] - al bene per cui il mondo esisteva e non alla fonte da cui scaturiva. L'effetto sulla fisica fu disastroso. Per la prima volta nel pensiero greco emerse la dottrina di un creatore benevole, la Mente di Anassogora, che si assunse il compito di disegnare il mondo come modello perfetto" (Cornford, 1926, IV: 578). Il monismo e il pluralismo, come lo intendeva Empedocle, non riuscirono a dare una spiegazione soddisfacente del reale. "Il pensiero greco era arrivato al punto di incominciare a sentire il bisogno di una causa prima... L'idea di una materia che muoveva se stessa non era più soddisfacente. E se la ragione richiedeva una causa prima, allora, per quanto razionale e libero da pregiudizi religiosi un filosofo possa essere, egli si trova inevitabilmente costretto a fare ricorso ad una causa non materiale e deistica" (Guthrie, 1957: 52). Anassagora (500-428) fu il primo a postulare la creatività dell'intelligenza "e con ciò introdusse nella filosofia greca la nozione determinante che il mondo sia in qualche modo il risultato della ragione, di una ragione che non è una parte, nè un prodotto della natura, ma che è diversa nella sua essenza da essa e tale da governare la natura stessa" (Cherniss, 1982: 168). Tuttavia la mente, per Anassagora, non è un'entità astratta, ma è una forza sostanziale che "contiene due concetti: il movimento e l' intenzionalità" ( Sherrard, 1971, II: 452 ). L'atomismo di Democrito (460-357) e Leucippo ( 450 c.) fu la sintesi naturale di questa evoluzione di pensiero (Bailey, 1928: 11). Se i primi (monisti, pluralisti, Anassagora) avevano prodotto analiticamente le conoscenze, quest'ultimi (gli atomisti) crearono la sintesi. Essi fanno proprio il principio di identità di Parmenide, ma nello stesso tempo riconoscono la validità del principio del mutamento di Eraclito. L'essere e il non essere, il pieno e il vuoto, sono entrambi esistenti e si materializzano nelle infinitesime particelle (atomi: l'essere, il pieno, il principio di identità) di cui è costituita la materia e nello spazio vuoto (il non essere, il vuoto) in cui esse si muovono (principio del mutamento ) (Zeller 1931: 65-67). Era il pensiero dei greci che si evolveva e creava i suoi strumenti. "La loro logica, la loro idea, la loro capacità di astrazione aumentavano man mano che si impadronivano del problema" (Farrignton, 1982: 39). CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 12 aprile 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (83):FILOSOFI IONICI: EMPEDOCLE, PARMENIDE

Empedocle (484-424), il primo dei pluralisti, si definisce empirista e non razionalista. Per lui l'origine del mondo non poteva essere un solo elemento, come avevano sostenuto i suoi predecessori monisti. Egli pensava ad una pluralità di elementi. Secondo lui, gli elementi, che avevano dato origine al mondo, erano quattro: il fuoco (Eraclito), l'acqua (Talete), l'aria (Anassimene) e la terra (Ferenzi ). Con questo egli "fonda per i secoli a venire la teoria classica dei quattro elementi" (Brunschvicg, 1922:117), che "rimarrà, con delle eccezioni importanti, la teoria prevalente fino alla rivoluzione della chimica del XVIII secolo" (Schlagel, 1985: 123). Egli utilizzò chiaramente la proprietà transitiva (Snell, 1963: 301), che doveva condurre al sillogismo, un'altro elemento importante del pensiero razionale, ma, nella sua teoria della conoscenza, ritornò alla spiegazione mitica, correggendola in un solo punto. In effetti, con la sua teoria dei contrari (Amore, Discordia, ecc. ), egli introduce un ordine della natura, dal primitivo Kaos, che differisce dalla spiegazione mitica delle prime civiltà solo nell'agente ordinatore. Se nelle antiche civiltà era un dio che divideva gli elementi dal Kaos originario per unire il simile al simile (la terra alla terra, l'acqua all'acqua, l'aria all'aria, ecc.), per Empedocle, invece, quest'ordine viene creato da una entità astratta, una forza non definita chiamata Discordia. Parmenide (500 c.) occupa un posto particolare. Mentre egli rappresenta il punto di svolta nella formazione del pensiero razionale (Lloyd, 1987: 422) che, con lui e il suo principio di identità o non contraddizione, acquista consapevolezza di sè, nel campo della conoscenza rappresentò un freno inibitore, bloccando, sul nascere, la scienza empirica di Senofane, Eraclito, Alcmeone, ecc., affermando che l'uomo non può arrivare al sapere, ma solo un dio glielo può dare. Era un ritorno ad Omero ed Esiodo, ma solo in apparenza, perchè la verità che Parmenide riceve da una dea, oltre le porte del giorno e della notte, è una verità che si presenta "nella forma di una deduzione logica, condotta a partire da premesse autoevidenti, che è la forma nella quale le verità della geometria si presentano all'anamnesi. Parmenide fu dunque il profeta della ragione che tiene in dispregio i sensi" (Cornford, 1982: 187). E, in effetti, egli afferma che ci sono due vie per raggiungere la verità: quella della ragione e quella dei sensi ed egli si dichiara per la prima (Bailey, 1928: 25). Il dubbio di Parmenide sul problema della conoscenza è basato solo sulla inconoscibilità del mondo fisico, in quanto esso può essere conosciuto solo dal suo fattore (creatore), il dio appunto. Questo spostamento d'interesse, annunciato da Parmenide, sarà reso esplicito dai sofisti (Kerfed, 1988 ), allievi ed eredi diretti dei naturalisti, di cui sono "la continuazione e insieme l'antitesi... L'antitesi esiste in particolar modo nell'atteggiamento dei pensatori dei due periodi: scientifico i primi, preoccupati più che altro dell'indagine sui principi supremi delle cose; pratico nei secondi, volto a rivoluzionare l'ordine esistente delle cose, secondo alcune premesse chiaramente definite" (De Ruggero, 1974, I: 167). CONTINUA www.franco-felicetti.it

sabato 6 aprile 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (82):FILOSOFI IONICI: ANASSIMANDRO, ERACLITO, ANASSAGORA, ANASSIMENE,

