lunedì 27 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (46)

L’UOMO COSTRUISCE I SUOI MITI

E' in questo mondo pre conscio che egli incomincia a darsi le prime spiegazioni del mondo reale, le prime giustificazioni della sua esistenza e dell'ordine stabilito delle cose.

E' in questo stadio che incomincia ad attribuire poteri soprannaturali agli elementi del mondo fisico che più colpiscono la sua fantasia, che lo terrorizzano con la loro potenza.

Questo fu lo stadio della formazione embrionale dei grandi miti e della nascita della religione (Campbell, 1959: 275). " Lo spirito primitivo non inventa i miti: li vive. I miti sono, originariamente,rivelazioni dell'anima pre-cosciente, involontarie testimonianze di processi psichici inconsci e tutt'altro che allegorie di processi fisici " (Jung-Kerènyi, 1972: 113).

Per questa attività di pensiero egli ha bisogno di simboli. Sono immagini che egli ricava dalle azioni reali (pensiero simbolico). E "l'immaginazione deve usare materiali che provengono dalla esperienza per costruire le sue creazioni e, per quanto possa combinarle fantasticamente, poichè l'esperienza dell'uomo primitivo era molto limitata... i miti che registrano queste creazioni si muovono su sentieri ristretti" ( Shotwell, 1961: 42 ).

Quando egli entra nella fase dell'agricoltura nascono i grandi miti della fertilità. I primi dei che egli creò furono femminili (specialmente quelli della fertilità e della produzione in genere) in analogia a quanto osservava in natura: la donna era prolifica, dava al maschio dei figli e partecipava allo stesso ciclo della natura.

L'uomo stesso era parte integrante della natura. La sua identificazione con essa era perfetta. Nelle " ... culture che hanno la loro base economica nella caccia, nell'allevamento e nell'incipiente agricoltura... la religione è generalmente caratterizzata dalla partecipazione. L'uomo si identifica con le forze e gli elementi primitivi della natura da cui dipende la sopravvivenza, per mezzo della magia simpatetica, mimandoli.

“Così, attraverso una diretta e magica identificazione con essi e attraverso l'imitazione precisa dei loro atti, l'uomo riesce ad assicurarsi che essi continuino ad essere presenti e ad agire correttamente in ogni momento di transizione, anno dopo anno. L'uomo... è dio, per dirla all'europea; è lui che crea tutto e attraverso l'azione mimata del dramma si assicura la prosperità nell'anno che inizia " (Jacobson, 1975: 68).
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martedì 21 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (45)

L’UOMO IMPARA A FORMULARE IL PENSIERO

L'Homo sapiens fu il primo, almeno per le conoscenze che possediamo fino a questo momento, a saper dare un ordine alle parole per formulare il pensiero e così equipaggiato andò alla conquista del mondo fisico.

E, man mano che la sua esperienza materiale ed intellettuale cresceva, egli maturava una nuova forma di pensiero, che inglobava le forme precedenti, ma era qualitativamente diverso.

Egli incominciò la sua esperienza intellettuale confondendo se stesso con il mondo fisico circostante. La coscienza della sua individualità era al di là da venire. Anche la formulazione del pensiero non fu un atto cosciente.

Egli non "pensa coscientemente bensì i pensieri semplicemente si presentano" (Jung-Kerènyi, 1972: 112). La realtà del mondo fisico circostante è assimilata alla propria attività (egocentrismo) in cui i dati percettivi svolgono un grande ruolo (realismo).

Egli è attivo e vivente e. allora, concepisce tutto come vivente e dotato di intenzionalità (animismo). Il fuoco, le acque, gli alberi, le nuvole, il cielo: tutto è vivente e dotato di poteri vastissimi di cui egli ha terrore.

