venerdì 25 dicembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (17)

LA RIGENERAZIONE DELLA MENTE

Nella U.B.C. (University of British Colombia) notai sin dai primissimi giorni la profonda differenza che c’era con la mentalità italiana. Per curiosità, andai ad un dibattito che io ritenevo sciocco. “L’IMPORTANZA CULTURALE DELLA CAFETERIA (mensa universitaria).” Mi sono detto: questi sono “i cazzoni americani”. Ma il dibattito fu una cosa seria.

Nei giorni successivi scoprii che i “cazzoni” eravamo noi italiani. Nella mensa universitaria italiana gli argomenti di discussione a tavola di solito sono o di sesso o di calcio conditi con qualche pettegolezzo. Nella CAFETERIA gli argomenti a tavola, invece, erano sempre di natura culturale: la propria esperienza di studio della giornata. Scambiarsi le proprie opinioni su qualche argomento di interesse. Il sesso non era così ossessionante come da noi.

Iscrivermi all’università non mi interessava. Le mega classi all’italiana non esistevano. Il docente conosceva tutti i suoi studenti sin dal primo giorno. Nessuno rimaneva anonimo fino agli esami, come in Italia. Perciò ho chiesto, ai rispettivi docenti, di essere ospitato nelle loro classi. Una di letteratura inglese. Una di glottologia. Una di inglese parlato e scritto. Una di scienze politiche.

Sono stato accettato alla pari. Da tutti i quattro docenti. Nel senso che non mi considerarono un “uditore” e basta. Mi considerarono un loro alunno di fatto. In tutto. Ed erano anche severi con me se non erano soddisfatti dei miei elaborati. In non partecipavo solo ai compiti per la valutazione ufficiale.

Nella classe di scienze politiche ho scoperto perché ho avuto quelle sensazioni prima di sbarcare dalla nave italiana. Nelle scienze politiche, le navi, gli aerei, sono considerati un’estensione del territorio della nazione di appartenenza anche quando si trovano nelle acque territoriali o spazio aereo di un’altra nazione.

In quella di inglese l’insegnante era una scozzese. Una donna rigida e ferrea, ma con un cuore d’oro. Voleva che io traessi il massimo profitto di quella esperienza. Mi affidò alla sua migliore allieva e le diede il compito di rendermi esperto nelle ricerche di biblioteca.

La loro biblioteca era tecnologicamente all’avanguardia. Era veramente un tempio della cultura. Gli studenti ne facevano un larghissimo uso. Il loro era. soprattutto, un lavoro di ricerca. Sempre. La mia guida mi istruì sulla ricerca bibliografica e su come utilizzare i libri per trovare quello che cercavo senza perdere tempo su quello che non mi interessava.
Ma fece anche di più. Mi istruì sulla vita degli studenti all’interno del CAMPUS. Mi portò a visitare alcuni CLUBS degli studenti. Per me era una cosa incredibile. Avevano dei locali in edifici completamente autonomi ed erano gestiti da propri organi eletti. Allora capii perché loro avevano una MENTALITA’ ASSOCIAZIONISTA DEMOCRATICA che a noi italiani mancava totalmente.

Alla fine mi portò al CLUB INTERNAZIONALE . Era un edificio autonomo fornito, come ogni club, anche di una mini (400 posti) sala polivalente per dibattiti ed altro. Lei era iscritta a quel club e mi propose di iscrivermi anch’io. Cosa che feci volentieri.

E quella divenne la mia casa all’interno dell’università. Nel senso che, nel mio tempo libero, ero sempre lì per incontrare gente ed altro. Con mia grande sorprese, dopo qualche giorno, ho scoperto che il PRESIDENTE dell’ INTERNATIONAL HOUSE, come era chiamato quel club, era il mio professore di scienze politiche.

Ma quell’insegnante scozzese volle darmi una visione completa del CAMPUS. Mi invitò a pranzo nel ristorante di facoltà (ogni facoltà ne aveva uno). Non era il solito ristorante americano. Era un ristorante all’europea con cameriere in giacca bianca che serviva. Volle anche invitarmi ad una rappresentazione teatrale nel teatro del campus. Sì, il campus aveva anche un teatro gestito dagli alunni di ARTE DRAMMATICA.

Non dimenticherò mai quest’insegnante. In classe era durissima con tutti. Anche con me. Voleva che i suoi alunni facessero un salto di qualità nella conoscenza della lingua. Per loro lingua madre. Per me lingua straniera. Lei sosteneva, a ragione, che la lingua è tutto. Chi la conosceva bene, acquisiva una marcia in più nella lotta della vita.

Nella classe di letteratura ho scoperto l’abisso che c’era tra noi e loro. Per loro la letteratura era leggere le opere. Discutere sulle opere. Il docente era interessato a conoscere il giudizio del lettore-studente. La storia della letteratura, come si studiava in Italia, era lontana dalla loro MENTALITA’ PRAGMATICA.

Nel Campus c’era anche un ufficio di collocamento per gli studenti che volevano lavorare durante la chiusura estiva dell’università. Lo fanno tutti gli studenti. Anche i figli di papà. L’ho fatto anch’io. E sul lavoro avvenne la mia rivoluzione mentale. Una rivoluzione totale.

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giovedì 17 dicembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (16)

LA SCOPERTA DEL CAMPUS UNIVERSITARIO

L’università americana, per me, era una novità assoluta. In Italia non esisteva nulla del genere. Ero affascinato da questo “CAMPUS” universitario, che ancora oggi non esiste in Italia, tranne che a Cosenza. E sono orgoglioso di dire che alla sua istituzione ho dato anche il mio piccolo contributo.

Il “Campus” era, ed è, una grande estensione di terreno, all’estrema periferia della città, dove si svolgeva tutta la vita universitaria. Era ed è una piccola città dove c’è tutto. Dalle casa per gli studenti alle case dei docenti. Il teatro, il cinema, i negozi, la libreria, le cafeteria (ristoranti self service). Ed era servita da un proprio pulmino interno.

Ma io ero stato attratto da una novità assoluta per me: i CLUBS UNIVERSITARI. Luoghi di ritrovo per il tempo libero degli studenti. Ogni facoltà ne aveva uno. Io mi sono iscritto a quello internazionale, di cui ancora conservo lo stemma da mettere all’occhiello della giacca.

Questi clubs svolgevano anche una funzione sociale importante e fondamentale. Nel Nord America (Stati Uniti e Canada), la donna, che non trova marito prima dei 24 anni, ha paura di rimanere zitella. Ma la novità non era questa. C’era, e c’è, il costume che molte ragazze vanno all’università con l’obiettivo di scegliersi il futuro marito.

Decidono in anticipo che tipo di marito vogliono avere. Se vogliono un ingegnere, non importa quale facoltà esse frequentino, si iscrivono al club degli studenti in ingegneria. E cosi di seguito per gli avvocati, per i dirigenti d’azienda (manegement), ecc. ecc. Trovato il futuro marito si fermano al B.A. il titolo di base (biennio) delle università americane. Solo in poche proseguono fino in fondo per brillare di luce propria.

A cavaliere degli anni sessanta-settanta, a Cosenza si aprì un dibattito sul tipo di università da fondare per contribuire a promuovere lo sviluppo economico e sociale della Calabria. I socialisti, ed una parte della democrazia cristiana, la volevano fortemente innovativa. Che guardasse al futuro per non farne una fabbrica di disoccupati istituendo una università di tipo tradizionale.

Il pensiero andava alle università-campus americane. Il modello era il M.I.T. di Boston, una università tecnologica fortemente innovativa. A me fu chiesto, dai dirigenti del mio partito (socialista), di contribuire a formare una opinione pubblica favorevole, tenendo una serie di conferenze in ogni angolo della provincia cosentina e scrivendo articoli sulla “PAROLA SOCIALISTA” per confutare le tesi di chi voleva una università di tipo tradizionale.

Prima di rientrare in Italia, avevo girato un filmino superotto che illustrava il campus e la sua organizzazione territoriale e didattica. Questo filmino ebbe un grande effetto sulle popolazioni cosentine. Quello che colpiva era che all’interno del campus c’erano le case dei docenti, ma anche quelle degli studenti e che la vita sociale fosse organizzata come una piccola città.

C’era il teatro. C’erano le librerie. I negozi. Gli snacks. E c’erano i clubs degli studenti molto attivi nell’organizzazione del tempo libero. Io li frequentavo tutti. Ho frequentato anche un corso di ballo tenuto da uno di questi clubs.

Alla fine la tesi dell’ UNIVERSITA’ TECNOLOGICA prevalse, ma non senza compromessi che ne hanno un tantino modificato l’idea originaria. Ma, dopo la sua istituzione, il progetto originario fu parzialmente stravolto. Quelle facoltà, che erano state tenute fuori, irruppero con tale violenza che fu giocoforza istituirle dietro la forte spinta dell’opinione pubblica.
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giovedì 10 dicembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (15)

LA SCOPERTA’ DELL’AMOR DI PATRIA

Arrivato a Vancouver, mio fratello Peppe mi abbuonò il debito pregresso. Il primo lavoro che ho trovato è stato come “JANITOR=UOMO DELLE PULIZIE” in un grande supermercato. Era un lavoro part time che mi consentiva di frequentare alcuni corsi all’università.

Il suo direttore mi aveva preso in simpatia. Alla fine scoprii perché. Messo da parte un certo gruzzoletto volevo frequentare l’università a tempo pieno. Avvisai il direttore del supermercato che volevo lasciare il lavoro. Questo cercò di dissuadermi. Mi disse: “noi non abbiamo mai avuto un uomo delle pulizie così efficiente come te. Se resti ti è aperta una carriera. Puoi diventare un direttore come me”.

Lo ringraziai, ma gli dissi che i miei obiettivi erano altri. Con molta ironia (che lui non capì), gli dissi che io ero un fervente credente nella DOTTRINA DI MONROE, un presidente degli Stati Uniti, che, nel 1823, gridò “L’AMERICA AGLI AMERICANI”, Io ero europeo e volevo ritornare in Europa per obbedire a quella dottrina. Credo che il povero direttore non ci abbia capito nulla.

Dopo essermi sistemato, la prima cose che feci fu una visita al CONSOLE ITALIANO A VANCOUVER. Mi misi a sua disposizione per qualsiasi cosa io potessi FARE PER LA COMUNITA’ ITALIANA.

Il Console, dopo qualche giorno, mi chiese di tenere due corsi serali di inglese per i LAVORATORI ITALIANI. Ne avevano bisogno. Il loro inglese era veramente misero. Ma era misero anche il loro italiano. Questi corsi mi impegnavano, per due ore, tutte le sere della settimana, ma io ero felice perché facevo qualcosa, GRATIS ET AMORE DEI, per quell’Italia di cui mi ero perdutamente innamorato sul suolo canadese.

Solo qualche anno dopo, capii che avevo agito bene, che ero nel solco della storia, quando il neo eletto Presidente degli Stati Uniti, J.F. KENNEDY, tenne il suo DISCORSO INAUGURALE. Egli disse agli americani: “NON DOMANDATEVI COSA L’AMERICA PUO’ FARE PER VOI, MA DOMANDATEVI COSA VOI POTETE FARE PER L’AMERICA”. Io avevo applicato questo insegnamento con qualche anno di anticipo.

Quest’amore fortissimo per l’Italia mi dura tuttora con la stessa intensità. Nella mia scuola, l’anno scolastico iniziava e terminava sempre con l’esposizione della bandiera italiana e la riunione di tutti gli alunni nell’auditorium per ascoltare e cantare in coro l’INNO DI MAMELI.

Volevo che anche i ragazzi incominciassero a sentire questo sentimento di italianità. Specialmente per gli alunni della FAUSTO GULLO, che si rifiutavano di riconoscersi finanche come COSENTINI. Erano POPILIANI e basta. E non avevano tutti i torti. VIA POPILIA era stata sempre ghettizzata e criminalizzata. Tagliata fuori dalla città. C’era un RILEVATO FERROVIARIO che la isolava dal centro cittadino e, quindi, le differenze si acutizzavano.

L’INNO NAZIONALE chiudeva, solennemente, anche il CONCERTO DEI VINCITORI del premio nazionale di musica “IL FLAUTO E LA CLAVIETTA D’ARGENTO CITTA’ DI COSENZA”, che la mia scuola aveva istituito. A questo Premio partecipavano, annualmente, dai 1000/1300 alunni provenienti da tutta Italia. Dopo 4/6 giorni di eliminatorie, che si svolgevano nell’AUDITORIUM della scuola, la semifinale e la finale si svolgevano nella magnifica cornice del TEATRO RENDANO.

IL CONCERTO DEI VINCITORI concludeva, alla presenza di tutte la autorità della città di Cosenza, il Premio e l’INNO DI MAMELI lo chiudeva. solennemente. Negli anni ottanta non c’era molto amore di Patria in giro per l’Italia. L’INNO NAZIONALE veniva ascoltato seduti e con molta distrazione in tutta Italia.

Ma non a Cosenza. Non al CONCERTO DEI VINCITORI del Premio di musica nazionale “IL FLAUTO E LA CLAVIETTA D’ARGENTO CITTA’ DI COSENZA”. A Cosenza tutti i presenti in teatro venivano invitati ad alzarsi in piede in segno di rispetto verso la PATRIA e unirsi al coro e all’orchestra degli alunni della FAUSTO GULLO per cantare tutti insieme l’INNO DI MAMELI..