L'originalità di Talete e degli altri pensatori Ionici furono le loro intuizioni nell'analisi del mondo fisico. Analisi che, ancora una volta, non avveniva in modo cosciente, nel senso che essi si diedero ad analizzare la natura, nel suo insieme, attraverso i suoi componenti. Niente di tutto ciò. Essi erano interessati solo a ricercare "l'archè delle cose, ciò che indica l'origine come pure il principio" (Ehrenberg, 1973: 65) di ogni cosa nella sua singolarità. Cioè, essi sostituivano il dio delle vecchie civiltà, come agente creatore e ordinatore del mondo fisico, con un elemento, ed uno solo della natura. Con questo atto, però, è l'intelligenza dell'uomo che incomincia a mettere ordine dove ordine non c'era. Il dio viene detronizzato. Col mondo fisico egli non c'entra, almeno nella mente di questi filosofi. La verità viene intuita attraverso l'esperienza umana. La ricerca dell'archè li portò ad osservare ed analizzare il mondo che conoscevano nei suoi vari elementi costitutivi. Talete aveva iniziato quest'osservazione scoprendo il ciclo dell'acqua, "intendendo con questo un'essenza mobile, cangiante, fluttuante, priva di forma e colore determinato e soggetto a un ciclo di esistenza per cui passava dal cielo e dall'aria. da qui ai corpi vegetali e animali e di nuovo all'aria e al cielo " (Singer, 1961: 26 ). Anassimandro (611-546), allievo di Talete, non ha una chiara idea dell'elemento fondamentale che, secondo lui, non può essere nessuno di quelli esistenti in natura perchè questi hanno qualità (caldo-freddo, umido-secco, ecc.) opposte che sono in eterna lotta fra di loro per stabilire sull'altro il proprio predominio e che solo la giustizia, a cui tutto si riconduce, tiene in equilibrio. E' l'idea dei contrari, la teoria degli opposti, che troverà, più tardi, con Eraclito, una sua più matura definizione nel processo del pensiero dialettico. Per Anassagora, "la sostanza primigenia, quindi, in questa lotta cosmica, deve essere mentale " (Russel, 1966,I:56), deve essere qualcosa di indefinito e di indeterminato, che egli chiama apeiron, da cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna (Cornford, 1952: 160). Secondo questo filosofo, la terra, a forma di colonna tronca, si trova al centro dell'infinito e resta in equilibrio, in una posizione di "indifferenza "(Lloyd, 1979: 68), perchè soggetta a forze uguali e contrarie. L'infinito, per lui, era circolare, in analogia all'agorà. Egli aveva mutuata questa analogia dall' organizzazione politica della città con il suo centro circolare (agorà), in cui si dibattevano i problemi della comunità. Con questa analogia egli faceva fare un passo avanti nella direzione del pensiero razionale, maturando i concetti di simmetria, uguaglianza e reversibilità. Egli afferma, anche, maturando un'idea evoluzionistica, che l'uomo deve provenire da un altro animale perchè, essendo l'unico che bisogno di un lungo periodo di assistenza alla nascita, non sarebbe sopravvissuto altrimenti. Egli suggerisce i pesci Anassimene (580-520) è il primo a postulare il concetto di unità della materia (Tannery, 1930-4: 183). Egli lascia da parte l'indeterminato di Anassimandro e si ricollega a Talete, affermando che il principio di tutte le cose non è l'acqua, ma l'aria perchè essa ha le qualità di condensazione e rarefazione (Burnet, 1968: 19) e da essa si generano, per trasmutazione, il fuoco, il vento, le nuvole, l'acqua, la terra e le pietre. E con questo egli introduce il concetto di trasmutazione delle sostanze, cioè l'archè originario si conserva e si trasmuta per aggregazione o disaggregazione. "Perchè, secondo Anassimene, anche l'acqua, la terra e il fuoco sono in realtà aria in un altro stato di aggregazione " (Fritz, 1988: 38). Con Eraclito (535-475), l'ultimo e il più noto dei monisti, la ricerca prende un'altra direzione. Non è più indirizzata al mondo fisico, ma al problema della conoscenza, cioè non è più interessata alla natura del mondo fisico, ma al suo funzionamento (Kirk, 1962: 111). Egli introdusse il concetto dialettico dell'essere e del non essere. Per lui, la realtà nella sua permanenza è un'illusione. L'unica vera realtà è il mutamento, il divenire. L'elemento fondamentale per Eraclito è il fuoco, "un fuoco eterno", che si converte in acqua, la quale in parte si consolida in terra e in parte si solleva in forma di tromba d'aria che, a sua volta col moto, si arroventa e ritorna fuoco. Inventando l'essere e il non essere e il processo del divenire, "che ricerca l'accordo nei contrasti, la permanenza nel mutamento" (De Ruggero,1974: 95), Eraclito inventò la dialettica: un nuovo e formidabile elemento del pensiero razionale in formazione. Prima di lui il ragionamento non aveva forza perchè non utilizzava adeguatamente "una legge di contrasto e di armonia che domina tutta la natura" (De Ruggero, 1974: 93). Eraclito viene anche accreditato come l'iniziatore del processo che condusse al " severo metodo della deduzione analogica " (Snell, 1963: 306-7 ). Per Eraclito, Senofane, Alcmeone, ecc., la conoscenza appartiene solo al dio. All'uomo, secondo Alcmeone, "è dato solo congetturare" in base ai dati forniti dall'esperienza visibile, la sola fonte di conoscenza per l'uomo, mentre il dio conosce anche le cose invisibili. "... L'uomo può collegare fra loro le percezioni sensibili ed inferire così sull'invisibile. Ma in tal modo l'indagine, che Senofane aveva indicato per primo come la via per elevarsi al di sopra del sapere umano abituale, si trasforma in un metodo stabile ed ordinato. Un medico, che era abituato a risalire dai sintomi alla malattia, ha formulato le regole universalmente valide di questo suo procedimento, e in seguito altri medici, Empedocle e gli Ippocratici, hanno sviluppato da qui il cosiddetto metodo induttivo. E' questo l'inizio della scienza empirica della natura" (Snell, 1963: 203).

lunedì 25 marzo 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (81): I FILOSOFI IONICI: TALETE