Ogni sua azione ha uno scopo, una finalità e, allora, tutto ha una finalità ultima (finalismo): la natura, il mondo fisico è fatto per l'uomo. Egli costruisce da solo i propri utensili e, allora, pensa che tutto sia stato costruito "da un'attività divina che opera secondo le regole della costruzione umana" (artificialismo) (Piaget, 1967: 36).

L'atteggiamento tipico della mentalità dell'uomo primitivo è quello secondo il quale, creata la funzione, lentamente e nel tempo, essa non veniva attribuita a se stesso (l'uomo non ha ancora coscienza di sè), ma veniva attribuita al dio (Turner, 1941: 74), a cui egli dava il nome.

Così veniva giustificata la nuova funzione, ma non spiegata. La mentalità dell'uomo, a questo stadio. non è in grado di spiegare alcunché; può solo giustificare l'ordine esistente, attribuendone l'istituzione ad una divinità.
E quest'ordine diveniva una norma che non poteva essere trasgredita. Per i trasgressori c'era la punizione, ma non verso i singoli(l'individualità era di là da venire), ma verso la collettività a cui essi appartengono.

L'ordine esistente era retto dall'obbedienza. Ogni fenomeno, che si verificava in natura, era il prodotto di un dio. Il concetto di causa materiale era al di fuori delle sue possibilità intellettive e lo rimarrà per lungo tempo nella storia dell'uomo.

Egli vedeva l'universo come l'intergioco di forze demoniache. In questo gioco di forze, egli poteva inserirsi solo con la magia per influenzare il dio e costringerlo ad agire secondo i suoi desideri (Mella,1978:38-40). "In questo stadio primitivo, l'uomo si trova in una condizione pre religiosa " (Cornfort, 1912: 78). Il suo è un pensare per analogie immediate (pensiero transduttivo).

Il realismo, l'egocentrismo, l'animismo, il finalismo e l'artificialismo sono le prime forme di pensiero maturate dall'uomo primitivo (Petter, 1966: XVIII). Esse avevano come supporto d'insieme il sincretismo; cioè, la capacità di " legare ogni cosa a tutto grazie a precollegamenti soggettivi " (Piaget, 1966: 170). Il realismo dell'uomo primitivo era assoluto: tra il proprio io e il mondo esterno c'era una perfetta identificazione. Egli non ha alcuna coscienza del suo pensiero.

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mercoledì 15 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (44)

L’UOMO IMPARA A MODIFICARE L’AMBIENTE

Le singole e frammentarie conoscenze acquisite dall'uomo di Cro-Magnon costituiscono la base di partenza della superiore esperienza dell'Homo sapiens. La via era stata indicata: fortuità, risposta ad una sfida e/o curiosità cosciente. Così vennero tutte le altre conquiste culturali dell'uomo: dall'invenzione dell'agricoltura alla organizzazione sociale.

Era l'evoluzione biologica che prendeva un'altra strada: non era più l'uomo che mutava per adattarsi all'ambiente, ma era l'ambiente che veniva mutato per essere adattato alla sopravvivenza dell'uomo.

E questo avveniva grazie a quella massa grigia di cui la natura aveva inspiegabilmente dotato l'uomo. Sin dall'uomo di Neandertal, essa aveva raggiunto la sua maturità fisiologica completa; uguale a quella che noi possediamo oggi (Jones, 1941: 7.

Ma era una massa che non serviva a nulla, almeno nell'immediato, Era lì nella scatola cranica, pronta all'uso, con le stesse potenzialità che noi le riconosciamo oggi, ma inservibile e di nessuna utilità immediata per l'uomo.

Le sue potenzialità erano e sono enormi. Nemmeno oggi esse vengono utilizzate a pieno. Sembra che se ne utilizzano solo il tre per cento. Ma era ed è la carta vincente dell'uomo. Una carta il cui valore non esiste a priore;cioè, il suo valore non è bello e pronto per essere usato, ma esso va costruito dall'uomo secondo certe regole ben precise.