Tutto questo era possibile perché la FAUSTO GULLO aveva formato un’orchestra con coro di 80 elementi. .Condotti da un’insegnante di musica di rare capacità professionali, MARILENA SALERNO, giovanissima titolare di cattedra.

Erano gli ANNI OTTANTA. Cose simili, nelle altre scuole d’Italia, si incominceranno a vedere molto tempo dopo, con la PRESIDENZA CIAMPI, che aveva, ed ha, un fortissimo SENSO DI ITALIANITA’.

CARLO AZELIO CIAMPI, che aveva vissuto sulla propria pelle questa mancanza di ORGOGLIO NAZIONALE all’estero, fece molto per promuovere questo SPIRITO DI ITALIANITA’. Ma sulla sua strada ha sempre trovato LA BECERA CULTURA INTERNAZIONALISTA, che riportava indietro l’orologio della storia.

Lo riportava a quel fatidico 1494, quando, quella che oggi chiamiamo Italia non esisteva nemmeno come concetto, i Signori degli STATI REGIONALI, UBRIACHI DI LOCALISMO, invitarono lo straniero in Italia per esserne dominati.

Mi riferisco ai tragici fatti di NASSIRIA, in Iraq, Ciampi e il governo in carica, non solo hanno fatto una grandissima COMMEMORAZIONE FUNEBRE NAZIONALE di questi eroi, che COINVOLSE ED INORGOGLI’ TUTTI GLI ITALIAI, ma avevano posto le premesse per farne un ALTO MOMENTO UNITARIO DI AMOR DI PATRIA negli anni a venire.

Consapevoli che il SENTIMENTO DI ITALIANITA’ può attecchire e crescere robusto solo se i grandi eventi, lieti o tragici che siano, sono vissuti UNITARIAMENTE DA TUTTA LA COMUNITA’ ITALIANA.

Il governo successivo, miope ed ottuso, preda ancora di una CULTURA TERZOMONDISTA, ha distrutto questo disegno facendo ricorso alla formula, che ha sempre diviso l’Italia sin dal 1494,: “OGNUNO PIANGA I SUOI MORTI”. E non sapeva, o non voleva sapere, che in un’Italia, psicologicamente unita, i MORTI DI UNO SONO I MORTI DI TUTTI.

La celebrazione di questi eroi, MORTI PER SERVIRE LA PATRIA, fu trasferita alle LOCALITA’ di appartenenza. Nessuno dei nuovi governanti ha pensato che questi eroi, se fossero rimasti UNITI ANCHE NELLA CELEBRAZIONE DELLA RICORRENZA, AVREBBERO CONTINUATO A SERVIRE LA PATRIA MANTENENDO ALTO E VIVO IL CONCETTO DI ITALIANITA’. Questi eroi, ormai, non fanno più storia. Sono caduti nel dimenticatoio LOCALISTICO.

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giovedì 3 dicembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (14)

VERSO UN MONDO NUOVO

Dopo il diploma, l’università era una conseguenza logica. Ma non volevo farla andandomi a dare gli esami di tanto in tanto. Volevo frequentarla. La laurea, come pezzo di carta, non mi interessava. Mi interessava, e molto, crescere nella mia formazione culturale ed umana.

I miei parenti in Italia non erano in grado di finanziarmi. Lo fece mio fratello Peppe dal Canada. Mi mantenne all’Orientale di Napoli finchè non si espletassero le pratiche per andare in Canada non come studente, ma come emigrante. Da emigrante perché da studente non avrei avuto la possibilità di lavorare ed io avevo bisogno di mantenermi agli studi da solo.

Non volevo essere un prof. d’inglese che aveva appreso la lingua sui libri, come erano tutti i professori d’inglese che avevo conosciuto. Già la laurea in lingue era un ripiego per me. Avrei voluto prendere filosofia. Ma, a quell’epoca, non c’era la liberalizzazione degli sbocchi universitari come oggi.

Chi usciva dal magistrale poteva prendere solo “lettere”, “filosofia”, “lingue” e “vigilanza”.
Ma solo le lingue mi avrebbero garantito un posto assicurato alla fine del corso di studio. Con le altre avrei soltanto ingrossato le liste dei disoccupati. A meno che non avessi fatto il concorso per la scuola elementare. Ma, allora, a che pro andare all’università?.

Feci il primo anno in Italia. Mi diedi i primi esami e partii per il Canada, destinazione Vancouver. Sulla costa del Pacifico. Il viaggio in nave durò sette giorni. Fui fortunato. Il commissario di bordo, vedendo che ero uno studente universitario a Napoli, mi assegnò ad un tavolo di tre posti. I miei commensali erano due italocanadesi, marito e moglie.

Lui aveva fatto fortuna diventando un costruttore. Mi trattò come un figlio e mi diede alcuni consigli che si dimostrarono utilissimi. Avevo fatto amicizia con quasi tutti gli ufficiali di bordo, anche perché l’opera universitaria mi aveva rilasciato un tesserino come corrispondente del giornale della facoltà.

Col tacito consenso degli ufficiali, avevo libero accesso a tutte le classi della nave, una vecchia “carretta” del 1929. La mia classe era una bolgia infernale. Ma io l’utilizzavo solo per i pasti e per dormire. La prima classe era tutta un’altra cosa.

Su quella nave feci la mia prima esperienza culturale e psicologica che mi avrebbe mutato dentro e che avrei trovato descritta nei testi di scienze politiche. Finchè ero sulla nave mi sentivo come se fossi ancora in Italia. Ma appena si videro le coste di Terranova, sulla costa atlantica del Canada, qualcosa mi mutò dentro.

Sentii fortemente che stavo per lasciare l’Italia. Quello fu il momento in cui scoppiò il mio grande amore per l’Italia e di tutto ciò che era, ed è, italiano. Sentii che non ero più solo calabrese, come mi sentivo in Italia. Ero anche italiano. Una sensazione bellissima che mi dura tuttora. Ne ero orgoglioso, anche se l’Italia era una nazione povera che usciva da una guerra disastrosa. Quelle casette monofamiliari che vedevo sulla costa mi fecero capire che stavo per entrare in un mondo diverso. Un mondo che mi avrebbe dato molto.

Per prima mi diede un viaggio in treno favoloso. Per sei giorni ho attraversato tutto il continente americano. Da costa a costa, come amano dire gli americani. Dalla costa Atlantica a quella del Pacifico.

Vedere la regione dei Grandi Laghi, ai confini tra gli Stati Uniti e il Canada. Le immense praterie verdi. Le infinite foreste di conifere. Ma la cosa più straordinaria sono state le Montagne Rocciose. Un treno che si inerpica su per i costoni della roccia.

Un treno che ti dà la sensazione di essere sospeso nel vuoto. Un treno che attraversa gole strettissime e valli minuscole fiorite. Un treno che ti porta nella EVERGREEN Vancouver. Una città ed una sede universitaria che dovevano rivoluzionare il mio modo di pensare e cambiare radicalmente i miei sogni.

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sabato 28 novembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (13)

LO STUDIO COME COMPAGNO DI VITA

Avevo trovato un compagno che non mi avrebbe mai abbandonato, né tradito. Lo studio, da quel momento, divenne la cosa più importante per me. Avevo da percorrere un lungo cammino verso il sapere. E volevo percorrerlo tutto. Senza lasciarmi distrarre da nulla. Nemmeno dall’amore.

Quando mi sono fidanzato, dopo essermi laureato, la mia fidanzata ebbe l’intelligenza di capire che sarebbe stata sempre seconda nella mia vita. Prima c’era lo studio, da cui non aveva nulla da temere fintanto che non frapponeva ostacoli. E non lo fece mai, neanche quando la lasciavo con una bambina piccola per andare a fare le mie ricerche a Londra per i tre mesi d’estate.

Londra divenne la mia seconda casa, anche se non riuscì mai a soppiantare Parigi nel mio cuore. L’appuntamento con Londra divenne annuale. Lì esisteva la biblioteca più grande del mondo. Aveva 11 milioni di volumi. Non c’era notizia che non riuscissi a trovare. E poi aveva un’organizzazione efficientissima.

THE BRITISH LIBRARY (la Biblioteca Nazionale inglese) era allogata nel BRITISH MUSEUM, una visita obbligata di ogni turista. La Biblioteca non era aperta al pubblico. Era aperta solo agli studiosi da tutte la parti del mondo accreditati dai loro governi. Io ero stato accreditato dalla nostra ambasciata di Londra.

Per 25 anni Londra divenne, per me, un LUOGO DI SOFFERENZA E DI ESALTAZIONE. Di esaltazione nelle nove ore consecutive di studio. Entravo la mattina alle 9,00 e uscivo alle 18,00. Il pranzo lo saltavo perché facevo una ricchissima prima colazione all’inglese. Il servizio era efficientissimo. I libri che ordinavi ti venivano consegnati alla tua scrivania in pochi minuti.

C’erano studiosi da tutte le parti del mondo. C’erano anche gli americani che pur hanno una grandissima Biblioteca nazionale, THE LIBRARY OF CONGRESS, ma gli studiosi americani dicevano che quella londinese era più efficiente e la vita era meno cara a Londra che a Washington.

In questa biblioteca ho scritto tutti i miei libri, anche il più duro. Quello che mi è costato dieci anni di ricerche: IL GENIO DI UN POPOLO. Questo libro era nato come un atto di accusa contro gli inglesi e doveva essere intitolato I DEPREDATORI DELLA STORIA.

Nella mie ricerche precedenti avevo sommariamente notato che gli inglesi avevano preso a pieni mani da tutti gli altri popoli della Terra. Ci avevano messo il loro marchio e lo avevano riesportato come prodotto tipico della civiltà inglese. Anche Shakespeare, tanto per citarne uno, aveva preso il contenuto delle sue tragedie da altri.

Ma, continuando ad approfondire la ricerca, ho scoperto che questo non era un demerito, ma era la loro GENIALITA’. Allora la ricerca assunse un altro significato. Non più contro gli inglesi, ma un INNO ALLA LORO GENIALITA’. Il ricercatore deve essere, innanzi tutto, intellettualmente onesto. Ed io lo sono stato.

Gli inglesi non hanno mai brillato per l’originalità delle idee. Tutto quello che di tipicamente inglese c’e nel mondo è stato importato da qualche parte. Ma gli inglesi hanno avuto il genio di trasformarlo e renderlo unico.

Giustamente possono essere orgogliosi di questa loro capacità. Anche se l’idea di fondo, il prodotto di base, sia esso un congegno tecnico o un’attività sportiva (come il Polo o il Cricket, per esempio), sono stati presi da altri, è giusto considerare il prodotto finale come una tipica ed originalissima produzione del genio inglese, pronta per essere esportato.

L’era di INTERNET, la RIVOLUZIONE più grande che l’UOMO abbia mai prodotto nella sua storia, mise fine alla mia trasmigrazione estiva a Londra. Prima di internet, se volevi fare ricerca, dovevi andare ad uno dei CENTRI DEL MONDO, che si potevano contare sulle dita di una mano.

INTERNET ha avuto il GRANDE MERITO di aver reso ogni PUNTO GEOGRAFICO del globo, se collegato ad internet, un CENTRO DEL MONDO. Le informazioni, le notizie, i dati continuano a fluire anche se sei all’interno della FORESTA AMAZZONICA. Ecco perché mi sono potuto ritirare a FIUMEFREDDO BRUZIO senza dover rinunciare ad avere LO STUDIO COME COMPAGNO DI VITA.

CONTINUA

ps da venerdi riprenderò le scadenze abituali

giovedì 26 novembre 2009

LA PERFIDA ALBIONE COLPISCE ANCORA

spiacente... ma mi trovo in edinburgo ed un computer cretino, come tutti gli inglesi, non mi consente di mettere on line la puntata di domani... lo faro` domenica al mio rientro

giovedì 19 novembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (12)

IL PUNTO DI SVOLTA

Congedato, mi sono affidato a tre docenti. Tutti hanno creduto subito in me. Loro correvano col programma ed io mantenevo abbastanza bene il passo. Mi confermavo un FAST LEARNER. La mia preparazione non era APPICCICATICCIA, come si potrebbe pensare. Il nuovo che apprendevo si innestava in quel sostrato culturale che avevo accumulato in anni di letture ed era perfettamente digerito e rielaborato.

Uno dei miei proff. mi chiese di fare di più. Mi chiese di aiutare un gruppo di giovani che per anni aveva tentato, inutilmente, di superare l’esame di Stato. Prima da interni, poi da privatisti. Erano sette.

L’unico maschietto lo stava tentando per la settima volta. La sua fidanzata era disperata. Uscivano tutti e due da una classe del magistrale. Lei aveva superato l’esame. Lui rimase. Nel frattempo lei aveva vinto il concorso per maestra e passò nei ruoli della scuola elementare.

Aspettava che anche lui prendesse il diploma per sposarsi. Lui era di ottima famiglia. Una di quelle famiglie che contano nel proprio ambiente. Le altre sei, tutte femminucce, avevano ripetuto l’esame dai 3 ai 5 anni. Mi imbarcai nell’impresa.

Avevo fatto un semplice calcolo di convenienza. Se ero costretto a dare ripetizioni a loro, io sarei diventato bravissimo nella conoscenza del programma. E così è stato.