Ecco qual è stata la rivoluzione dei fisici della Ionia. Essi utilizzavano le conoscenze acquisite per dare una spiegazione fisica e non religiosa dell'universo, come avevano fatto le civiltà precedenti. Essi non trattavano più caso per caso (intelligenza transduttiva), ma erano capaci di relazioni d'insieme (intelligenza intuitiva), anche se ancora non spiegabili razionalmente. La spiegazione razionale è semplicemente accennata, s'intravvede, ma è ancora lontana. "In quanto al metodo scientifico non si può supporre la sua esistenza in un periodo in cui la logica-deduttiva ed induttiva non esisteva (Beare, 1906: 4). La spiegazione razionale sorgerà, in tutta la sua potenza, nel corso del V secolo, quando tutti i suoi elementi si saranno formati uno ad uno: dal concetto di ordine, classificazione, definizione, generalizzazione, reversibilità, al principio di identità, della dialettica, della logica, per finire ai metodi stessi della razionalità: induzione, assioma, deduzione, sillogismo, ecc. "La tendenza filosofica rappresentata dai presocratici è stata a volte chiamata 'materialismo', con l'eccezione di Anassagora. Ma dobbiamo ricordarci che la distinzione tra natura e spirito, tra materia e mente, era completamente estranea all'originario pensiero greco. “I greci hanno sempre immaginato la natura come animata. Sarebbe più corretto parlare di ilozoismo. Il problema della vita e della mente non esiste per questi pensatori, Poiché tutto è vivo e la mente pervade tutto, sebbene con varia gradazione"(Runade-Kaul,1967,II:28). Talete (624-547) fu il primo che iniziò questo nuovo tipo di indagine. Le sue riflessioni sulla matematica "acquistano un significato considerevole se confrontate con quelle egiziane. Il punto di vista egiziano fu fondamentalmente pratico, specifico, induttivo; mentre i greci mostrano già la loro caratteristica tendenza alla generalizzazione astratta, alla prova logica e al metodo della scienza deduttiva. La maggior parte delle conoscenze di Talete erano di provenienza egiziana, ma questi non seppero metterli in relazione tra di loro. Per i greci, invece, queste conoscenze segneranno l'inizio dello straordinario sviluppo della geometria" (Sedgwick-Tyler, 1917: 45). La capacità di Talete, ed invero di tutti i pensatori presocratici, fu quella di trarre delle generalizzazioni dalle conoscenze che i babilonesi e gli egiziani avevano accumulato nei millenni. Così egli fu il primo a dare una precisa definizione delle figure geometriche senza inventare nulla. Egli, infatti, definì i primi cinque teoremi della geometria: il cerchio è bisecato dal suo diametro, gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali, gli angoli opposti di due rette intersecantesi sono uguali, l'angolo inscritto in una semicirconferenza è un angolo retto, un triangolo è predeterminato se ne sono dati la base e gli angoli rispettivi ad essa. Con queste generalizzazioni nasceva la matematica moderna. "La matematica che non solo risponde alla domanda 'come'?, alla maniera della matematica orientale, ma si pone anche la domanda che caratterizza la scienza moderna 'perchè'? " (Struik, 1981:52). Talete stabili l'acqua come elemento fondamentale che generava tutte le cose animate ed inanimate. Sull'acqua giaceva la terra. "La sua affermazione che il mondo è fatto di acqua (o a partire dall'acqua) implicò un nuovo, e in potenza rivoluzionario, rivolgimento concettuale" (Hall-Hall, 1979: 20) perchè ci si emancipava dal divino per mettere al suo posto la natura, anche se ancora una natura animata secondo la tradizione delle civiltà precedenti. Talete è importante non solo perchè egli formulò la prima generalizzazione da cui, più tardi, scaturirà il pensiero deduttivo (Neale-Neale, 1971: 3-4), la massima conquista dei greci, ma anche perchè egli dimostra due cose: l'influenza che egli subì dal pensiero delle civiltà del Vicino Oriente, che egli visitò a più riprese,e la sua vocazione a trovare una spiegazione naturale al mondo fisico che si emancipasse dalla visione antropomorfica del mito. Comunque, sembra che Talete non avesse la capacità di provare le sue generalizzazioni, anche se egli cercò, con il suo metodo della sovrapposizione, di fornire una qualche dimostrazione (Fritz, 1988: 20). Egli, e gli altri pensatori della scuola Ionica, operava a livello intuitivo e non razionale. Le sue generalizzazioni non scaturivano da rigorose dimostrazioni logiche, come avverrà da Parmenide in poi (il vero inventore, con il suo principio di identità, del pensiero razionale), ma scaturivano dal comune buon senso. Egli fissò coscientemente anche il concetto di similitudine, che era stato usato per prima da Omero, se è vero che egli misurò la piramide attraverso la sua ombra. Il principio primordiale delle cose, intuito da Talete, può essere definito il principio di causa materiale? Non ancora, anche se l'intuizione andava in questo senso. Certo, lo spostamento è notevole. Prima di lui predominava il principio antropomorfico delle cose (mito): egli spostò l'interesse verso il principio impersonale e materiale delle cose, che era pur presente nella spiegazione mitica, ma non era percepito in quanto il deus ex machina era il dio. Talete, dal mito babilonese della creazione del mondo, in cui Marduk creò tutte le cose dalle acque, "tolse la figura di Marduk... [e affermò] che tutto era stato creato dalle acque attraverso un processo naturale, come nell'origine del delta del Nilo " (Farrington,1982: 37). Era una diversa lettura del mito, dove il dio veniva completamente eliminato e la natura veniva alla ribalta. Era l'inizio dell'affermazione della conoscenza razionale del mondo fisico. CONTINUA www.franco-felicetti.it

sabato 16 marzo 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (80): IL RUOLO DELLE GRANDI INDIVIDUALITA’GRECHE

In questo senso, anche se l'affermazione piagetiana, seconda la quale Archimede aveva una maturità di pensiero che ha il ragazzo dei tempi moderni, è vera, non è meno vero che lo stesso "Archimede, relativamente alla sua epoca, aveva la stessa grandezza di pensiero che ha Einstein nell'epoca moderna" (Seltsman-Seltsman, 1985: 337). "Secondo un modo di dire che è diventato quasi proverbiale, e che è veridico nella misura in cui possono esserlo simili luoghi comuni, lo scolaro dei nostri giorni ne saprebbe più di Aristotele; ma anche se fosse mille volte più vera, questa circostanza non conferisce allo scolaro moderno neppure una frazione dell'intelletto del grande pensatore greco. “Sul piano sociale -poiché la conoscenza non può non essere un fatto sociale- ciò che conta è la conoscenza stessa e non il maggiore o minore sviluppo di questo o quell'individuo; allo stesso modo, ma inversamente, lo psicologo e il genetista che intendono misurare la vera forza o la grandezza della persona trascurano nelle loro comparazione lo stato generale di sviluppo intellettuale e il vario grado di sviluppo della civiltà. “Cento individui, tra i nostri antenati cavernicoli, che avessero avuto l'intelletto di Aristotele, sarebbero stati, per nascita, altrettanti Aristoteli, ma avrebbero contribuito al progresso della scienza molto meno di una mezza dozzina di mediocri sgobboni del ventesimo secolo. Un super Archimede dell'era glaciale non avrebbe inventato nè le armi nè il telegrafo" (Kroeber, 1976: 63). Nello sviluppo mentale dell'individuo moderno si possono riscontrare, in via ontogenetica, i passaggi obbligati dello sviluppo mentale che l'uomo ha maturato in via filogenetica. E' la trasmissione dei dati della conoscenza che provoca l'ontogenesi: quello che è stato raggiunto dall'uomo in millenni di storia si ripercorre nella vita di un singolo individuo, grazie all'ambiente sociale, organizzato in base alle conquiste accumulate, e al sistema educativo. L'individuo rimane in ogni singolo livello giusto il tempo per maturarlo e passare al livello successivo, secondo un processo di istruzione programmata (sistema educativo) che gli fornisce, ad ogni livello, la nuova sintesi. Il blocco della trasmissione della eredità sociale significherebbe anche il blocco della crescita dei livelli, se non addirittura un loro regresso, come avvenne nel medioevo. Per questo motivo, un cavernicolo dal cervello di un Aristotele o di un Einstein non avrebbe prodotto un bel nulla. La trasmutazione delle sostanze è l'anello di congiunzione tra l'assimilazione egocentrica e quella razionale. I pensatori delle città ioniche non si discostarono dall'interesse fondamentale delle antiche civiltà, che era quello della spiegazione del mondo, ma rimasero ad essa attaccata correggendola in un solo punto, proprio come aveva fatto Omero rispetto alla concezione della materia. Così, il mondo, per questi pensatori, non era più il prodotto di un dio, ma derivava da un'altra sostanza primordiale di cui è fatto. Da qui la teoria degli elementi costitutivi e la loro evoluzione. Il mondo non è creato e non è soggetto alla legge biologica, ma deriva, per trasmutazione, da altre sostanze elementari. "E’ questa trasmutazione era resa possibile da un moto eterno della materia, il quale moto non era indotto da un agente, ma costituiva la sua stessa essenza" (Guthrie, 1962, I: 4 ). I presocratici avevano superato il pensiero transduttivo dell'età precedente (analogia immediata) e si incamminavano verso il pensiero operatorio concreto. Essi facevano ancora ricorso all'analogia, non più immediata e antropomorfa, ma ad una analogia che utilizzava l'esperienza umana nel campo "sociale (giustizia, guerra, ecc.) e nel campo delle arti e della tecnica" (Furley, 1973, IV: 46; anche Lloyd, 1973, I: 60) per trarre delle generalizzazioni. Ma accanto all'analogia maturarono altri strumenti. "Molte delle dettagliate teorie che i Presocratici avanzarono nel campo dei fenomeni fisici, psicologici e fisiologici erano basate sugli opposti" (Lloyd, 1966: 16), destro-sinistro, caldo-freddo, veglia-sonno, secco-umido, ecc. Essi, inconsapevolmente, avevano tracciato un nuovo solco nella ricerca della verità. Essi andarono alla ricerca di un principio unitario che spiegasse l'origine del mondo reale e questa ricerca veniva condotta con gli strumenti che essi avevano a disposizione in quell'epoca: l'intuito e la riflessione, che potevano essere applicati sull'enorme massa di conoscenze pratiche che i loro predecessori avevano accumulato nei millenni. Senofane sarà il primo che esprimerà consapevolmente questo nuovo indirizzo quando, più tardi (prima metà del VI secolo), affermerà che gli dei non hanno svelato tutto agli uomini (Guthrie, 1986: 72) sin dal principio, ma essi, ricercando, potevano trovare, a poco a poco, il meglio. Quindi nasceva consapevolmente un nuovo metodo per la ricerca della verità: l'indagine. Questo costituiva un avanzamento rispetto al pensiero di Omero e di Esiodo, per i quali la verità, la conoscenza, era un fatto riservato agli dei che vedevano tutto perchè presenti in ogni luogo; oppure era riservata al solo testimone oculare. Secondo questi filosofi, essa poteva essere ricercata dall'uomo con le sue forze. anche se essa è e rimarrà solo apparenza perchè la verità vera appartiene solo agli dei. "Solo gli dei hanno certezze. Gli uomini possono solo avanzare congetture..." (Alcmeone, 1961:100). CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 8 marzo 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (79): I FILOSOFI NATURISTI: FIGLI DELL’ANTICO ORIENTE E PADRI DELLA CIVILTA’ MODERNA