Ed esso non ha un valore fisso ed univoco nel tempo. Esso muta nella storia. Ogni epoca storica ha dato alla sua carta il massimo valore che era capace di esprimere, sia verso l'alto, sia verso il basso.

In breve, il suo valore dipende dalle abilità acquisite dall'uomo e dalla sua capacità di adattamento in una determinata epoca storica.

Queste sono le due classiche definizioni dell'intelligenza dell'uomo, ossia della sua struttura mentale, che non è mai stata uguale nel tempo, ma si è evoluta costantemente, anche se non in modo continuativo, per cui parliamo di livelli di struttura mentale o grado di intelligenza.

L'uomo di Neandertal era ancora dominato dagli istinti in cui predominavano la paura e l'aggressività. Egli non aveva maturato alcuna attività mentale che non fosse legata alla meccanicità istintuale.

Ma aveva appreso a dare una prima forma ai suoni ed ai rumori che emetteva per trarne delle parole che designassero le cose in cui si imbatteva.

Ma erano parole non coordinate tra di loro. Ognuna esprimeva e indicava una cosa. Egli era assolutamente incapace di dare ad esse una sequenzialità per trarne un pensiero. Cioè, egli aveva appreso, se vogliamo, a ricavare delle singole informazioni dalla sua esperienza quotidiana, ma non aveva appreso a saperle collegare per ricavarne un messaggio, cioè un pensiero compiuto.

Egli era come il bambino che ha appena imparato a camminare in posizione eretta e a pronunciare alcune parole come "papà", "mamma", "genitori", ecc., ma non ha ancora maturato la capacità di metterle insieme per ricavarne un pensiero semplice e di senso compiuto come "papà e mamma sono i miei genitori".

Nè poteva essere diversamente. Le potenzialità del cervello vanno sviluppata gradatamente, con passaggi obbligati e consequenziali, almeno così ci dice l'ontogenesi nella vita dell'individuo (Bruner, 1965: 71-78) nella nostra esperienza quotidiana.

Nella filogenesi, cioè nella storia evolutiva dell'uomo, è avvenuta la stessa cosa. Ogni stadio, dal livello sensomotorio dell'uomo primitivo a quello operatorio formale dei nostri giorni, è stato preparatorio dello stadio successivo e senza quello non si sarebbe potuto avere questo.

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martedì 7 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (43)

L’UOMO IMPARA A RISPONDERE ALLE SFIDE DEL MONDO FISICO

E' con l'uomo di Cro-Magnon che si fa il primo balzo definitivo. Egli è l'erede della esperienza dei suoi predecessori (Jones, 1941: 7). Le sue qualità intellettuali si sono affinate. Egli è capace di formulare il pensiero, anche se ancora in forma embrionale.

Sa evocare e rappresentare immagini. Ha inventato nuovi utensili che gli consentono di cacciare i grossi animali. Ha capacità selettive. Ha creato la prima società allargata a più nuclei familiari. E' capace di fare la prima e grossolana organizzazione delle informazioni per ricavarne nuove conoscenze.

I fenomeni della natura non sono accettati passivamente e con terrore panico, ma vengono rozzamente interpretati come l'attività di entità coscienti e volitive che egli può influenzare attraverso la rappresentazione mimetica.

In breve, avendo acquisito l'abilità del pensiero ed essendo in possesso di un relativamente evoluto mezzo di comunicazione orale, egli ha posto le basi della futura evoluzione culturale e psicologica della società umana.

Le sue rappresentazioni mentali erano strettamente legate alla sua limitata esperienza di vita. Era il mondo quotidiano che gli forniva la possibilità delle prime associazioni: le difficoltà incontrate nelle caccia grossa; l'impossibilità di abbattere un animale troppo grosso, magari gli suggeriva l'invenzione di un nuovo utensile che ovviasse al problema.

La difficoltà di difendersi adeguatamente dal freddo gli suggerì di coprirsi con le pelli degli animali uccisi e, successivamente, di unire più pelli per avere una protezione maggiore.