Sono riuscito a portare tutti alla conquista dell’agognato diploma. Al maschietto ho dovuto dare la spinta iniziale. Gli ho consigliato il tema di pedagogia e gli ho dato le indicazioni come svolgerlo. Lui in pedagogia era bravo. Superato il panico iniziale, poi lo svolgimento lo ha fatto da solo.

Avevo capito perché aveva fallito tante volte. Appena dettate le tracce dei temi ebbe un crollo psicologico. e divenne incapace di coordinare le proprie idee. Ma come lingua scritta non era male. Semplice, ma non male.

Tutti ne sono usciti bene. Io ne sono uscito benissimo. Sono stato il secondo nella graduatoria generale di interni e privatisti.

I docenti che mi hanno esaminato sono rimasti impressionati dal mio tema di storia. Il docente di italiano e quello di filosofia mi hanno detto che avevo fatto un tema di FILOSOFIA DELLA STORIA. Avevo dimostrato di conoscere sia la storia che la filosofia. Quindi non mi interrogarono su queste due discipline.

Mi interrogarono sui minori della letteratura italiana. Ma noi avevamo imparato la formuletta per ricordarceli: “GUIDO CAVALCA SANTA CATERINA E PASSAVANTI”.. Quegli otto anni di programma erano stati superati brillantemente.

Avevo il diploma! Era il punto di svolta. I miei incubi notturni erano finiti. Non sarei mai più stato un “GARZONE DI BOTTEGA” o un “BARRISTA” o un “FOTOGRAFO”, come mi vedevo negli incubi. Avevo trovato la mia strada maestra nella vita: LO STUDIO. Quegli incubi non sono mai più riapparsi.

Due episodi mi hanno fatto prendere coscienza della stima che mi ero conquistato. La famiglia del “maschietto” mi volle a pranzo. La tavola era stata imbandita come mai avevo visto in vita mia. Tovaglia ricamata pregiatissima. Posate d’argento. Piatti di porcellana pregiata. Bicchieri di cristallo. Dissi alla madre del mio amico: “signora, perché tutto questo?”. Lei mi prese la mano e se la tenne stretta nelle sue: “figlio! Tu meriti questo”.

L’altro episodio accadde sempre ad un invito a pranzo. Tra le sei femminucce c’erano due sorelle. I genitori mi vollero a pranzo nel loro paese. Non erano altolocati come la famiglia del “maschietto”. Era gente comune, ma dignitosissima. La loro tavola non aveva quella sontuosità come dal “maschietti”. Ma i loro valori erano altrettanto nobili.

Durante il pranzo si rivolgevano a me sempre col “voi”. Li pregai di darmi del “tu”. In fondo ero un collega delle loro figlie. Il padre non volle. “ E’ un segno di rispetto. “Voi” siete stato il professore delle nostre figlie. Senza di “voi” forse non avrebbero mai preso il diploma”.

CONTINUA

giovedì 12 novembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (11)

IL FIGLIO DEL GIUDICE

Prima di partire per il militare, il fratello della ragazza del negozio, che aveva fatto le scuole medie superiori nel famoso collegio degli Scolopi di Firenze, mi fece una lettera di presentazione per uno “scolopino” di Arezzo, dove io dovevo fare il periodo di addestramento militare..

Ma non poteva far vedere che raccomandava un “garzone” di negozio. Mi presentò come il figlio di un giudice che non aveva voluto studiare e si era dedicato alla scuderia di famiglia. Una brutta figura non gliela avrei fatta fare. Il mio italiano ero buono. Anche le mie maniere erano buone.

Dalla famiglia dello “scolopino” sono stato trattato con i guanti gialli. Inviti a cena a non finire. Poverino, il figlio del giudice costretto a mangiare quel “rancio” schifoso in caserma! Una cena succulenta per ripagarlo.

Mi fecero visite in caserma in ogni occasione. Mi presentarono a gente che contava, compreso un ufficiale del mio reggimento. Io ero il “figlio del giudice”. Fortunatamente questa farsa finì dopo tre mesi, quando fui trasferito a Pisa.

A Pisa mi resi conto che neanche la vita militare era fatta per me. Ad una cosa, però, era servita: a togliermi il vizio delle carte. Sin da ragazzo passavamo nottate intere al tavolo da gioco. Nelle camerate della caserma si era formato un tavolo da gioco. Ma io mi sono sempre rifiutato.

D’allora non ho più giocato. E questo era coerente col mio carattere. Quando una funzione è finita va eliminata per sempre. Gli inglesi direbbero: LET BYGONE BE BYGONE.

Sotto le armi decisi che nel mio futuro c’era solo lo studio. Potevo farcela. Gli anni da recuperare erano otto. Ma io potevo farcela. In fondo non ero un ignorante TABULA RASA. Le mie letture avevano preparato il terreno. I semi fruttificavano perché non cadevano nei rovi.

Non ho mai preso in considerazione la possibilità di rinunciare a tutto dicendo a me stesso, come fa la stragrande maggioranza dei PERDENTI, “non ho potuto farlo io, farò in modo che l’abbiano i miei figli”. Ma io mi sentivo un VINCENTE.

Sapevo che avrei potuto farcela io ed ai miei figli avrei potuto dare di più. Come, in effetti, è avvenuto. Con la posizione sociale che mi sono saputo conquistare ho dato alle mie figlie una formazione molto avanzata. Le ho potuto mandare a studiare in Inghilterra, per tre anni ciascuna, per farle diventare bilingue.

Avevo capito per tempo che l’inglese sarebbe diventato un PASSE PARTOUT che avrebbe aperto loro qualsiasi porta. Ma, quello che mi è interessato di più è stato aprire i loro ORIZZONTI MENTALI e niente avrebbe potuto farlo meglio di un prolungato soggiorno in una delle più avanzate nazione del mondo.

E tutte e tre sono diventate delle VINCENTI. La prima ha una cultura paurosa. Si è letta quasi tutti i libri del mio studio. Conosce tutta la letteratura inglese e quella italiana. È laureata in lettere moderne. Ha una logica stringente e una dialettica non comune. Ha sempre vinto tutti i concorsi a cui ha partecipato. Al primo, su tremila candidati per due posti, è risultata la seconda. Ha vinto il concorso ordinario per la scuola media e quello per la scuola media superiore. Ora vuole realizzarsi nella scuola, dopo dieci anni in una amministrazione pubblica, ma sta capendo, proprio come aveva capito suo padre ai suoi tempi, che non ci riuscirà da insegnante. Per questo è destinata a vincere anche il concorso a Preside non appena avrà i requisiti per parteciparvi.

La seconda ha una personalità molto equilibrata. È la più saggia delle tre. Ha un forte senso del dovere unito a una umanità ricca. Insegna lingua e letteratura inglese nelle scuole superiori a Milano. I suoi alunni la adorano perché si prodiga per portare tutti al traguardo meritatamente. Grande è la sua disponibilità verso i colleghi. È apprezzatissima dai dirigenti scolastici per la sua completa dedizione alla scuola.

La terza, dopo essersi laureata in chimica in Italia, ha conquistato, vincendo una borsa di studio, il più prestigioso titolo accademico americano: un dottorato quinquennale in biochimica in una delle più prestigiose università degli Stati Uniti. Ha lavorato come TEAM LEADER in una media industria farmaceutica in Inghilterra. Ora, giovanissima, è in Svizzera come ASSOCIATED DIRECTOR nel mega laboratorio della terza industria farmaceutica mondiale. Ha uno stipendio da favola.

Se fossi rimasto operaio, o giù di lì, tutto questo non avrebbero potuto averlo. Sarebbero state ragazze che avrebbero dovuto arrabattarsi per raggiungere una striminzita laurea. Una mia cognata insisteva perché io facessi questo.

Ma io ero cosciente di avere una capacità di apprendimento fenomenale e feci quello che mi sentivo di fare. Mi iscrissi ad una scuola per corrispondenza. La RADIO ELECTRA di Torino. L’obiettivo era il diploma magistrale. Alcune materie mi incutevano timore. La filosofia per esempio. Pensavo di non farcela. Allora chiesi al cappellano della caserma se poteva darmi una mano.

Si dimostrò disponibile. La sua presenza servì solo a darmi la consapevolezza che non c’erano ostacoli che non potessi superare. Infatti, egli si limitava a farmi leggere le dispense della Electra ad alta voce. Di tanto in tanto mi chiedeva se avevo capito quanto letto e se ero in grado di spiegarglielo. Cosa che facevo senza alcuna difficoltà.

Questo mi fece rendere conto che sbagliavo strada. Io avevo bisogno di uno che desse sistematicità al mio studio. Che mi guidasse ad utilizzare sistematicamente e coerentemente tutte le conoscenze che avevo acquisito nei miei anni e anni di “letture”. Agli esami avrei dovuto portare un programma di otto anni. E avrei dovuto studiarlo in un solo anno. Insomma, avevo bisogno di proff. veri. L’Electra era un capitolo chiuso.

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giovedì 5 novembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (10)

LE CLASSI SOCIALI COME BARRIERA

Questa crescita culturale caotica mi provocò un forte disagio nei lavori che facevo. Li sentivo inadeguati alle mie esigenze. Nessuno di essi poteva farmi sentire appagato. Capivo che se fossi rimasto a svolgere un mestiere qualsiasi sarei stato un frustrato a vita.

Come titolo di studio avevo la quarta elementare, ma le mie letture mi avevano dato una maturità sociale molto più alta. Il mio italiano non poteva dirsi perfetto, ma era di buon livello. Anche la mia cultura non era da quarta elementare. Possedevo conoscenze molto più ampie.

Il bar mi aveva fatto frequentare ceti sociali di classe media. Anche gli amici che frequentavo erano di classe media. Ma non ho mai rinnegato i miei amici d’infanzia. Soltanto che la via mi aveva spinto a frequentare altre persone che appartenevano alla classe media.

Ma fino a quell’epoca io non facevo distinzioni di classe. Comunque c’era una spinta in me che mi faceva dirigere verso persone migliori di me. Ma non di proposito. Era una cosa naturale. I miei amici d’infanzia, fintanto che si frequentava la scuola elementare, erano misti. C’era il figlio dell’impiegato, il figlio del professionista, il figlio del mio datore di lavoro, come c’era il figlio dell’operaio e c’era anche il figlio del mendicante.

La separazione avvenne dopo la scuola elementare. Chi se lo poteva permettere proseguiva gli studi. Gli altri andavano nel mondo del lavoro. Ed è da questo momento che il solco tra gli amici di un tempo si incominciò ad approfondire. Chi studiava diventava sempre più maturo intellettualmente. Chi era inserito nel mondo del lavoro rimaneva culturalmente povero. Continuare a frequentarsi diventava di fatto impossibile. Le esigenze erano diverse

Io costituivo un caso a parte. Anch’io mi ero inserito nel mondo del lavoro, ma io ero un lettore appassionato. Intellettualmente io crescevo anche più velocemente dei miei compagni rimasti nella scuola. Io leggevo di tutto. Loro si limitavano alle materie di studio. Ed era questa crescita intellettuale che mi faceva sentire a disagio nel mondo del lavoro manuale.

Ma non sai mai quali sorprese ti riserva la vita. Lavoravo in un negozio come FACTOTUM. Alla cassa spesso c’era una delle figlie del proprietario. Io ne ero preso. Fortemente preso. Lei lo aveva capito. L’avrei sposata volentieri. Ma il fato mi è stato benigno. Se lo avessi fatto ora sarei un negoziante. Magari ricco. Ma solo al pensarlo rabbrividisco. Il mio io inquieto poteva essere soddisfatto solo dalla strada che ho intrapreso successivamente.

Ma non l’ho fatto per merito mio. Fu lei che mi spinse inconsapevolmente sulla strada giusta. Io ancora non avevo capito nulla sulle distinzioni sociali. Anche perché io mi muovevo nella zona di confine di due classi: appartenevo alla classe operaia, ma frequentavo amici di classe media.

Lei era una ragazza diplomata. Figlia di un negoziante benestante e molto conosciuto. Quindi aspirava a fare un “buon” matrimonio. Che non potevo essere io, suo “garzone” di bottega. Per quanto intelligente potessi essere. E me lo confessò in un momento di ammirazione e gratitudine per me.

Era stata “aggredita” verbalmente da un capitano dei carabinieri nel negozio. L’aveva fatta arrivare quasi alle lacrime. Il suo “garzone”, che lavorava nel retrobottega, senti tutto ed intervenne. Tenne testa a quel villano di capitano e lo mise talmente in difficoltà che non gli rimase che chiedere scusa alla ragazza offesa.

Lei, piena di gratitudine per il “garzone”, che aveva saputo difenderla, si confessò. “Senti, Franco, delle volte noi abbiamo dei sentimenti, ma la nostra posizione sociale non ci consente di seguirli”. Avevo capito. Per me non c’era posto. A me toccava la figlia di un operaio, magari anche ignorante.

Quando mi sono sposato ho fatto la controprova. Ero laureato. Insegnavo, anche se ancora non titolare. Mia moglie apparteneva ad una buona famiglia. Maestra elementare titolare. Le chiesi:“se fossi stato un “garzone” di negozio, mi avresti sposato?” “No, non ti avrei sposato”. Mi rispose onestamente.