I filosofi naturisti del VI secolo a. C. rappresentano il momento del trapasso, lo spartiacque tra il mondo mitopoietico delle antiche civiltà, in cui l'uomo si identificava con la natura, e il mondo della razionalità, in cui l'uomo prende coscienza della propria individualità e della propria soggettività. Essi furono i figli dell'antico oriente ed i padri della civiltà moderna. Questi filosofi avevano superato il mito nella sfera della spiegazione del mondo, ma rimanevano ancora essenzialmente animisti come i loro predecessori. Al posto del dio, che creava o ordinava dal Kaos primordiale, avevano messo la stessa natura, ma non una natura oggettiva e inanimata. La loro era una natura animata, proprio come era animata la natura delle antiche civiltà. In sostanza, l'uomo greco è erede delle grandi civiltà del mondo antico, di cui assimila le conoscenze attraverso contatti diretti e indiretti (Lloyd, 1983: 201-202), ma non possiede ancora le categorie di pensiero per dare un'organizzazione pienamente razionale a queste conoscenze. Con la filosofia della scuola Ionica, il pensiero razionale incomincia ad emergere dal mitologico mondo dei sogni. Fu l'inizio della grande "avventura, la Prometeica ricerca di spiegazioni naturali e cause razionali, che, nei successivi duemila anni, avrebbe trasformato le specie più radicalmente di quanto avessero fatto i duecentomila anni precedenti... “Naturalmente, le loro risposte erano meno importanti del fatto che essi stavano imparando a porre un nuovo tipo di domande, che erano rivolte non ad un oracolo, ma alla muta natura. “Fu una gara fortemente esaltante; per poterla apprezzare e capire si deve fare ritorno, con la memoria, alla fantasia della propria prima adolescenza, quando la mente scopre tutti i suoi poteri e lascia campo libero alla propria speculazione" (Frankfort, 1946: 150). Il primo pensiero greco, in effetti, era ancora legato all'infanzia del mondo e dell'uomo. Nei livelli di struttura mentale, i filosofi della Ionia "si muovono in una curiosa zona di confine. Essi presentivano la possibilità di stabilire una coerenza intellegibile nel mondo fenomenico, eppure essi rimanevano ancora sotto l'influsso della indissolta relazione tra l'uomo e la natura" (Frankfort, 1946: 252) del vecchio paradigma ormai in crisi. Essi rappresentano questa zona di confine tra l'assimilazione egocentrica della realtà delle vecchie civiltà e l'assimilazione razionale della realtà che dovevano raggiungere i greci del V secolo. "Dobbiamo ammettere che nei bambini l'animismo ceda automaticamente il passo ad una specie di causalità fondata sul principio di identità, come se il celebre principio logico reggesse immediatamente la ragione, così come alcuni filosofi ci hanno indotti a credere? “Certamente in questi sviluppi noi abbiamo la prova che l'assimilazione egocentrica, fondamento del finalismo e dell'artificialismo, è in procinto di trasformarsi in assimilazione razionale, cioè in strutturazione della realtà mediante la ragione, ma questa assimilazione razionale è molto più complessa di una pura e semplice identificazione. “Se, infatti, anziché seguire i bambini nelle loro domande su quelle realtà lontane che non è possibile manipolare, quali gli astri, le montagne, e le acque, nelle quali dunque il pensiero può restare soltanto verbale, ci si interroghi su fatti tangibili e palpabili si avranno sorprese ancora maggiori. “Si scopre che a partire dai sette anni il bambino diventa capace di costruire spiegazioni atomistiche in senso proprio, e ciò avviene all'epoca in cui comincia a saper contare. Per estendere il nostro paragone ci si ricordi che i greci hanno inventato l'atomismo subito dopo aver speculato sulla trasmutazione delle sostanze, e si noti in particolare che il primo atomista è stato senza dubbio Pitagora che concepiva la composizione dei corpi sulla base di numeri materiali o punti discontinui della sostanza. “Beninteso, salvo eccezioni molto rare (tuttavia ce ne sono), il bambino non generalizza e differisce dai filosofi greci perchè non costruisce sistemi" (Piaget 1967: 51). Anche il bambino attuale sarebbe in grado di enunciare generalizzazioni e costruire sistemi se avesse la possibilità di crescere nell'ambito di quella particolare struttura mentale fino alla maturità fisica e psichica, come accadde ai greci, ma egli la deve lasciare per raggiungere, per via ontogenetica, una nuova sintesi o livello di struttura mentale. CONTINUA www.franco-felicetti.it

giovedì 28 febbraio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (78):I GRECI INTRODUCONO LA RAZIONALITA’