L'uomo di Cro-Magnon non dava più risposte meccaniche alle sfide quotidiane, come avevano fatto i suoi predecessori. Egli aveva imparato, in forma inconscia, ad utilizzare quella massa di neuroni che si era formata nella lunga storia dell'evoluzione biologica dell'uomo e che non era necessaria per la coordinazione dei movimenti e la ripetizione meccanica delle azioni.
Egli aveva imparato, senza averne coscienza, che essa serviva per capire la realtà che lo circondava e che gli poneva sfide quotidiane.

Il suo era un capire rudimentale e semplice. Non era ancora in grado di associare o interconnettere più informazioni. Erano semplici idee che maturavano alla luce della esperienza, magari fortuita.

Era in possesso del fuoco, ed era un mangiatore di carne. Forse l'accidentale caduta di un pezzo di carne sul fuoco o il cosciente tentativo di mettere un pezzo di carne sul fuoco per vedere cosa succedeva, gli fece scoprire che la carne cotta era migliore e quindi ne acquisì l'idea.

Così nacquero tutte le altre esperienze dell'uomo sapiens: casi fortuiti o tentativi coscienti per superare una difficoltà o per soddisfare una curiosità. "Il primo passo verso la conoscenza scientifica è costituito dalla meraviglia e dalla curiosità" (Sedgwick-Tyler, 1917: 5).

Quest'ultima fu una molla allo sviluppo che non bisogna sottovalutare. La curiosità è nata con l'uomo ed è stata una delle fonti principali della sua evoluzione culturale. "La curiosità esplorativa dell'uomo, il suo gusto per l'imitazione, e per la manipolazione fine a se stessa, senza il proposito di ulteriori ricompense, erano già visibili nei suoi antenati scimmieschi " (Mumford, 1969: 19).

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mercoledì 1 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (42)

L’UOMO CREA LE PREMESSE DELLA CIVILTA’

Con l'uomo di Neandertal, invece, si fa un salto in avanti piuttosto rilevante, ma ancora non decisivo nell'utilizzazione delle capacità intellettuali.

Infatti, egli costruisce utensili piuttosto perfezionati. Confeziona i primi rudimentali indumenti (Birdsell, 1975: 324). Conosce l'uso del fuoco, che d'altronde era conosciuto anche dal Pitecantropo, ma non era ancora del tutto in possesso della tecnica dell'accensione (Oakley, 1962: 181). Ha formato il primo embrione di famiglia, dove predomina ancora l'incesto. Dà sepoltura ai propri morti e introduce le prime forme di culto (Oakley, 1962: 324).

Il culto dei morti fu la prima forma di attività propriamente intellettuale dell'uomo. Egli ebbe per prima la confusa coscienza che partecipasse al ciclo della natura. E, in natura, tutto ciò che moriva ritornava a nuova vita. Quindi, anche per l'uomo ci doveva essere una rinascita.

Questa conclusione non fu raggiunta attraverso una ragionamento logico, ma fu raggiunta attraverso la sentita e confusa partecipazione al mondo fisico con il quale si confondeva. Da qui nasce il culto dei morti. Essi ritornano a nuova vita. Prima come demoni, che devono essere placati, e , successivamente, come numi tutelari.

L'uomo di Neandertal aveva creato le premesse per il salto definitivo nello sviluppo delle capacità intellettive dell'uomo, ma era incapace di farlo egli stesso perchè non aveva ancora maturato la capacità di formulare il pensiero, pur essendo in possesso di una forma rudimentale di linguaggio.

La sua azione rimaneva dominata dagli istinti. I suoi utensili, per quanto perfezionati, non gli consentivano di affrontare, in forma stabile e con successo, la grande sfida della caccia grossa (Wymer, 1982: 161). Egli era dedito principalmente alla piccola caccia indiscriminata, non avendo ancora maturato la capacità di selezione.

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