Questo mi fece capire che la figlia del negoziante aveva ragione. I ruoli sociali erano importanti. L’intelligenza da sola non bastava. Almeno ai miei tempi. Non so se basta ora. Ho aspettato il servizio militare come il momento della liberazione.

Volevo abbandonare la vita civile e intraprendere la carriera militare. Presi, in tutta fretta, il diploma di quinta elementare, che pensavo mi servisse per arrivare al grado di sottufficiale (maresciallo) a fine carriera.

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giovedì 29 ottobre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (9)

GALEOTTO FU IL FUMETTO

Ttutto è iniziato con i fumetti. Prestissimo sono diventato un insaziabile lettore di fumetti. La LETTURA è stata la molla iniziale che mi ha portato dove sono ora. Amavo leggere i fumetti perché avevo la CURIOSITA’’ di sapere come finivano le storie raccontate dalle immagini.

La mia, però, era una curiosità a 360 gradi. Ero interessato a tutto e di tutto volevo sapere. Ho letto i fumetti fino a 9/10 anni. Me li procuravo tra gli amici. Ero riuscito ad averne uno di mia proprietà. Era un fumetto di MANDRAKE. Era molto interessante. Lo scambiavo come potevo. Uno contro tre. Uno contro due, ma anche uno contro uno.

La lettura mi appassionava. Quando rientravo dal lavoro per il pranzo, mangiavo leggendo. In casa dei poveri il cibo è molto semplice. Non hai bisogno di guardarlo per mandarlo giù. È la quantità che ti sazia. Il mio pasto era sempre una “pentola” di pasta “mischiata”. Con patate, con ceci, con fagioli, con lenticchie… ecc.

Se avevo ancora fame c’era un tozzo di pane duro. Il pane fresco era stato bandito dalla nostra casa perché se ne consumava troppo. Mia madre, per risparmiare, si faceva fare, al forno dei contadini, pani di due kg. Ma non lo mangiavamo mai fresco. Prima si doveva fare duro di qualche giorno.

Ecco perché, quando mi sono sposato, a mia moglie, educata a non sprecare nulla, che mi voleva rifilare il pane invecchiato del giorno prima, dicevo: “io mangio solo pane di giornata”. È lei l’ha rifilato alle figlie per qualche giorno. Poi ci sono stati panini di giornata per tutti.

Io non l’avevo mangiato da bambino, se non lo mangiavo neanche da adulto, quando l’avrei mangiato? Nell’al di là? Ma io so che in quel luogo non si ha bisogno di cibo. E così è stato anche per il pollo. Le cosce andavano sempre alle bambine. Ho fatto lo stesso discorso del pane fresco. Da allora in poi, mia moglie comprava sempre solo cosce di pollo per tutti. Giustizia era fatta.

Il tempo dei fumetti, comunque, finì. Avevano svolto la loro funzione. Mi avevano fatto appassionare alla lettura e mi avevano creato il bisogno di qualcosa di più sostanzioso e più aderente alla mia mutata situazione culturale e psicologica. Sono, perciò, passato ai giornaletti settimanali. Il preferito era “L’Intrepido”.

Con i fumetti è stato un taglio netto. Non ho mai più sentito la loro mancanza. E questa si doveva dimostrare una costante nella mia vita. Quando una fase si concludeva il taglio era netto. Dai giornaletti settimanali sono passato alle novelle. Dalle novelle ai romanzi e alla letteratura (che a quei tempi non sapevo cosa fosse).

Ho letto quasi tutte le pubblicazioni della mitica B.U.R. (biblioteca universale rizzoli). Le compravo man mano che uscivano. Tramite la B.U.R. ho letto quasi tutta la letteratura italiana. Io ero solo uno che leggeva per conoscere e capire. Non c’era nessuna finalità nelle mie letture. Né un ordine mentale. Sentivo il bisogno della conoscenza e basta.

Tutte queste letture, però, raggiunsero un risultato importante: mi provocarono una forte voglia di esprimermi. La fantasia non mi mancava ed ero un sognatore. Ho incominciato a scrivere quelle che io chiamavo “poesie”. La metrica non sapevo cosa fosse. Non sapevo nulla di nulla.

Ho scritto anche un poemetto scimmiottando la Divina Commedia. Ricordo che, durante il servizio militare, quando la mia compagnia era consegnata in caserma, organizzavo dei dialoghi alla Socrate con i miei commilitoni. Riuscivo ad interessarli tutti. Avevo una buona logica ed un’ottima dialettica.

Insomma, ero nella prima fase di una crescita culturale. Quella dell’IMITAZIONE, che mi avrebbe portato lontano. Le altre fasi, che ho attraversato progressivamente, erano quella dell’IMITAZIONE CREATRICE e quella della CREAZIONE ORIGINALE.

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lunedì 26 ottobre 2009

BERSANI, L’ULTIMO UTILE IDIOTA?

L’utile idiota è una figura creata dal comunismo sovietico. Fu Lenin a crearla. Quando non era politicamente conveniente apparire con la propria immagine di partito comunista, si metteva in primo piano una figura rassicurante di altra forza politica, una persona di solo facciata, che serviva a carpire la benevolenza dell’opinione pubblica in generale. Ma, dietro le quinte, i comunisti esercitavano il vero potere.

Anche se il comunismo sovietico non esiste più, la figura dell’utile idiota non è scomparsa. Le mentalità sono difficile a morire. Si può cambiare pelle, ma la mentalità rimane quasi immutata. E lo rimarrà per generazioni. Sparirà solo nel lunghissimo periodo. In gergo si dice “il lupo perde il pelo, ma non il vizio”.

Nella fusione tra il Partito Democratico di Sinistra (PDS) e la Margherita (ex democristiani di sinistra) c’erano due figure in primo piano: Massimo D’Alema , da parte del PDS, e Ciriaco De Mita da parte della Margherita. Tutti e due troppo caratterizzati per essere messi in prima fila.

Ciriaco De Mita, con la sua intelligenza politica e la sua qualità caratteriale di non reggere la candela a nessuno, incuteva timore. Se si voleva augurare lunga vita al nascente Partito Democratico, Ciriaco De Mita era un uomo da eliminare e, alla prima occasione, fu fatto fuori. Costretto ad autosfrattarsi dal partito.

Massimo D’Alema, più scaltro, ha saputo conservare intatto il suo potere di DEUS EX MACHINA per due motivi. Anche se fortemente caratterizzato come comunista, che aveva frequentato la famigerata “scuola di partito”, dove si formavano le grandi élite del partito comunista, egli seppe far tesoro della politica dell’UTILE IDIOTA sia nel PDS, quando diede la SEGRETERIA DEL PARTITO A FASSINO, UTILE IDIOTA di turno, sia ora nel PD quando ha proposto BERSANI ALLA SEGRETERIA DEL PARTITO.

BERSANI è, e sarà, la LONGA MANUS dell’ultimo VERO CREDENTE DEL COMUNISMO: MASSIMO D’ALEMA. E questa sarà fonte di una SCISSIONE ANNUNCIATA.

Un uomo come Rutelli, di vivace intelligenza, politicamente più ricco, difficilmente catechizzabile, è stato spinto in seconda fila. Questo è stato un grande errore che il PD PAGHERA’ CARO. Ma lo pagherà caro anche l’Italia che non vedrà sorgere quel BIPARTITISMO che era negli auspici di VELTRONI, che, a differenza di D’Alema si è sempre contraddistinto più come LIBERAL che come POST-COMUNISTA.

Questo potrà far piacere a CASINI, che vedrà, finalmente, sorgere quel PARTITO DI CENTRO a cui aspira.

Caro CICCIO DE NAPOLI domanda dobbiamo porcela: riuscirà il nostro utile idiota a salvare il POPOLO DELLA MARGHERITA dalla VOLONTA’ EGEMONICA dei POST COMUNISTI o sarà anch’esso CANNABALIZZATO come è avvenuto per quei socialisti che hanno creduto nella sirena dei comunisti prima e dei post comunisti oggi?

giovedì 22 ottobre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (8)

LA SCOPERTA DEL MIO IO


La casa di appuntamento di Napoli era frequentata da donne bellissime e giovanissime. Erano tutte donne che venivano dalla cintura del napoletano. Molte di loro erano, o erano state. Miss del loro paese.

Allora si chiamavano RAGAZZE SQUILLO. Oggi è più “chic” chiamarle ESCORT WOMEN. La loro tariffa era un milione di lire. Una cifra enorme per quei tempi. Venivano perfino preti in CLERGYMEN dal Vaticano per passare qualche ora con loro. Una volta ne trovai uno alla porta. Era molto giovane. Mentre gli stavo dicendo “reverendo questo non è luogo per lei”, la mia padrona di casa, dietro di me, disse: “no!… no!… lo lasci passare”.

Queste ragazze avevano tutte la velleità di sfondare nel cinema. Il loro modello era una ora famosissima attrice. In quei giorni i russi avevano lanciato lo Sputnick nello spazio. La prima nazione ad arrivarci battendo gli U.S.A. e a Napoli correva una “freddura”: “lo sai qual è la differenza tra lo Sputnick e questa attrice? Lo Sputnick è stato lanciato col RAZZO. Questa attrice è stata lanciata col C.”. Questa attrice, in effetti, prima di conoscere l'uomo della sua vita, aveva cambiato molti uomini di peso.

Queste bellissime donne con me avevano fatto amicizia perché mi consideravano di casa. Ero il solo ad abitarci in pianta stabile. Qualcuna, quando faceva molto tardi per rientrare nel proprio paese, mi chiedeva di ospitarla nel mio letto matrimoniale. Loro volevano essere carine con me prima di dormire, ma io non sono mai stato in grado di essere all’altezza, anche se ero tremendamente attratto dalla loro grande bellezza. Navigavo in superficie. In profondità mai!

Loro se ne facevamo un cruccio. Pensavano che la loro “potenza” fosse in declino. Erano abituate a vedere che tutto si alzava in loro presenza. Non avevano nemmeno bisogno di dire: “alzati lazzarone”. Ma io le rassicuravo che il difetto non stava in loro, ma in me.

Ecco perché ho ritenuto fosse giunto il momento di spiegarmi quello che mi succedeva sin da ragazzo. Ma volevo farlo a modo mio. Scientificamente. Avevo appreso che tutti gli studiosi di psicanalisi, per esercitare la quale non c’è bisogno di essere medico, prima di esercitare, DOVEVANO fare esercitazione su se stessi autopsicanalizzandosi. Solo quando l’autoanalisi aveva successo erano pronti per esercitare.

Io volevo fare lo stesso, ma per fini diversi. Volevo AUTOPSICANALIZZARMI per conoscermi meglio. Mi sono, letteralmente, tuffato nello studio di tutti i sacri testi della psicanalisi (FREUD, JUNG, e via di seguito) e di psicologia (PIAGET ed altri). Ho letto e meditato su tutti gli studiosi di psicanalisi e psicologia con tutta la casistica su questo argomento.

AUTOPSICANALIZZANDOMI, sono, finalmente, entrato nella CAMERA BUIA DELLA MIA MENTE e sono arrivato a darmi la risposta che cercavo. Ma ho scoperto anche tante altre cose che si erano ammucchiate negli angoli più recessi della camera buia della mia mente. Alcune positive. Altre negative.

La cosa che mi ha gratificato di più è il fatto che ho PRESO COSCIENZA CHE ERO, E SONO, UN PRECOGNITIVO. LE COSE LE HO SEMPRE VISTE UN TANTINO PRIMA DEGLI ALTRI. Io ritenevo fosse INTUITO. Un intuito molto spiccato, che mi sono sempre riconosciuto. Ma mi sono dovuto arrendere di fronte ai fatti.

L’intuito è legato alle cose immediate e concrete. La PRECONOSCENZA vede un tantino più lontano nel tempo. I francesi chiamano questo fenomeno CLAIRVOYANCE e lo considerano un fenomeno PARANORMALE, che non può essere spiegato dalla scienza.

Comunque, questo studio immane, e il tirocinio che ho fatto a Parigi (di cui parlerò altrove) mi è stato utilissimo nella mia futura professione di docente e di preside. Se professionalmente riuscivo in tante cose è perché avevo imparato a conoscere l’uomo nella sua essenza. Quella nobile e quella meno nobile. Che tutti abbiamo.

Dopo questo studio su di me, sono stato in grado di dire a me stesso che io sono stato il prodotto di quattro elementi fondamentali:

1) La mia natura: il mio cervello aveva, ed ha, un’ottima materia grezza ed era dotato di memoria lunga (il cervello ha due tipi di memoria: quella lunga e quella corta). Mi bastava CAPIRE e la conoscenza era acquisita per sempre;

2) La mia insaziabile CURIOSITA’’, che mi faceva SCAVARE su ogni argomento, su ogni situazione, su ogni avvenimento;

3) Il cinema che mi ha sempre fornito i modelli di riferimento, che non avevo nella vita reale:

4) La mia capacità di AUTOCRITICA, che non si limitava ai miei errori, da cui ho imparato moltissimo, ma era estesa anche ai miei comportamenti meglio riusciti. Ho sempre riflettuto molto su come migliorarmi. Non solo culturalmente, ma anche nei comportamenti.

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domenica 18 ottobre 2009

FINI VERSUS BERLUSCONI:MOVIMENTO O PARTITO?