Le conquiste tecnico-scientifiche, o conoscitive in genere, dei popoli orientali furono quantitativamente maggiori di quelle dei greci. Essi furono i primi ad affacciarsi su una realtà immensa, sconosciuta, con uno strumento non ancora elaborato dai popoli primitivi: l'osservazione costante dei fenomeni geo-astronomici. Essi , però, non avevano maturato il secondo strumento necessario per capire tutte le implicazioni delle loro osservazioni o scoperte. Nè essi potevano maturarlo. La loro struttura mentale non consentiva un simile balzo in avanti. Essi operavano all'interno di un paradigma culturale che per loro era tutt'ora valido e ne erano, perciò, condizionati. Questo nuovo balzo era riservato ad un popolo nuovo, intellettualmente più fresco ed esterno al paradigma, che avrebbe appreso senza sforzo (ai popoli orientali erano occorsi millenni di sforzi e di energie), attraverso la trasmissione, tutte le conoscenze accumulate nel passato all'interno del vecchio paradigma ormai in crisi (si pensi al lungo periodo di ristagno di queste società), conservando intatte, o quasi, tutte le energie di cui era dotato per fare il secondo balzo (la riflessione sui dati acquisiti) e produrre un secondo paradigma. Questo balzo era riservato ai greci. Per paradosso si potrebbe dire che senza i popoli orientali i greci avrebbero preso il loro posto. Nello sviluppo dell'umanità, essi vennero secondi e raggiunsero risultati che ai primi erano stati negati; ma, senza i primi, non sarebbero arrivati dove sono arrivati. In effetti, "... le fondamenta della scienza greca sono totalmente orientali, e, per quanto profondo possa essere stato il genio greco, non è certo che senza quelle fondamenta esso avrebbe potuto raggiungere qualcosa di comparabile alle sue effettive conquiste " (Sarton, 1948:140). "Le poche conoscenze astronomiche che gli Ioni impiegheranno, non le hanno elaborate loro, ma le hanno prese dalle vicine civiltà del Medio Oriente in particolare dai babilonesi... I greci fonderanno la cosmologia e l'astronomia; daranno loro un orientamento che deciderà la sorte di queste discipline per tutta la storia dell'Occidente; fin dall'inizio, imprimeranno loro una direzione a cui ancora oggi siamo, in parte, legati. Eppure non erano stati loro a dedicarsi, da secoli, ad un lavoro minuzioso d'osservazione degli astri... Dunque, i greci hanno utilizzato delle osservazioni, delle tecniche, degli strumenti messi a punto da altri. Tuttavia hanno integrato le conoscenze, che erano state così trasmesse, in un sistema interamente nuovo; hanno fondato un'astronomia nuova. Come spiegare quest'innovazione. Perchè i greci hanno situato i saperi presi da altri popoli in un'intelaiatura nuova ed originale ?" (Vernant, 1981: 201-202). Il successo dei greci è legato al fatto che essi avevano sviluppato, grazie al processo dell'ontogenesi, una capacità di pensiero che superava il simbolismo, l'artificialismo, il finalismo, la transduttività e il sincretismo delle antiche civiltà orientali, le quali erano solo capaci di prendere in esame i casi individuali e procedere per analogia immediata. I greci, invece, diverranno capaci di correlare più informazioni, matureranno una maggiore capacità di decentramento del pensiero e svilupperanno forti capacità sintetiche, che consentiranno loro di eleborare teorie e sistemi. " Con la sola forza della ragione, senza aiuto o quasi da altri popoli, i greci tra il 600 e il 300 a, C. fecero sollevare l'umanità al di sopra del feticismo e della superstizione per raggiungere il mondo della razionalità" (Guthrie 1986: 70 ), maturando, così, un nuovo paradigma culturale o livello di struttura mentale. Dopo di che si perfezionano, con Platone ed Aristotele, i risultati raggiunti e ci si avvia alla decadenza, essendo incapaci (per gli stessi motivi che avevano condizionato gli uomini delle civiltà precedenti) di superare il traguardo del paradigma maturato. CONTINUA www.franco-felicetti.it

giovedì 21 febbraio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (77): IL CONCETTO DI BARBARO

Nessun popolo ha mai raggiunto un rilevante grado di perfezione, in qualsiasi campo, senza aver avuto dei predecessori. Il caso dei greci ne è ora una ulteriore dimostrazione. Essi attinsero dalle civiltà dell'Antico Oriente, come gli arabi e gli uomini del rinascimento italiano attinsero dai greci, e come gli inglesi, nella Rivoluzione Industriale, attingeranno non solo dall'Europa, ma da tutto il resto del mondo. Tuttavia, quando i greci "apprendevano da altri popoli, come dai fenici, per esempio, essi davano a queste conoscenze una veste greca da rendere difficilmente riconoscibile la loro origine" (Burkhardt, 1963: 277). I greci hanno avuto due atteggiamenti verso gli altri popoli. Nel periodo di formazione, essi presero da tutte le civiltà che li avevano preceduti, ma hanno saputo trasformare il prestito in un prodotto originale greco. Quando, però, hanno creato una propria sintesi, un proprio paradigma culturale, maturando un nuovo livello di struttura mentale, hanno acquisito un orgoglio di razza che li fece chiudere a qualsiasi apporto esterno, e il mondo esterno divenne “barbaro”. Un concetto che sarà destinato a ripetersi con il Rinascimento italiano e con gli inglesi. Questa non disponibilità dei greci (e dei romani) ad accettare ciò che veniva dall'esterno della loro civiltà è stata una delle cause per cui la loro civiltà non era destinata ad essere progressiva. Cioè, quando una civiltà conta solo su quello che può produrre e considera tutto ciò che è stato prodotto altrove come non degno di essere preso in considerazione* perchè proviene da coloro i quali essa considera “barbari” (Cipolla, 1974: 222)e, quindi, inferiori, e dagli inferiori non può venire nulla che sia migliore di quello che si ha già, prima o poi, è destinata ad inaridirsi e, quindi, a decadere, perchè ad essa manca la linfa vitale del progresso continuo:. l'interscambio di idee e di conoscenze tra popoli e civiltà diverse La stessa civiltà dei greci, come ha acutamente osservato Toynbee, è sorta e si è sviluppata proprio perchè essa era basata sullo spirito di competizione e di emulazione che si era stabilito tra le varie città-stato. Questo stesso atteggiamento dei greci lo troveremo, più tardi, e nel Rinascimento italiano e negli inglesi del XIX secolo. La caratteristica fondamentale di questi due popoli nel periodo della loro formazione, ciò che ha costituito il loro genio (come quello dei greci) e ha fatto la loro fortuna, è stata una grande ricettività; anch'essi sapranno essere alunni e andranno alla scuola del mondo per farlo proprio. Anche gli inglesi, come i greci, caratterizzeranno così fortemente con il genio inglese tutto ciò che prenderanno in prestito dagli altri popoli che alla fine diverrà un tipico prodotto inglese, difficilmente riconoscibile nella sua provenienza. Successivamente anche per loro scatterà la molla dell'orgoglio, del complesso di superiorità, e allora si chiuderanno al mondo esterno, considerato barbaro, e sarà il principio della loro decadenza. CONTINUA www.franco-felicetti.it

giovedì 14 febbraio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (76)

IL MIRACOLO GRECO Questi popoli furono i produttori dei tre paradigma culturali fondamentali dell'uomo: la VERITA’ RIVELATA (civiltà dell'Antico Oriente e Grecia arcaica) (Frankfort, 1959: 262), la VERITA’ SCOPERTA (Grecia classica e Rinascimento), la VERITA’ COSTRUITA (Rivoluzione Industriale). I greci non citarono mai le fonti da cui avevano appreso le conoscenze. Poiché anche i semitici babilonesi non fecero menzione della civiltà che li precedette, quella sumerica, da cui avevano mutuato tutti gli elementi necessari per costruire la loro civiltà e di cui rimaneva traccia in ogni aspetto della loro organizzazione sociale, della loro cultura e, non per ultimo, della loro lingua, dobbiamo concludere che questo era un atteggiamento tipico del mondo antico, che mutuava da altre civiltà, ma non ne indicava le fonti, non per malizia, ma solo perchè non lo riteneva necessario. Così abbiamo gli errori nella valutazione storica: i babilonesi non ci parlarono dei sumeri e noi per lungo tempo abbiamo ritenuto che la civiltà più antica nella storia dell'uomo fosse quella di Babilonia. Gli egiziani non ci parlarono dei babilonesi e noi per lungo tempo abbiamo ritenuto che l'Egitto fosse stato il più luminoso esempio di civiltà nel mondo antico. I greci non citarono le fonti da cui appresero i rudimenti del sapere e noi per lungo tempo, e forse ancora tutt'ora, almeno per alcuni, abbiamo ritenuto che fossero la meraviglia del mondo, gli iniziatori, i creatori, dal nulla, di tutte le basi fondamentali su cui è costruita la civiltà Occidentale. Ora noi sappiamo che essi furono i continuatori, ad un altro livello, di un sapere che affondava le sue radici nella notte dei tempi: uomo primitivo, sumeri, babilonesi, egiziani. assiri, ittiti, persiani (Farrington, 1982: 19-20). " E' puerile ritenere che la scienza sia incominciata in Grecia; il miracolo greco fu preparato da un lavoro di millenni in Egitto, Mesopotamia e possibilmente in altre regioni. La scienza greca fu più un revival che un'invenzione. "... Fu un male nascondere le origini orientali senza le quali le conquiste elleniche sarebbero state impossibili " (Sarton, 1953: IX). "La scoperta dei testi sumerici contenenti proverbi e favole, ai quali non è stato dato finora sufficiente rilievo, costituisce una vera e propria rivelazione, perchè anticipa nella tipologia e talvolta nei concetti un genere che credevamo nato in Grecia e poi irradiato a Roma e nell'Occidente. " Ecco dunque i predecessori di Esopo, di Fedro, di La Fontaine, di Trilussa. E vi sono alcuni particolari specifici, come l'assumere a protagonisti gli animali e a farli parlare come esseri umani, così stringenti da rendere necessaria l'ipotesi di un collegamento diretto con la Grecia, cioè di un'ispirazione orientale del genere e delle sue componenti. Quale sia stata la via di connessione resta per ora difficile da dimostrare, ma certo non v'è che l'imbarazzo delle ipotesi: attraverso le colonie mesopotamiche in Anatolia, le città costieri di Siria e Palestina, i porti egiziani, correva un flusso di merci e di cultura che appena oggi incomincia a intravvedere nella sua vastità e complessità. "Il fatto è di particolare importanza, perchè mostra quanto superficiale sia il concetto tradizionale del 'miracolo greco' come civiltà sorta dal nulla: tanto dall'Egitto, invece, quanto della Mesopotamia, la Grecia ricevè linfe vitali, di cui sempre più emerge la consistenza e la rilevanza. Ma un 'miracolo' vi fu pure, anche se di natura diversa e questo soprattutto bisognerebbe mettere in luce: sulla base delle rinnovate e allargate conoscenze relative alle antiche civiltà orientali; l'originalità greca si definisce non per averne ignorato i contenuti, nè per averli rinnegati... bensì per aver saputo progressivamente scindere in autonomia da esse la riflessione razionale sull'universo e la libera creazione dell'arte " (Moscati, annali: 172-73). E questo era lo sviluppo naturale dell'evoluzione dei livelli di struttura mentale. Le civiltà orientali avevano prodotto, in via filogenetica, il primo paradigma culturale che la storia conosca, il primo livello di struttura mentale, e la Grecia partiva, in via ontogenetica, da questa realtà, che aveva assorbita e fatta sua attraverso i contatti con questi popoli (Lloyd, 1979: 229-33). CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 8 febbraio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (75)

I GRECI EREDI DELLE GRANDI CIVILTA’ DELL’ANTICO ORIENTE Tra il mondo antico orientale e il mondo greco non ci fu rottura, ma una lenta evoluzione, in senso filogenetico, dei livelli di struttura mentale dell'uomo. I greci delle colonie greche dell'Asia Minore furono gli eredi delle grandi civiltà del mondo antico orientale. "Che la scienza greca, come la civiltà greca nel suo insieme, fosse fortemente indebitata alle più antiche civiltà del Vicino Oriente è ormai certo " (Farrington, 1980: 13). In effetti, le città costiere ioniche costituivano il punto di incontro della summa di tutte le esperienze e di tutte le conoscenze che l'umanità aveva accumulato fino a quel punto (Rhode, 1925: 362). Essi aggiunsero solo quello che era originale allo spirito greco: la voglia di conoscere, di sapere (Guthrie, 1986: 85). E, per loro, la conoscenza si acquisiva solo in due modi: o essendo presenti sul posto o attraverso il racconto di testimoni oculari. Sin dai tempi di Omero e di Esiodo, si pensava che la conoscenza fosse riservata solo agli dei perchè essi erano presenti in ogni luogo e, quindi, 'vedevano tutto'. L'uomo non aveva questa capacità di ubiquità e, allora, riceveva la conoscenza dagli dei. Ecco perchè i greci intraprendevano viaggi in tutto il mondo conosciuto. Per acquisire conoscenze, essi dovevano vedere. "Di Solone... Erodoto racconta che, dopo aver dato le leggi agli ateniesi, si mise a viaggiare per il mondo unicamente a scopo di teoria, e cioè solo per vedere il mondo: e fu, quindi, il primo a cercare di realizzare l'ideale di conoscenza rappresentato dalle Muse di Omero" ( Snell, 1963: 422-23 ). I greci fecero un po' come faranno più tardi gli inglesi, che diventeranno dei globetrotters per vedere le conquiste degli altri popoli. I greci andarono alla scuola del mondo da alunni, e il mondo allora conosciuto era l'antico oriente, per diventare maestri e produrre "il miracolo greco". Gli inglesi andranno alla scuola del mondo, da alunni, e il mondo allora importante sarà il resto dell'Europa, per diventare maestri e produrre una nuova civiltà: QUELLA INDUSTRUALE. I greci furono grandi viaggiatori (il grand tour degli inglesi). Tutti i principali pensatori della Ionia e della Grecia fecero il loro viaggio nelle terre delle antiche civiltà (babilonia ed Egitto) e all'interno della possente civiltà nascente: la Persia. Essi vi andarono da alunni con lo scopo programmato di conoscere il mondo e di apprendere tutto (proprio come faranno gli inglesi più tardi). Essi ebbero il vantaggio di non essere condizionati dalla psicologia collettiva del paradigma culturale esistente e, quindi, il loro apprendimento poté essere un apprendimento critico. Da neofiti, essi sottoposero tutto al vaglio critico della ragione e videro tutto ciò che coloro i quali vivevano all'interno del paradigma non riuscivano a vedere. I greci furono originali, non perchè furono gli iniziatori delle conoscenze dell'uomo, ma perchè seppero prima apprendere, oggi ne siamo sicuri, da bravi scolari, tutto ciò che si era prodotto fino a quell'epoca, e poi seppero utilizzare quelle conoscenze per darvi un nuovo ordine e stabilire nuove connessioni con gli strumenti di pensiero che nel frattempo avevano maturato: ecco la loro originalità, che sarà poi anche l'originalità degli italiani del Rinascimento e degli inglesi della Rivoluzione Industriale. CONTINUA www.franco-felicetti.it

domenica 3 febbraio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (74)