LA NOTIZIA APPARSA SU FACEBOOK: “possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi? “ di Matteo Mezzadri, coordinatore del Pd di Vignola, Modena.

PARLIAMONE


Le differenze di vedute tra Fini e Berlusconi sul partito non sono di poco conto. Sono la spia di due concezioni diverse sulla funzione del partito. Ma sono anche la spia di una profonda differenza tra le due personalità.

Fini è un uomo di apparato, che crede nell’organizzazione territoriale del partito per raggiungere due obiettivi: fidelizzare gli iscritti e organizzare il consenso.

Berlusconi è un battitore libero. Un uomo di spettacolo a cui ogni organizzazione troppo rigida sta stretta. Egli ha bisogno di muoversi liberamente per creare entusiasmo attraverso slogan ed immagini.

Berlusconi è più MOVIMENTISTA che uomo di partito. Fini è l’esatto contrario. Fini è fermamente convinto che il consenso si organizza attraverso il partito. Berlusconi sa che le elezioni si vincono andando alla ricerca di consensi che travalichino il partito.

Egli ha dimostrato, più volte, che le elezioni si vincono puntando sulla figura del Leader, che non deve fare appello solo alla ragione, ma anche, e soprattutto, all’emotività attraverso la coralità della sua azione politica.

La sezione di partito è sempre uguale a se stessa. Il CLUB, il GAZEBO, riescono a catturare il cittadino non impegnato, colui che risponde ad un richiamo emotivo. Il richiamo è il LEADER che lancia messaggi che fanno appello all’irrazionale.

È il leader che gioca liberamente su tutti i fronti. Una tecnica molto sperimentata che usa è il VITTIMISMO. Quando Berlusconi dice che più la MAGISTRATURA LO PERSEGUITA più il suo CONSENSO presso l’OPINIONE PUBBLICA AUMENTA, ha ragione.

La gente lo vede come una vittima di un potere forte. Fa parte della psicologia dell’animo umano avere simpatia per il più debole. È stato sempre così nella storia umana. E’ stato così anche tra ETTORE E ACHILLE.

Le simpatie del lettore dell’Iliade non vanno verso Achille, il forte, l’invincibile, figlio di una dea. Ma vanno verso Ettore, il debole, che combatte per salvare la sua patria dal bruto Achille e dalla sua schiera.

Berlusconi viene visto come l’OUTSIDER che è SCESO IN CAMPO per salvare l’Italia dalle grinfie del COMUNISMO dopo che, nel 1992, la MAGISTRATURA aveva distrutto tutti gli altri partiti democratici.

Ecco perché Berlusconi non ama la rigida organizzazione di partito. Egli deve recitare il ruolo di BATTITORE LIBERO per coagulare intorno a sé quel consenso che non si convoglierebbe mai verso un partito e che altrimenti andrebbe disperso.

Ecco perché egli deve essere CAPOLISTA IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI. E’ sul suo nome che avviene il miracolo. Senza di lui tutta la struttura crollerebbe. Questo Fini lo ha capito e vorrebbe convogliare il FORTISSIMO CARISMA di Berlusconi dentro il PDL.

Solo se questa operazione riesce ci sarà salvezza per il PDL dopo Berlusconi. Altrimenti subirà un immediato processo di nanizzazione. E per Fini sarà difficile centrare i suoi obiettivi personali.

Il giovane coordinatore del Pd di Vignola, nella sua aberrazione, di cui si è pentito subito, non ha visto male. Il nemico da battere non è il PDL, ma BERLUSCONI. La persona fisica di Berlusconi

giovedì 15 ottobre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (7)

ALLA RICERCA DI ME STESSO

Per ritornare alla mia prof., alias bromuro della sera. Aveva preso la cosa sul serio. Aveva fatto i suoi programmi. Si era messa in testa di sposarmi. Ma io, a quell’epoca, credevo al detto “moglie e buoi dei paesi tuoi”. Secondo, prima di accasarmi, volevo conoscere il mondo. Volevo diventare psicologicamente più maturo e, per farlo, dovevo fare molte esperienze, specialmente nei rapporti tra i sessi.

Tuttavia, questo fatto che si era invaghita di me si diffuse in tutta l’università e mi diede molta notorietà. La prof. era una delle più stimate nella nostra facoltà ed io mi trovai al centro di un pettegolezzo infinito nella mensa universitaria.

Tutti volevano sapere come avevo fatto a farla invaghire di me. Io ero al primo anno di università, ma ero più grandicello dei miei colleghi di corso. L’università mi aveva fatto cambiare stile di vita. Mi ha quasi costretto a rivoluzionare il mio ritmo circadiano.

Undici ore di sonno erano troppe. Io volevo, e dovevo, studiare seriamente. Ma volevo anche prendermi i piaceri che un ragazzo sogna a quell’età. Ho diviso la giornata in tre blocchi di otto ore. Otto per lo studio, otto di sonno, otto per il divertimento. Ma questa formula l’ho applicata con molta flessibilità. La notte studiavo dalle 21 alle due. Ma, puntualmente, alle 8, “sveglia al mattino” (la mia preferita) dolcissimamente mi traghettava alla veglia. Altre due ore di sonno le recuperavo nel pomeriggio.

L’amicizia con i clienti del bar, dove lavoravo, mi ha aiutato a scoprire una MIA DIVERSITA’ PSICOLOGICA molto importante. Verso i 13 anni questi amici decisero che era venuto il momento di portarmi a “femmine”. Organizzarono la mia entrata nel sesso praticato con la tenutaria di una casa di appuntamento nella COSENZA STORICA.

Vestivo ancora i pantaloncini. Di soppiatto mi fecero entrare direttamente in una stanza, dove c’era una bellissima ragazza di 18/20 anni che mi aspettava. Non era una professionista. Era una ragazza che guadagnava qualcosa con queste occasioni speciali e riservatissime. Riservatissime anche per il suo anonimato. Io ero un’occasione speciale. Doveva essere lei ad aprirmi ai nuovi orizzonti.

A pensarci ora, la preoccupazione dei miei amici è stata molto affettuosa. Non volevano che io iniziassi con una del mestiere. E credo che quella ragazza sia costata loro un bel po’ di soldi. Tranne io, nessuno dei miei amici ha avuto modo di vederla. La padrona di casa l’aveva fatta entrare da una porta laterale che dava direttamente alla stanza, dove è avvenuto l’incontro.

Poverina, ha tentato in tutti i modi. Non c’è stato nulla da fare. Lei era preoccupata per la sua reputazione. Non l’avrebbero chiamata più. E lei aveva bisogno di guadagnarsi qualche soldo extra. Così decidemmo di inventarci grandi battaglie. Il suo futuro guadagno era salvo. In quanto a me non ero preoccupato. Conoscevo bene me stesso. Sapevo che quella era un’eccezione.

Avevo cinque anni di tirocinio. Avevo scoperto il fai da te ad otto anni. Con i compagni del quartiere giocavamo anche a chi lo faceva arrivare più lontano, Ricordando, ora posso dire che era bello vedere quei 7/8 ragazzi rigorosamente allineati che partecipavano alla gara.

Noi eravamo ragazzi di strada. Ma non come quelli di oggi. Noi eravamo buoni. Facevamo solo marachelle tra di noi. La violenza verso gli altri, o verso le cose, era lontanissima dai nostri pensieri.

Ma, comunque, con mio stupore, ho dovuto scoprire che quella che io ritenevo in’eccezione si ripeteva sempre quando con i miei amici si andava a “femmine” nei “bordelli”. Una cosa avevo confusamente capito. Con un certo tipo di donna non sarei mai potuto andare. Perché mi succedesse questo non sapevo spiegarmelo. Ma, a quell’epoca, non avevo nemmeno gli strumenti intellettuali per tentare una spiegazione. Non sapevo nemmeno che fosse un fatto non fisico, ma psicologico. Sapevo che mi accadeva e basta.

Alla sua spiegazione ci sono arrivato da studente universitario a Napoli. Abitavo, volutamente, in una casa di appuntamento di alto bordo a ridosso della riviera di Chiaia. Avevo scelto quella casa perché volevo avere la massima libertà in entrata e in uscita.

L’esperienza che avevo fatto sul sesso mi aveva fatto capire che il sesso può essere vissuto in due modi: come OSSESIONE SCHIAVIZZANTE INDISTINTA, a cui si finalizza tutto, o come un sereno ed armonioso equilibrio psicofisico tra due persone che si amano..

I due modi non erano e non sono antitetici. Il maschio arriva al secondo solo se il primo è stato esaustivo, se ha subito un’evoluzione a livello psicologico, altrimenti quella carica giovanile ossessiva rischia di portarsela dietro per tutta la vita. Un detto scritto sulle ceramiche paragona l’uomo al treno.

Nell’età giovanile è un ACCELERATO: SI FERMA A TUTTE LE STAZIONI. Ma io preferisco usare l’immagine di un esploratore che sente il BISOGNO BIOLOGICO di piantare una BANDIERINA in ogni lembo di “TERRA” che incontra sul suo CAMMINO CATARTICO.

Perché di un CAMMINO CATARTICO si tratta. Se il giovane è dotato di personalità, non appena raggiunge una maturità psicologica soddisfacente, si libera presto di questa fase INDISTINTA per raggiungere l’ EQUILIBRIO PSICOFISICO della maturità.

La mia FASE CATARTICA non durò molto. Ma fu intensissima. Le mie “fidanzate”, non per mia colpa, ben presto divennero quattro. Compresa la prof.: Sveglia al mattino. Colazione nella tarda mattinata. Pisolino pomeridiano. Il bromuro serale.

La mia padrona di casa mi diceva che, con quel ritmo, sarei finito in un cronicario

Acquistata la mia sicurezza psicologica come uomo, e non nascondo che mi sono appropriato di molti elementi della psicologia femminile, mi resi subito conto che i grandi numeri possono essere racchiusi efficacemente nell’UNA, o, meglio, nella MOLTEPLICITA’ DELL’UNA.

Nel mio ritorno “TRA LA PERDUTA GENTE” di Cosenza, dopo cinque anni di assenza, mi proposi di fare astinenza almeno per un biennio. Sentivo fortemente il bisogno di MONDARMI. Ma il fato volle che incontrassi subito la ragazza che sarebbe diventata mia moglie e madre delle mie tre splendide figlie.


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giovedì 8 ottobre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (6)

LA CUSTODE DELLA SPECIE


Il caso del fidanzato di pisolino pomeridiano era emblematico. Come era emblematico anche il caso del mio amico “maschietto” durante gli esami di Stato, di cui parlerò più avanti. Moltissimi giovani di ieri e di oggi hanno una fragilità psicologica per cui non sanno affrontare situazioni difficili. Mentre hanno un’ottima intelligenza, che maschera questa loro fragilità fino al momento della CRISI.

Era stato così anche per il mio amico quando facevo il fotografo. Minacciato col coltello dalla sua ragazza-amante, non seppe reagire. Non seppe essere all’altezza della situazione e si dimostrò per quello che era: un immaturo piagnucoloso.

L’essere umano, a livello di personalità, è composto, principalmente, da due elementi fondamentali. L’elemento PSICOLOGICO, che dà STABILITA’ e FORZA DI CARATTERE, e l’elemento RAZIONALITA’, che dà la capacità di AFFRONTARE E RISOLVERE QUALSIASI PROBLEMA.

Lo sviluppo psicologico e quello razionale non necessariamente viaggiano di pari passo. Si possono trovare persone adulte altamente razionali, ma psicologicamente rimaste immature. Questo si può verificare, e si verifica, nell’uomo moderno, ma anche in qualche donna, che, per qualche trauma, rimane bloccata nel suo sviluppo psicologico.
Questi sono casi rarissimi, ma sono pericolosissimi perché possono distruggere un uomo. Molti uomini. Basta ricordare la psicologia dell’ANGELO AZZURRO, descritta nell’omonimo film. Io ho avuto la fortuna di incontrare un ANGELO AZZURRO. Una donna di un’intelligenza straordinaria, ma con una psiche di una bambina di sette anni, che vuole la “BAMBOLA” che non ha o che appartiene a qualchedun’altra. Ma, appena avutala, la distrugge. Per ricominciare daccapo. Ma questi sono casi patologici.
Nella normalità, gli sbarramenti psico-fisici della donna le danno un equilibrio psicologico più maturo di quello dell’uomo. Lei attraversa le FASI DI CRESCITA in modo cosciente.. La ragazza sa che, ad una certa età, lascia la condizione di ragazza per diventare “SIGNORINA” e viene preparata a questo evento molto atteso. Ecco perché si verifica il mutamento psicologico.
Al povero ragazzo, in cui si verifica lo stesso fenomeno biologico della pubertà, nessuno lo prepara per dirgli che, da quel momento, lascia la condizione di ragazzo e diventa “GIOVANOTTO”, cioè diventa capace di procreare. Così ragazzo era e ragazzo rimane
Quando la “signorina” si sposa, non solo si appropria del ruolo di CUSTODE DELLA SPECIE, ma subisce un altro mutamento psicologico molto importante. Sa che lascia una CONDIZIONE DI ASSISTITA per diventare “dirigente” in quanto deve gestire una casa. Il povero “giovanotto” ASSISTITO era e assistito rimane. Prima c’era la madre, ora c’è la moglie. Molto spesso tra suocera e nuora c’è il passaggio delle consegne.
Da sposato, l’uomo gode di uno SPECIALE PRIVILEGIO. Ma per poco. Se la donna è innamorata, lo METTE AL CENTRO DEI SUOI INTERESSI. All’arrivo del primo figlio, o se non ha saputo rispondere alle aspettative della donna, egli smette di SVOLGERE LA SUA FUNZIONE di centralità nella vita della donna.
Anche la maternità costituisce un forte stacco psicologico per la donna. Ella non è più solo moglie. Diventa madre. Per nove mesi vive in simbiosi col nascituro e tra i due si stabiliscono dei legami fortissimi. L’uomo ha conquistato la paternità grazie a un atto di piacere.
Ma può conquistarsi un posto di rilievo nella vita dei figli, anche superiore a quello della donna, se sa DARE AMORE. Se sa guidarli ed aiutarli nella loro fase di crescita umana e culturale. Ma questo può farlo solo se è ritenuto un MODELLO valido. Ma non sempre è così. Spesso i figli i modelli se li devono cercare fuori dalla famiglia.
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giovedì 1 ottobre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (5)

DIVERSI O AFFINI ?