I FILOSOFI NATURALISTICI I filosofi naturalisti della costa Ionica, i primi " grandi prosatori greci " (Vernant, 1981: 194), pur continuando la tradizione ereditata dai loro predecessori greci ed orientali, spostarono il problema della ricerca delle origini dal mito alla ragione. Le origini del mondo, per loro, non dovevano essere giustificate con un atto di fede (mito), ma dovevano essere ricercate attraverso un atto della ragione (Frankfort, 1959: 250-51). L'elemento nuovo, che essi introducono nell'evoluzione del livello di struttura mentale, consiste proprio nel fatto che essi correggono il mito e al posto di un dio, la cui giustificazione era un atto dell'immaginazione, mettono un elemento della natura (Snell, 1963: 325), la cui giustificazione era un atto della ragione. I filosofi naturalisti del VI secolo a. C. erano al bivio di due mondi: quello orientale, animista, e quello sorgente della Grecia, razionalista. Ed essi furono figli di entrambi. Le loro non sono spiegazioni scientifiche, nè razionali, come alcuni erroneamente credono. La razionalità era di là da venire. Essi possedevano un pensiero intuitivo (Frankfort, 1959: 252-53). Tuttavia, essi si lasciavano alle spalle, in via definitiva, l'assimilazione egocentrica (=strutturazione della realtà attraverso l'immaginazione, mito) delle antiche civiltà orientali per incamminarsi verso l'assimilazione razionale (= strutturazione della realtà attraverso la ragione). Essi si possono intendere come gli ultimi di un mondo vecchio che scompare ed i primi di un mondo nuovo che sorgeva. Essi furono, comunque, portatori di un pensiero razionale allo stato nascente, "anche se ancora non esplicitamente formulato" (Finley, 1973, IV: 46). Questi filosofi non mutarono molto nell'atteggiamento culturale rispetto alle antiche civiltà. Essi erano sempre interessati al mondo fisico, di cui si sentivano di fare parte. Ma questa loro partecipazione non era più assoluta, nel senso che essi si confondevano col mondo della natura. Essi avevano preso coscienza di essere una realtà distinta, anche se non completamente. Essi cercavano le loro spiegazioni, non più nel mondo del soprannaturale, coma avevano fatto le antiche civiltà, ma le cercavano nel mondo fisico che essi potevano osservare concretamente (Barbu, 1960: 113), anche se la loro impalcatura di pensiero non mutava molto rispetto a quella delle civiltà che li avevano preceduti. Essi correggevano solo un aspetto: passavano dal divino al naturale. Ma la ricerca era identica; le domande erano identiche (Gomperz, 1957: 24). Essi volevano sapere il perchè dell'esistenza del reale. Ma lo spostamento, che essi avevano operato, era rivoluzionario perchè avrebbe condotto a rivoluzioni inimmaginabili. Le prime civiltà, con la spiegazione divina dell'esistente, avevano condannato l'uomo ad una subalternità nel reale. I filosofi Ionici, invece, seppure timidamente, con la loro spiegazione umana del mondo, avevano posto le premesse per fare dell'uomo, nei secoli e nei millenni, il re dell'universo, il vero dio del mondo reale. CONTINUA www.franco-felicetti.it

sabato 26 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (73)

LA COMPARSA DEL PENSIERO RAZIONALE Il pensiero razionale, la grande conquista del mondo greco, cresce e si sviluppa per tappe. Esso non sorge d'incanto, come ".. una decisiva e definitiva rivelazione" (Vernant, 1982: 383), ma attraverso un processo lento e graduale. Per prima si formano, nel tempo, i suoi vari elementi, i quali seguono un ordine sequenziale: la conquista, la scoperta, la maturazione di un nuovo elemento è la premessa necessaria ed indispensabile per maturare quello successivo. In Esiodo troviamo chiaramente espressi, ma non coscientemente formulati, i primi due elementi di questo processo: i CONCETTI DI ORDINE E CLASSIFICAZIONE. Il concetto di GENERALIZZAZIONE, anche se si evince nel suo Le opere e i giorni, non si è ancora materializzato come si sono materializzati i due concetti precedenti, espressi nella Teogonia. Esiodo fu l'ordinatore del mondo degli dei. Tuttavia, egli continuava la tradizione dell'Antico Oriente della ricerca delle origini attraverso la costruzione mitopoietica, ma utilizzava strumenti diversi dai suoi predecessori (sincretismo). Egli raccoglie tutto quello che si conosce sugli dei e ne forma un unico panteon, dove ogni dio è collocato secondo un certo ordine e classificato secondo il suo rango, la sua dignità e la sua potenza. La Teogonia (=genealogia degli dei) di Esiodo non è una novità assoluta. Anche nelle civiltà dell'Antico Oriente esistevano delle genealogie degli dei, ma esse erano un semplice elenco di nomi, con i poteri connessi, che non si eleverà mai al concetto e al rango di ordine, come farà, invece, la Teogonia di Esiodo, quando si prenderà coscienza che quella successione di dei crea un ordine. Da questo concetto di ordine scaturirà, in un secondo momento, il CONCETTO DI LOGICA (che Esiodo non possedeva), quando l'uomo maturerà la coscienza di sè come individualità pensante e spingerà. quindi, la divinità, che prima pensava per lui, verso lo sfondo. Ma questo è un processo graduale. L'uomo dapprima aveva avuto paura di attribuire a se stesso tutti i moti dell'animo e le passioni che lo animavano e li attribuì alle divinità. Ma, man mano che affinava il suo modo di pensare, si riappropriava di tutte le funzioni che aveva attribuito alla divinità. E incominciò con i moti dell'animo, con i sentimenti più profondi. La formazione dei concetti astratti, quali il bello, il buono, l'onestà, la giustizia, emancipano sempre di più l'uomo, che prende coscienza della sua libertà, e gli dei, che prima erano detentori di questi concetti, vengono sempre più sublimati (Snell, 1963: 69). Questi concetti astratti furono formulati per la prima volta dai poeti lirici. In sostanza, la poesia epica di Omero e quella lirica di Esiodo ed i poeti lirici (Pindaro, Saffo, Archiloco, Anacreonte, ecc.) fornirono ai primi filosofi, che dovevano arrivare da lì a poco, gli strumenti intellettuali e linquistici, le categorie mentali, i concetti astratti e la capacità di definizione. Questi sapranno aggiungere il resto, decentrando ulteriormente il loro pensiero (Snell, 1963: 86-87). CONTINUA www.franco-felicetti.it

martedì 22 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (72)

LE GRANDI INDIVIDUALITA’ DEL MONDO GRECO Le grandi individualità incominciano ad apparire nel mondo di Omero: Ettore, Achille, Agamennone, Ulisse, ecc., contro l'anonimato delle civiltà dell'Antico Oriente. Queste grandi individualità sono i titolari dell'azione, ma non ancora gli ispiratori. Tutto è stato mosso ed è mosso dagli dei, che determinano la condotta dell'uomo. La forza interiore che l'uomo sente di avere, la forte volontà che si sprigiona in lui, non sono il suo prodotto, ma sono il prodotto di un dio, a cui egli è devoto, che ha così deciso e così si è determinato. Di queste grandi individualità eroiche, che stanno tra gli uomini e gli dei (il popolo, la gente comune non ha volto) sappiamo tutto: la loro origine, la loro condotta di vita, il loro destino, la loro discendenza, le loro passioni, i loro pensieri (che sono però determinati dagli dei). Ma non sappiamo ancora nulla sul loro cantore, Omero. Questo primo attore continua la tradizione delle antiche civiltà: è anonimo e senza volto, nè storia. E' nato dal nulla e nel nulla è rimasto. Aveva creato gli dei, aveva donato l'immortalità ai suoi eroi, ma non aveva ancora maturato la coscienza che anch'egli era un attore, e di prima grandezza, che rimaneva legato, nel successo o nell'insuccesso, alle sue creature e alla loro storia. Esiodo, il grande poeta lirico, sarà il primo attore cosciente, la prima individualità umana (gli eroi di Omero sono semidei) che avrà un nome e una storia, il primo che " ci parla di se stesso nel suo grido di dolore" (Starr, 1969: 269), ma non avrà la coscienza di essere lui a creare le sue storie: saranno le muse che lo faranno per suo tramite. E in questo egli apparteneva allo stesso mondo di Omero. Ma egli forgerà, inconsapevolmente, degli elementi nuovi nelle categorie del pensiero che spingeranno nella direzione, già intravista in Omero, della presa di coscienza di sè e della costruzione del pensiero razionale. CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 18 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (71)