Il rapporto uomo-donna è molto importante. Ma è impari. È quello che ho scoperto durante il mio “cammino catartico”, di cui parlerò nel post che seguirà, L’uomo nasce al rapporto con l’altro sesso come lupo affamato. Almeno nella mia esperienza. Non c’è quantità che possa saziarlo. Una, dieci, venti, infinite, non importa.

Non cerca l’altra metà del suo io per ristabilire l’UNITA’ DELL’ESSERE, che, si dice, esisteva all’origine dei tempi e che un “dio” greco “cattivo” scisse per condannare le due parti alla costante ricerca dell’altra metà.

Ma, attenti! .L’altra ESATTA metà. Non una qualsiasi. Io, da laico, parlo del mito greco. Ma questo è anche vero per la COSTOLA della Bibbia.. Quando le due metà non combaciano bene, l’unione è un fallimento. Non sono i DIVERSI che vanno bene per creare una SALDATURA PERFETTA. Ma gli AFFINI.

Questa è una verità che non riesce ad affermarsi in modo univoco. Ci si lascia illudere dall’ATTRAZIONE che, tra diversi, è sempre più prepotente, più sconvolgente perché fatta di novità assolute. Ma, quando questa attrazione viene consumata, ci si accorge che senza affinità le cose non funzionano come dovrebbero. E subentra il grigiore, che è difficilmente vivibile.

L’uomo, diventato fisicamente adulto, si sente, soprattutto, maschio. Ma si presenta sulla scena del mondo psicologicamente debole. La donna, da questo punto di vista, è più matura. È la natura che ha fatto un dono alla donna. Ed è la società che non ha provveduto a ristabilire l’equilibrio tra i due.

Alla donna la natura ha dato una serie di sbarramenti psico-fisici che le dicono quando una tappa della sua vita è terminata e ne inizia un’altra. L’uomo non ha questi sbarramenti, per cui non sa quando una tappa è terminata e ne inizia un’altra. Il suo è un CONTINUUM che lo fa restare psicologicamente sempre lo stesso, o quasi.

In questo senso le tribù africane, che avevano bisogno di guerrieri, erano più benigni verso il maschio. All’età della pubertà lo tiravano fuori dal “gineceo” della tribù per inserirlo, attraverso prove di INIZIAZIONE durissime, tra gli uomini. Da quel momento egli sapeva che cessava di essere un ragazzo per diventare un uomo, un uomo-guerriero.

Nella avanzatissima CIVILTA’ OCCIDENTALE questo RITO DI INIZIAZIONE non esiste e il bambino rischia di rimanere psicologicamente “bambino” per tutta la vita, nonostante abbia potuto sviluppare grandi livelli di INTELLIGENZA. Essere intelligente non significa necessariamente essere psicologicamente maturo. Si può essere un gigante in quanto a intelligenza, ma si possono avere i piedi d’argilla in quanto a psicologia.

Una delle mie ragazze, quella del pisolino pomeridiano, di cui parlerò nel prossimo post, era ossessionata da questo problema. . Apparteneva alla Napoli bene ed era fidanzata ufficialmente. Si sarebbe sposata, ma, nel frattempo, tradiva il suo fidanzato con me. Era un ragazzo intelligente, mi diceva, ma con i piedi d’argilla. Bastava una piccola crisi per farlo andare psicologicamente in tilt.

Lei diceva che era inutile cambiarlo. A Napoli i ragazzi erano tutti come lui:immaturi psicologicamente. Almeno questo era un ottimo partito. E questo contava. Lei era una gran figlia di … Intelligentissima. Quando il fidanzato le chiedeva dove era stata lei rispondeva la verità: AD UOMINI, ma glielo diceva in modo da non essere creduta.

Che i giovani di Napoli (ma credo che questo valga per tutti i giovani) fossero immaturi mi fu confermato anche da un’altra fonte. I genitori di pisolino pomeridiano avevano dato in fitto un costosissimo bilocale vista mare ad una giovane concertista argentina, che era venuta a Napoli per un corso di perfezionamento.

Dal mio balcone potevo vedere cosa avveniva lungo le scale di questo bilocale. Questa donna, tutte le sere, rientrava accompagnata sempre da uomini diversi, che le davano un bacio, ma non entravano. Dissi a pisolino pomeridiano: “Questa concertista non è venuta a Napoli per un corso di perfezionamento in musica, ma in ARS AMATORIA”.

Pisolino pomeridiano mi disse che non era lei quella che io vedevo, ma sua madre. Una donna di 60 anni di cui tutti i giovani di Napoli erano pazzi. Le chiesi di presentarmela, ma lei si rifiutò. Diceva che aveva i suoi buoni motivi. In realtà, temeva che io potessi invaghirmi di lei.

Mi presentai da solo. Bussai alla sua porta ed è bastato che dicessi: “sono Franco” per avere un’accoglienza calorosissima. “Tu sei l’amico di …. Mi ha parlato tanto di te”. Era una donna veramente bellissima ed affascinante. La invitai ad andare a fare il bagno insieme l’indomani. Andammo ad uno stabilimento balneare a Posillipo. Prendemmo una cabina. Per tutta la giornata siamo stati sulla spiaggia come due persone molto intime, ma senza nulla di sessuale.

Lei mi disse che era uscita con molti ragazzi. Con alcuni dei quali aveva anche fatto l’amore. Ma li riteneva tutti immaturi. Potevano essere degli stalloni, ma non avevano nulla che potesse saziare una donna completamente. Era una donna intelligentissima oltre che di un fascino eccezionale.

“Noi non usciremo più insieme, vero?” “Vero”, risposi. “Tu sei diverso, tu sei un uomo, tu sai vivere, S. è fortunata”. La sera la riaccompagnai a casa, ma non le diedi nessun bacio. Avevo saziato la mia curiosità e ne era valsa la pena. Era stato teneramente per una giornata con una donna di 60 anni che poteva ancora fare impazzire gli uomini.

Un pomeriggio a noi (pisolino pomeridiano ed io) capitò una grande disavventura. Cademmo in una retata della polizia. Tutte le persone che si trovavano nella casa di appuntamento, dove io abitavo, furono fermate per essere condotte in questura per accertamenti. Io avevo reagito energicamente a questa retata. Un uomo si era precipitato nella mia stanza. Lo agguantai per il bavero e lo spinsi fuori. Lui mi gridava che era un poliziotto, ma io pretesi che mi mostrasse i documenti. Solo allora lasciai fare.

Ma il mio problema era proteggere la ragazza. Se il suo nome fosse apparso sui giornali sarebbe stato un grosso scandalo per la sua famiglia. “TROVATA IN UNA CASA DI APPUNTAMENTO CON UN UOMO!” Avrebbero titolato i giornali napoletani. Parlai col commissario che guidava la retata e pretesi che noi due non andassimo sul cellulare insieme agli altri. Volevo una macchina privata per noi due, che ci fu concessa.

In Questura si tenne un percorso preferenziale per noi due. Lontano dagli altri. Pretesi che fossi interrogato io per prima. Così spiegai al commissario come doveva comportarsi con lei, che, effettivamente, non sapeva che quella fosse una casa di appuntamento. Fu trattata con tutti i riguardi e furono gentilissimi con lei, così disse lei. Ma, appena uscimmo dalla Questura, da una porta laterale, per evitare la stampa che aspettava di vedere chi fosse caduto nella retata, lei volle parlarmi. Seriamente, mi disse.

“Io ho tradito il mio fidanzato con te perché volevo sapere come si stava con un uomo vero. Ora lo so. E so anche che non posso e non voglio sposarlo. Non è un uomo. È un ragazzo. Se al posto tuo ci fosse stato lui si sarebbe sfaldato subito ed io avrei dovuto prendere la situazione in mano.

Con te mi sono sentita protetta e sicura. La tua sicurezza nel fare le cose mi ha dato tranquillità in ogni istante. Ero in mani capaci. E sapessi quanto è bello per una donna sentirsi così! Franco, te lo dico seriamente: io voglio sposare te.” Era talmente determinata che lo scrisse finanche a mia sorella Ida a Cosenza per farsela alleata.

Come “partito” non sarebbe stata male. Viveva, con la famiglia, in un SUPERATTICO in via Partenope. La visuale del suo superattico abbracciava tutto il golfo di Napoli. Una bellezza unica, che io, di tanto in tanto, andavo a godermi bevendo un buon bicchiere di porto. Ma sposarla mai! I miei piani erano diversi. Intanto dovevo andare a studiare in Canada.

CONTINUA

martedì 29 settembre 2009

LA CORRUZIONE TAPPA OBBLIGATA VERSO LA DEMOCRAZIA

Tutte le DEMOCRAZIE MATURE del mondo moderno hanno attraversato un periodo, più o meno lungo, di grande CORRUZIONE POLITICA. Non solo i paesi del Terzo Mondo di oggi e l’Italia di ieri. Ma anche l’Inghilterra, che, di solito, viene considerata la MADRE DI TUTTE LE DEMOCRAZIE, ha avuto un periodo di CORRUZIONE POLITICA diffusa e LEGALIZZATA durato secoli.

All’inizio del XIX secolo, l'Inghilterra aveva, certamente, un governo costituzionale, che aveva preso forma con la Gloriosa rivoluzione del 1688, quando fu cacciato Giacomo II e il trono fu dato a sua figlia Maria Stuart e al marito olandese Guglielmo d'Orange.

Ma questo governo era COSTITUZIONALE e basta. Il potere era tutto nelle mani di un'ARISTOCRAZIA CORROTTA e di una GRANDE BORGHESIA TERRIERA AFFARISTICA. Le CLASSI SUBALTERNE pagavano sempre il conto per tutti, come aveva fatto sin dal medioevo.

Il SISTEMA ELETTORALE dell’isola era stato congegnato ad uso e consumo di queste due CLASSI DOMINANTI di una SOCIETA’ AGRICOLA e, nonostante la corruzione, aveva funzionato finchè la SOCIETA’ rimase AGRICOLA.

Ma, nel 1830, l'Inghilterra era, ormai, diventata una SOCIETA’ INDUSTRIALE, che aveva provocato una RIVOLUZIONE SOCIALE e, soprattutto,aveva provocato una REDISTRIBUZIONE TERRITORIALE della popolazione.

Molte LOCALITA’ AGRICOLE, un tempo molto fiorenti e densamente popolate, si erano completamente SVUOTATE della POPOLAZIONE, mentre altre LOCALITA’, che avevano subito un forte PROCESSO DI INDUSTRIALIZZAZIONE, erano diventate DENSAMENTE POPOLATE.

In base al SISTEMA ELETTORALE DEL 1265, ancora in vigore nel XIX secolo, erano le località che mandavano due “RAPPRESENTANTI” in PARLAMENTO e continuavano a mandarli anche se la località si era svuotata della popolazione.

Le località industriali di nuova formazione, densamente popolate, invece, non avevano acquisito questo diritto per cui città industriali fiorenti come Manchester, Leeds. Sheffield, Birmingham, ecc., non avevano deputati in parlamento.

Il SISTEMA POLITICO dell'isola era diventato corrotto alla massima potenza. Era diventato "PUTRIDO". I SEGGI PARLAMENTARI si COMPRAVANO e si VENDEVANO AL LIBERO MERCATO. Bastava COMPRARSI una LOCALITA’(ROTTEN BOROUGHS), che aveva conservato il DIRITTO di "MANDARE" DUE DEPUTATI in parlamento,anche se svuotata dalla popolazione, per COSTITUIRSI UNA FORZA PARLAMENTARE, che veniva utilizzata come MERCE DI SCAMBIO con il GOVERNO IN CARICA.

Le rivoluzioni continentali del primo trentennio del XIX secolo avevano messo a nudo questa contraddizione. Se si volevano evitare rivoluzioni anche nell'isola, il potere non poteva essere lasciato nelle mani di un'OLIGARCHIA CORROTTISSIMA più a lungo.

L'isola era passata INDENNE attraverso il VENTO DEMOCRATICO della RIVOLUZIONE FRANCESE. Ma, da allora, la NUOVA CLASSE OPERAIA premeva per aver riconosciuto il suo DIRITTO DI ESSERE RAPPRESENTATA IN PARLAMENTO.