L’INDIVIDUO DIVENTA CITTADINO Il mondo degli dei è stato per i greci la idealizzazione della propria organizzazione sociale ancora embrionale. Dopo averla idealizzata la presero a modello (Ehrenberg, 1973: 34). L'individuo, scoperto dai greci, è il prodotto di questa evoluzione. Nel mondo antico solo gli dei avevano l'individualità. I greci la attribuirono anche agli uomini e si fermarono qui. L'uomo, come portatore di diritti, non fu scoperto e non poteva esserlo: per scoprirlo bisogna aspettare i cristiani. "I Greci e i Romani... non sapevano nulla circa il concetto dell'uomo come uomo che è nato libero, che egli è libero... sebbene esso sia alla base del loro diritto. “I loro popoli lo sapevano ancora meno. Essi in realtà sapevano che un cittadino ateniese, un cittadino romano... è libero, che vi sono liberi e non liberi. Proprio per questo essi non sapevano che l'uomo è libero in quanto uomo: l'uomo in quanto uomo, l'uomo in generale, tale quale il suo pensiero lo comprende ed egli stesso lo comprende " (Hegel, 1941: 180). Il concetto di cittadino matura prima del concetto di uomo. Per Aristotele, lo schiavo non era un uomo, ma una macchina intelligente al servizio del cittadino. I greci, comunque, fecero un notevole passo avanti in questa direzione, rispetto alle antiche civiltà, scoprendo l'individuo e il cittadino, ma solo quest'ultimo era portatore di diritti. " Il tipico individuo greco fiorì nell'età della polis, della città-stato, con il cristallizzarsi di una classe borghese. Nell'ideologia ateniese lo stato veniva prima dei cittadini ed era superiore ad essi. Ma questo predomino della polis facilitò, anziché ostacolarlo, il fiorire dell'individuo: portò un equilibrio tra lo Stato ed i suoi membri, tra libertà individuale e benessere comune, in nessun luogo illustrato con più eloquenza che nell'orazione funebre di Pericle. In un passo famoso della Politica (VII, 7, 1327 B), Aristotele descrive il 'borghese' greco come un individuo che possedendo insieme il coraggio dell'europeo e l'intelligenza dell'asiatico - cioè combinando la capacità di autoconservazione con la riflessione - ha imparato a dominare gli altri senza perdere la propria libertà. La razza ellenica, dice Aristotele, 'se si potesse darle forma di Stato, dominerebbe il mondo'. Più di una volta, nei momenti di massima fioritura della cultura urbana, come per esempio a Firenze nel quindicesimo secolo, si raggiunse un analogo equilibrio di forze psicologiche. Le fortune dell'individuo sono sempre state legate allo sviluppo della società urbana: “l'abitante della città è l'individuo per eccellenza" (Horkheimer, 1969: 115)*. CONTINUA www.franco-felicetti.it

martedì 15 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (70)

L’INDIVIDUO DIVENTA CITTADINO Il mondo degli dei è stato per i greci la idealizzazione della propria organizzazione sociale ancora embrionale. Dopo averla idealizzata la presero a modello (Ehrenberg, 1973: 34). L'individuo, scoperto dai greci, è il prodotto di questa evoluzione. Nel mondo antico solo gli dei avevano l'individualità. I greci la attribuirono anche agli uomini e si fermarono qui. L'uomo, come portatore di diritti, non fu scoperto e non poteva esserlo: per scoprirlo bisogna aspettare i cristiani. "I Greci e i Romani... non sapevano nulla circa il concetto dell'uomo come uomo che è nato libero, che egli è libero... sebbene esso sia alla base del loro diritto. “I loro popoli lo sapevano ancora meno. Essi in realtà sapevano che un cittadino ateniese, un cittadino romano... è libero, che vi sono liberi e non liberi. Proprio per questo essi non sapevano che l'uomo è libero in quanto uomo: l'uomo in quanto uomo, l'uomo in generale, tale quale il suo pensiero lo comprende ed egli stesso lo comprende " (Hegel, 1941: 180). Il concetto di cittadino matura prima del concetto di uomo. Per Aristotele, lo schiavo non era un uomo, ma una macchina intelligente al servizio del cittadino. I greci, comunque, fecero un notevole passo avanti in questa direzione, rispetto alle antiche civiltà, scoprendo l'individuo e il cittadino, ma solo quest'ultimo era portatore di diritti. " Il tipico individuo greco fiorì nell'età della polis, della città-stato, con il cristallizzarsi di una classe borghese. Nell'ideologia ateniese lo stato veniva prima dei cittadini ed era superiore ad essi. Ma questo predomino della polis facilitò, anziché ostacolarlo, il fiorire dell'individuo: portò un equilibrio tra lo Stato ed i suoi membri, tra libertà individuale e benessere comune, in nessun luogo illustrato con più eloquenza che nell'orazione funebre di Pericle. In un passo famoso della Politica (VII, 7, 1327 B), Aristotele descrive il 'borghese' greco come un individuo che possedendo insieme il coraggio dell'europeo e l'intelligenza dell'asiatico - cioè combinando la capacità di autoconservazione con la riflessione - ha imparato a dominare gli altri senza perdere la propria libertà. La razza ellenica, dice Aristotele, 'se si potesse darle forma di Stato, dominerebbe il mondo'. Più di una volta, nei momenti di massima fioritura della cultura urbana, come per esempio a Firenze nel quindicesimo secolo, si raggiunse un analogo equilibrio di forze psicologiche. Le fortune dell'individuo sono sempre state legate allo sviluppo della società urbana: “l'abitante della città è l'individuo per eccellenza" (Horkheimer, 1969: 115)*. CONTINUA www.franco-felicetti.it

giovedì 10 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (69)

I GRECI UMANIZZANO GLI DEI Il momento del trapasso tra le civiltà dell'Antico oriente e la Grecia del V secolo a. C., che è il punto nodale di tutto il processo, in quanto appare, per la prima volta nella storia, il pensiero razionale, è rappresentato dal sorgere della grande poesia epica di Omero e la poesia lirica di Esiodo e Pindaro. Nel mondo di Omero sono ancora gli dei che determinano la vita e l'azione dell'uomo. Ma non sono più gli dei della civiltà dell'Antico Oriente, che hanno un potere assoluto sugli uomini. Gli dei di Omero appartengono alla stessa razza dell'uomo, come dirà più tardi Pindaro, e furono creati entrambi dal primordiale Okeanos, il Kaos primordiale delle precedenti civiltà. Pur ricollegandosi direttamente alla mitologia delle antiche civiltà, Omero se ne distaccava e la correggeva in un punto fondamentale: la materia, che, per lui, era increata e impersonale e dava origine agli dei e agli uomini insieme. Per le antiche civiltà. invece, dal Kaos primordiale sorsero prima le divinità, che erano la personalizzazione degli elementi stessi della materia: il cielo, la terra, le acque, ecc. ... e solo successivamente vennero creati, e da questi ultimi, gli uomini. Per Omero, la materia primordiale non è deificata: è l'origine di ogni cosa, ma essa non ha nulla di divino. Gli uomini prima di Omero sono in balia di forze selvagge e demoniache. "Ma già dagli eroi dell'Iliade non si sentono più in balia di forze selvagge, ma affidati ai loro dei dell'Olimpo, che costituiscono un mondo ben ordinato e significativo. Evolvendosi, i Greci completano la conoscenza di sè e, per così dire, assorbono nel loro spirito umano quest'azione divina " (Snell, 1963: 46), che ancora con Omero ed i poeti lirici temevano di attribuirsi. La loro dipendenza dal mondo fisico era tanta grande da non avere coscienza delle proprie forze e delle proprie capacità e quindi le attribuivano alla benevolenza di qualche dio. Fino al VI secolo a. C., la coscienza delle proprie capacità, dell'indipendenza delle proprie azioni e della propria volontà appartiene solo agli dei. Gli uomini hanno, fino ai grandi poeti tragici del V secolo, solo la coscienza che tutto avviene perchè predeterminato dagli dei (Snell, 1963: 55). CONTINUA www.franco-felicetti.it