L'Inghilterra fu SAGGIA e non aspettò UNA RIVOLUZIONE per riconoscere questo diritto. Nel 1832 fu approvoto il REFORM BILL, che riformava il sistema elettorale e metteva fine ai COLLEGI ELETTORALI PUTRIDI (Rotten boroughs). Non era ancora la DEMOCRAZIA, ma era un passo avanti molto importante.

La democrazia si acquisì lentamente nell’arco di quasi un secolo. Il SUFFRAGIO LIMITATO del 1832 venne esteso progressivamente a tutti gli uomini maggiorenni. Le DONNE acquisirono il diritto al voto solo nel 1918.

giovedì 24 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (4)

UN VERO UOMO


Quando andai a lavorare al bar Renzelli, lasciando la scuola, intorno ai 10 anni, ero già un ragazzo “maturo”. Ma, per arrivare alla macchinetta per fare il caffè, dovevo mettere una cassetta sotto i piedi. Ero stato assunto come APPRENDISTA, ma, in realtà, facevo lo stesso lavoro di un adulto.

Provenivo dalla mia esperienza lavorativa extra scolastica, fatta sempre da Renzelli, ma al laboratorio (gelati e dolciumi) gestito dal “Vecchio”, IL CAVALIERE, una bravissima persona. Uno dei suoi figli, Sasà, era un mio coetaneo ed era un mio compagno di giochi nel quartiere della SALITA DI PAGLIARO-VIA MOLINELLA. Sua madre aveva la puzza sotto il naso. mi redarguiva spesso. Non voleva che io chiamassi suo figlio Sasà.

Dovevo chiamarlo DON SASA’. Ero un suo dipendente e dovevo esserlo anche quando giocavamo insieme. Ma il mondo gira. Io credo di essere stato l’unico Preside che abbia dato una supplenza a Sasà, che si era laureato in inglese. Io non ho preteso che mi chiamasse Preside. Per Lui, Franchino ero e Franchino sono rimasto.


L’ambiente del bar di Pinotto Renzelli era molto evoluto. In tutti i sensi. Pinotto era TOGO. Credo mi volesse bene. Per lui io ero “SPIERTU”. La notte mi accompagnava a casa sulla sua bicicletta. Spesso, durante il tragitto, mi domandava cosa avrei fatto da grande. Evidentemente, non mi vedeva come barista per tutta la vita. La storia gli ha dato ragione

Il bar era intercomunicante con un cinema, il SUPERCINEMA. Dove io avevo libero accesso, grazie alla benevolenza della GRANDE VECCHIA LEONETTI. Vi passavo tutto il mio tempo libero. Un film lo vedevo 4/5 volte. Ora so che il cinema ha svolto un grosso ruolo nella mia formazione.

Con alcuni clienti del bar ero diventato amico anche al di fuori del lavoro. Erano più grandi di me, ma non di molto. 7/8 anni. Ero accettato alla pari perché avevo una maturità molto superiore alla mia età. Questa caratteristica l’ho conservata sempre nella mia vita.

Se dobbiamo credere alle due classiche definizioni dell’INTELLIGENZA di JEAN PIAGET: (CAPACITA’ DI ADATTAMENTO E CAPACITA’ DI COGLIERE NESSI E RELAZIONI) io mi sarei potuto definire UN RAGAZZO INTELLIGENTE.

Che lo fossi ne davo dimostrazione tutti i giorni. Un cliente del bar, un commercialista un po’ bizzarro, aveva la mania di ordinare pronunciando le parole alla rovescia. Un “CAFFE’” diventava un “‘EFFAC”. La prima volta ho dovuto rifletterci un attimo per capire il meccanismo, ma poi ero sempre pronto a capire qualsiasi parola pronunciasse.

Naturalmente, la mania di questo signore non si fermò alle ordinazioni, ma si spinse a tutte le parole della lingua italiana. Erano vere e proprie gare tra me e lui. Perché mi diede la possibilità di metterlo alla prova a mia volta.

All’università ho conquistato una delle mie prof., di 15 anni più vecchia, proprio grazie alla mia “maturità-intelligenza”. Lei mi riteneva diverso e più maturo dei miei coetanei. Mi riteneva “un vero uomo”, come diceva lei. Ma non era la prima che me lo diceva.

Me lo aveva già detto, molti anni prima, una ragazza in un situazione drammaticissima. Era una bellissima ragazza. Di lineamenti molto fini. I suoi genitori l’avevano mandata a “servizio” giovanissima. Diciamo che si era cresciuta in casa dei suoi datori di lavoro. Il mio migliore amico, forse l’unico che avevo, sette anni più vecchio di me, la voleva.

A lui le donne non mancavano. Era il tipo di uomo che le donne sognano. Questa ragazza se ne innamorò e si concesse. Ma lui volle di più. Volle che andasse a vivere con lui come amante. In un epoca in cui la VERGINITA’ era il METRO DI PARAGONE, lei fece questo passo perché si era illusa su di lui. Per un certo periodo anch’io ho vissuto con loro in un grande SEMINTERRATO. Allora facevo il fotografo.

La loro stanza da letto era stata ricavata in un angolo con delle tavole alte 2 metri. Una notte sentii delle grida altissime: “aiuto!… aiuto!… mi vuole uccidere”! Corsi e sentii una furibonda lite tra i due. Lei che gridava: “tu non mi butterai in mezzo alla strada!”… lui, rivolto a me: “aiutami!… Vuole uccidermi… ha un coltello”.

Saltai nella loro stanza e vidi lui in un angolo impaurito e tremante. Lei con un coltellaccio da cucina che lo minacciava. Chiesi perché succedeva tutto questo e lei mi disse: “il vigliacco ha detto che non mi vuole sposare perché non è stato lui a prendersi la mia verginità. Il vigliacco sa che è stato il mio solo uomo. Io in mezzo ad una strada non ci vado. Meglio il carcere”.

Cercai di farli ragionare. Lei aveva ragione. Io sapevo che lui non aveva mai avuto l’intenzione di sposarla. Era un divertimento finché durava. Lei era fuori di sé. Lui era incapace di reagire. Psicologicamente era crollato. Aveva una paura matta. Lei minacciò di morte anche me se non andavo via.

Era troppo inviperita per riuscire a convincerla. E quell’uomo l’aveva delusa profondamente come uomo. Lei lo aveva sempre creduto un “dio”. Lui aveva sempre “venduto” un’immagine positiva. Da uomo sicuro di sé. Ma dietro quella facciata non c’era nulla.

Non mi restò che agire. Fulmineamente, con una mano le diedi un ceffone fortissimo e con l’altra la disarmai. Lei non ce l’ebbe con me. Anzi! Rivolto a lui disse: “lui è un vero uomo!… tu sei un vigliacco”.

Eppure io le avevo fatto un occhio nero. Ma quell’occhio nero divenne il simbolo di un amicizia vera e profonda, che non potrà mai essere cancellata, anche se non ci frequentiamo da decenni.

Si sposarono. Ebbero due figli. Bellissimi e affascinanti come il padre. Ma lei rimase per tutta la vita un’infelice. Dopo qualche anno, io ormai laureato da tempo, la incontrai. Era invecchiata moltissimo. Il viso era contratto e pieno di rughe. Eppure lei era molto più giovane di me.

. Le chiesi come andavano le cose. Lei mi rispose: “come vuoi che vadano! Ho cercato e cerco ancora di dimenticare, ma ogni volta che facciamo l’amore, e sono vicina all’orgasmo, quando vedo che la RICONCILIAZIONE con lui può essere possibile, quella notte ritorna lucida nella mia mente e divento fredda e rigida. Ho paura che resterà così per il resto della mia vita. Io sono ancora la sua donna, ma lui non è più il mio uomo. Non lo è più da quella notte. Eppure tu sai quanto l’abbia amato” L’unica sua gioia erano e sono i suoi figli.

Se mia madre avesse avuto lo stesso FEGATO di questa ragazza col suo fidanzato forse le cose sarebbero andate diversamente per lei. Ma, allora, il maschio si sentiva egoisticamente autorizzato ad abusare della donna senza la minima responsabilità verso di lei.

Il costume odierno è certamente superiore. Ci si è liberati della VERGINITA’, che schiavizzava la donna ad un fatto fisico, e si è affermato il principio che l’uomo che mette incinta una donna se ne deve assumere la responsabilità morale, se non legale. E, di solito, la sposa.

Le ragazze napoletane, al tempo dell’università, avevano risolto brillantemente il problema dell’integrità fisica. Terminata la loro storia con il ragazzo di turno, passavano dal GINECOLOGO per far “ripristinare” tutto. E si ripresentavano sulla scena più vergini di prima. Avanti un altro. A pensarci, temo che una di queste “vergini” sia toccata anche a me. Aveva 17 anni.

La cosa funzionava. Una di queste ragazze l’ho accompagnata io dal GINECOLOGO, ma mi ha chiesto di aspettarla sotto, per strada. Noialtri maschi siamo psicologicamente immaturi rispetto alla donna. Noi cercavamo la “prima volta”. E ci veniva data. Ecco perché la natura ha premiato la donna e ne ha fatto la CUSTODE DELLA SPECIE.

CONTINUA

martedì 22 settembre 2009

LA MENTALITA’ MAFIOSA E LA CONVIVENZA DEMOCRATICA

La convivenza democratica sarà una lunga e difficile conquista per la psicologia dell’italiano. Se per convivenza democratica si intende, come si deve intendere, che il CITTADINO E’ PORTATTORE DI DIRITTI E DI DOVERI.

È questa doppia veste del cittadino che ancora non riesce a maturare nella coscienza degli individui. Chi gestisce il potere avrebbe il dovere di tutelare il cittadino indistinto nei suoi diritti.

Ma il cittadino, a sua volta, dovrebbe osservare i propri doveri verso la comunità allargata e verso gli individui con cui entra in contatto. Purtroppo, nella nostra cultura non è ancora prevalso questo doppio concetto.

Chi gestisce il potere tutela i diritti del cittadino solo se questo è, o diventa, un suo cliente (politico). Gli altri hanno diritti più deboli e, spesso, sono stritolati dalla macchina burocratica dell' amministrazione.

E, purtroppo, la macchina burocratica italiana non si è ancora liberata dalla medievale MENTALITA’ BARONALE. Non è ancora riuscita a liberarsi di quella mentalità che si abbarbica ad ogni FORMA DI POTERE per gestirlo a propria gratificazione personale per crearsi l’illusione di essere qualcuno che conta.

Questo a tutti i livelli. Anche il piccolo impiegato, purchè sia dietro ad uno sportello per SERVIRE IL PUBBLICO, non lo fa con lo SPIRITO DI SERVIZIO, come in tutte le democrazie più mature della nostra, ma lo fa con molta iattanza. Quasi come se elargisse “favori”.

Lo spirito del PUBLIC SERVANT inglese è lontano mille miglia da questa mentalità mafiosa, che si autoalimenta perché il cittadino in genere non ha ancora maturato l’idea che certi diritti gli sono dovuti e non li deve pietire a chicchessia. Spessissimo non si ribella contro comportamenti illegittimi da parte di chi gestisce il servizio pubblico.

Ancora peggio accade nello SPORTELLO AL PUBBLICO GENERALIZZATO conosciuto come CALL CENTER. Qui la CONVIVENZA DEMOCRATICA va a farsi friggere del tutto. Il cittadino deve diventare un “PUTTANO”, come mia moglie dice io sia diventato, se vuole avere una minima possibilità di risolvere il suo problema.

Se RIVENDICA IL PROPRIO DIRITTO protestando, come se fosse davanti ad un vero sportello con una persona fisicamente presente, sarà un perdente.

Chi sta dall’altro capo del filo sviluppa una MENTALITA’ ANCORA PIU’ MAFIOSA perché è protetto/a dal quasi anonimato. Anche se, fugacemente, ti dice il suo nome tu sei un illuso se credi che qualcuno prenderà in seria considerazione il tuo eventuale ricorso in tempi brevi. C’è gente che aspetta anni.

Se il cittadino non impara a fare il “PUTTANO”, cioè, se non sa trovare il modo come INGRAZIARSI l’operatore per risolvere il suo problema, ad un certo punto “CADE LA LINEA”. e tu devi iniziare tutto daccapo con un altro operatore.

E concludiamo col MAFIOSETTO DEL QUARTIERINO. Questa è una figura atipica. Non la trovi in tutti i posti. La trovi solo dove ci sono le condizioni affinché sorga. Caseggiati che abbiano servizi in comune: spazi verdi, stradine d’accesso, illuminazione propria e quant’altro.

Qui il mafiosetto vuole che gli si riconosca il suo ruolo di preminenza. Ma quali DIRITTI E DOVERI? I suoi diritti sono più forti. Uno più di tutti: IL DIRITTO AL COMANDO. Tutto deve svolgersi tramite lui. Chi SGARRA a questa regola viene vessato in mille modi diversi finché non si adegua per quieto vivere.

giovedì 17 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (3)

PACTA SUNT SERVANDA

Da piccolissimo (1/4 anni), ero un po’ il beniamino del quartiere. La salita di Pagliaro. A quel tempo era l’estrema periferia di Cosenza. Dopo di noi c’era solo campagna. Il confine tra città e campagna era segnato dalla chiesa evangelica. Che c’è ancora. Allo stesso posto.

Io ero paffutello. Ero scuro di pelle. Tanto scuro che mi appiopparono un nomignolo: “turchicieddru d’a catineddra”. Della “catenina” perché portavo sempre una catenina al collo. Una foto, col cappello di figlio della lupa, mi ricorda che a pasqua avevo sempre un agnellino che portavo al guinzaglio. Ma su questo non ricordo molto.

Ricordo nitidamente che alla befana, per noi figli Felicetti, nella calza c’era solo carbone. Mai un anno che fossimo premiati per essere stati buoni! Per la befana eravamo sempre cattivi. Ma era questo che nostra madre si poteva permettere e questo ci dava. Ma non ci faceva mancare l’amore.

Ne aveva tanto per noi. Per tutti noi. Anche se c’era una particolarità per me, che ero il più piccino. Però nella mia calza, oltre al carbone, c’era anche qualche “topolino” di cioccolato. Poi ho scoperto che era il dono annuale di una signora, la cui immagine è tutt’ora presente vagamente nella mia mente. Questo è il segno della mia perdurante gratitudine. Ci deve essere sempre posto nel proprio cuore per chi ti ha fatto del bene.

Quando era sul letto di morte, quando ha sentito che stava per andarsene, mia madre chiese di me. Le tenni stretta la mano, ma non volli vedere i suoi occhi che si chiudevano per sempre. Per me non era morta. Non poteva morire. Non accettavo la sua morte. Non ho versato una lacrime. Il dolore era troppo forte. Mi aveva inebetito. E poi non credevo fosse veramente morta. Quando Peppe l’accompagnò al cimitero, lo chiamai in disparte e gli dissi. “mamma non è morta, quando arrivi al cimitero toccala. Lei si risveglierà”

Non ho mantenuto la promessa che le avevo fatto da bambino, che, da morta, l’avrei tenuta per sempre sotto il mio letto. Non vado mai a trovarla al cimitero. Non amo i cimiteri italiani e non vorrei mai essere sepolto in uno di essi. Però è nel mio cuore. C’è sempre stata e ci starà sempre. Questa è la forza dell’amore. L’amore di un figlio che ha capito. Oggi l’avrei fatta cremare e la sua urna l’avrei messa sul mio comodino. Idealmente uniti. Come sempre.

Io ero un ragazzino “sveglio”. UN FAST LEARNER. Verso i sei anni mia madre mi portava a lavorare con lei nel periodo di Natale. Incartavamo i “famosi torroncini di Renzelli”. Non nascondo che qualcuno lo mangiavo di nascosto. Erano buonissimi. Ma li mangio ancora oggi. Renzelli non ha mai smesso la loro produzione.

C’era un signore, proprietario di una conceria in VIA POPILIA, che molto spesso mi veniva a prendere la mattina presto e mi portava, col suo calesse, a fare il giro dei paesi circonvicini a raccogliere le pelli per la sua conceria. Stavamo fuori tutta la giornata. Si tornava verso sera. Portava sempre della carne a mia madre per ringraziarla per avermi autorizzato ad andare con lui.

CONTINUA

martedì 15 settembre 2009

LENIN, STALIN, E L’UTOPIA COMUNISTA

LENIN E STALIN sono i due uomini che, con responsabilità diverse, hanno costruito un mostro, l’UTOPIA COMUNISTA, che divorava i suoi figli dando loro l’illusione di essere diretti verso il regno dell’abbondanza nell’uguaglianza più assoluta.

Lenin fu l’ideologo che, per decenni, aveva studiato il pensiero di KARL MARX nel suo esilio in Svizzera e ne aveva tratto una visione dello Stato che doveva LIBERARE L’UOMO da ogni forma di bisogno nella libertà più piena.

Il COMUNISMO, come l'intendeva Lenin, doveva essere il 'SOLE DELL’AVVENIRE' per la CLASSE OPERAIA. Con il comunismo a regime, sarebbe cessata OGNI FORMA DI STRUTTAMENTO. Lo STATO SAREBBE SCOMPARSO e al suo posto sarebbe sorta una LIBERA ASSOCIAZIONE di cittadini.

Il CREDO CAPITALISTICO "AD OGNUNO SECONDO LE PROPRIE CAPACITA”, che era la matrice della DISUGUAGLIANZA tra gli uomini, sarebbe stato sostituito da quello COMUNISTA "AD OGNUNO SECONDO I SUOI BISOGNI”. Così, le CLASSI SOCIALI sarebbero sparite e con esse sarebbe sparita la proprietà privata, che era un FURTO per l’IDEOLOGIA COMUNISTA.

I lavoratori sarebbero diventati i DATORI DI LAVORO di se stessi ed ognuno avrebbe avuto garantito il DIRITTO AL LAVORO. Ci sarebbe stato il LIBERO ACCESSO AI MEZZI DI INFORMAZIONE e la POVERTA’ sarebbe stata un ricordo.

Questa SOCIETA’ IDEALE, però, doveva essere realizzata per gradi. La prima, inevitabile tappa sarebbe stata quella della DITTAURA DEL PROLETARIATO, che era necessaria per abbattere tutte le altre classi (nobili, borghesia, proprietari terrieri).

Ma questa dittatura del proletariato, da provvisoria che doveva essere, divenne ETERNA. Dopo 80 anni era ancora viva e vegeta perché aveva prodotto una NUOVA CLASSE, non prevista, né immaginata da alcuno: la classe dei FUNZIONARI DEL PARTITO COMUNISTA, che avevano tutto l’interesse a mantenere il COMUNISMO AL POTERE.

Secondo Lenin, il passaggio dall’ ECONOMIA DI MERCATO (capitalismo)all’ ECONOMIA SOCIALISTA sarebbe avvenuto attraverso una fase transitoria di STATIZZAZIONI, per cui lo STATO SAREBBE DIVENTATO IL PROPRIETARIO DI TUTTI I MEZZI DI PRODUZIONE. Al privato cittadino sarebbero rimaste solo le braccia.

La mente non gli serviva. Era lo Stato che pensava al suo benessere, che sarebbe stato maggiore di quello goduto sotto l’odioso sistema capitalistico,fondato sulla disuguaglianza degli uomini.

Lenin, l’intellettuale dotato di flessibilità mentale, nel 1921, dopo la rivolta dei marinai di Kronstadt, considerati 'l'avanguardia della Rivoluzione Bolscevica', si rese conto che bisognava mettere un freno alla STATIZZAZIONE SELVAGGIA dei mezzi di produzione e impose dei correttivi.

L’obiettivo della costruzione del comunismo si poteva raggiungere anche per gradi senza sconvolgere la vita del piccolo produttore o piccolo artigiano. Egli fece approvare una NUOVA POLITICA ECONOMICA (N.E.P.) con cui si permetteva, in deroga al programma di statizzazione, al PICCOLO PRODUTTORE PRIVATO di fare LIBERO COMMERCIO dei suoi prodotti.

Ma il suo successore, STALIN, era un burocrate, un uomo dell’apparto del partito comunista. Egli non aveva, e non poteva avere, la POTENZA INTELLETTUALE di Lenin, che era sinceramente attaccato al benessere del popolo, anche se perseguiva una strada che si dimostrerà sbagliata.

Stalin era un UOMO DI POTERE. Egli aveva capito che il potere supremo risiedeva nel partito comunista e il suo segretario ne era il detentore. Egli non fu così 'liberale' come Lenin. Egli portò ogni attività economica, anche quella del piccolo produttore, sotto l'egida dello Stato per perseguire un programma di industrializzazione forzata.
Sul piano militare, Stalin fece dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) la seconda grande potenza del mondo, ma questa potenza fu 'costruita' sullo sfruttamento della massa dei lavoratori, che non conobbero mai il benessere dei lavoratori del mondo non comunista.
Il SOLE DELL’AVVENIRE si era dimostrato una GRANDE TRAGEDIA UMANA,fatta di gente affamata che si riversa sul mondo occidentale per prendersi le briciole di quel benessere che, a loro, l’IDEOLOGIA COMUNISTA aveva negato nei fatti.

giovedì 10 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (2)

A PIEDI NUDI

Mia madre era molto bella . Alta. Gentile nei lineamenti. Di scuola ne aveva fatto poca. A quei tempi, gli inizi del XX secolo, una donna giovane e bella con un figlio non la si poteva sposare. Non eravamo in America dove la donna si risposa anche se ha figli. Da noi non è così neanche oggi.

Da noi, ancora oggi, l’uomo si avvicina ad una donna con figli solo con la speranza di rimediare una “scopata” e basta. Sposarla? Mai! Mia madre sfamò i suoi cinque figli lavorando come una dannata.

Ci vestivamo grazie alla benevolenza di alcune famiglie, che ci davano gli indumenti smessi dai loro figli. Da aprile ad ottobre inoltrato non vestivo scarpe. ANDAVO IN GIRO A PIEDI NUDI. Era duro camminare sull’asfalto bollente o sulla terra battuta a causa delle spine.

La nostra casa era un monolocale a piano terra di 40 mq circa. Questo rappresentava il nostro mondo. La nostra cucina. Il nostro bagno (si fa per dire). Le nostre camere da letto. Il nostro soggiorno. Tutto in questi 40 mq. Io dormivo con i miei fratelli in un letto matrimoniale. I risvegli festivi di quei giorni mi mancano ancora. Erano belli.

Eravamo tre fratelli affiatati. Io dormivo in mezzo ai due giganti. Giganti perché io ero piccolino. Gigino mi passava sette anni. Peppe addirittura undici. Nel letto giocavamo. Io e Peppe eravamo sempre alleati. Chi ne faceva le spese era sempre il povero Gigino.

Con Peppe c’era una particolarità che ci legava: eravamo nati nello stesso giorno: il 26 gennaio. Ora Peppe non c’è più. Sono andato a seppellirlo a Vancouver, in Canada nel 1983. Ho cercato fra tutti i suoi amici canadesi e italiani per cercare di conoscere le sue ultime volontà. Se voleva essere sepolto in Italia o in Canada.

Tutti i suoi amici mi hanno detto che per lui era indifferente. Ma chi mi ha fatto decidere di lasciarlo in Canada è stata mia sorella Lucia. Piangendo mi ha detto: “lasciamelo qui. È l’unico che mi rimane della famiglia. Ne avrò più cura di quando era vivo”. Gli ho scelto un cimitero che noi italiani non conosciamo. Quelli che vediamo nei film: un grande parco verde curato a giardino.

Le tombe sono sufficientemente distanziate per creare un ambiente discreto, dove i congiunti vanno anche a pranzare sulla tomba del loro caro. Anch’io, prima di ripartire per l’Italia, sono andato, con la famiglia di mia sorella, a prendere il BRUNCH sulla sua tomba. Abbiamo scherzato con lui. I ragazzi, quelli che lui aveva cresciuto come figli suoi, lo prendevano in giro e raccontavano tutte le marachelle che avevano fatto da bambini facendolo arrabbiare.

Tutti siamo grati a questo fratello, a QUESTO FIGLIO DELLA COLPA, che è stato un pò il padre che non avevamo. Non ha mai pensato egoisticamente solo a se stesso. Il suo pensiero era la famiglia. In tanti anni di Canada non ha accumulato soldi per se stesso. Era generosissimo. Ha speso sempre tutto per i nipoti e la sorella, per me e per chiunque ne avesse bisogno della famiglia. In banca ho trovato solo una cassetta di sicurezza con poche migliaia di dollari. Ho capito che quelli li aveva destinati al suo funerale.

Io gli ho dedicato il mio primo libro: LA STRUTTURA POLITICA DELLA SOCIETA’, un libro di SOCIOLOGIA POLITICA, che avrebbe dovuto farmi conoscere all’interno del PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI), a cui mi ero iscritto da poco. Questa la dedica “ A MIO FRATELLO PEPPE, CHE NON CREDE NELLA RICONOSCENZA DEGLI UOMINI”.

Questa dedica ha una storia. Peppe mi ha aiutato molto quando mi sono iscritto all’università. Mi ha sovvenzionato nel momento iniziale. Poi mi sono mantenuto da solo. Ma lui temeva che io, una volta preso la laurea, avrei fatto come un suo compagno di giochi da ragazzo.


Questo suo compagno era il figlio di un “cocchiere” (guidava una vettura a cavallo). Quest’uomo aveva sacrificato la sua vita per dare al proprio figlio il massimo degli studi: UNA LAUREA IN MEDICINA. Ma questo neo “dottore” si dimostrò doppiamente ingrato. Da “dottore” non poteva accettare di essere il figlio di un “cocchiere”. Così negava di essere suo figlio. Come non riconobbe più i suoi compagni di giochi che erano rimasti semplici lavoratori.

Peppe lo detestava. Non perché tenesse alla sua amicizia. Ma perché riteneva che il proprio passato non si rinnega. Fa parte della propria storia. Nel bene e nel male. E bisogna esserne orgogliosi. Specialmente chi si è elevato socialmente, con i propri sforzi, ma anche con l’aiuto dei propri genitori o parenti.

Peppe temeva che anch’io avrei rinnegato le mie origini. Col tempo si rese conto che io ero fatto di un’altra pasta. Di ben altra intelligenza. E divenne orgogliosissimo di me. Il suo orgoglio per me crebbe a dismisura quando gli telefonai da Roma che avevo superato il concorso a preside col massimo dei voti. Se fosse morto due anni più tardi mi avrebbe visto diventare PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE PROVINCIALE PRESIDI DI COSENZA.
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