martedì 21 febbraio 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (45)

L’UOMO IMPARA A FORMULARE IL PENSIERO

L'Homo sapiens fu il primo, almeno per le conoscenze che possediamo fino a questo momento, a saper dare un ordine alle parole per formulare il pensiero e così equipaggiato andò alla conquista del mondo fisico.

E, man mano che la sua esperienza materiale ed intellettuale cresceva, egli maturava una nuova forma di pensiero, che inglobava le forme precedenti, ma era qualitativamente diverso.

Egli incominciò la sua esperienza intellettuale confondendo se stesso con il mondo fisico circostante. La coscienza della sua individualità era al di là da venire. Anche la formulazione del pensiero non fu un atto cosciente.

Egli non "pensa coscientemente bensì i pensieri semplicemente si presentano" (Jung-Kerènyi, 1972: 112). La realtà del mondo fisico circostante è assimilata alla propria attività (egocentrismo) in cui i dati percettivi svolgono un grande ruolo (realismo).

Egli è attivo e vivente e. allora, concepisce tutto come vivente e dotato di intenzionalità (animismo). Il fuoco, le acque, gli alberi, le nuvole, il cielo: tutto è vivente e dotato di poteri vastissimi di cui egli ha terrore.

Ogni sua azione ha uno scopo, una finalità e, allora, tutto ha una finalità ultima (finalismo): la natura, il mondo fisico è fatto per l'uomo. Egli costruisce da solo i propri utensili e, allora, pensa che tutto sia stato costruito "da un'attività divina che opera secondo le regole della costruzione umana" (artificialismo) (Piaget, 1967: 36).

L'atteggiamento tipico della mentalità dell'uomo primitivo è quello secondo il quale, creata la funzione, lentamente e nel tempo, essa non veniva attribuita a se stesso (l'uomo non ha ancora coscienza di sè), ma veniva attribuita al dio (Turner, 1941: 74), a cui egli dava il nome.

Così veniva giustificata la nuova funzione, ma non spiegata. La mentalità dell'uomo, a questo stadio. non è in grado di spiegare alcunché; può solo giustificare l'ordine esistente, attribuendone l'istituzione ad una divinità.
E quest'ordine diveniva una norma che non poteva essere trasgredita. Per i trasgressori c'era la punizione, ma non verso i singoli(l'individualità era di là da venire), ma verso la collettività a cui essi appartengono.

L'ordine esistente era retto dall'obbedienza. Ogni fenomeno, che si verificava in natura, era il prodotto di un dio. Il concetto di causa materiale era al di fuori delle sue possibilità intellettive e lo rimarrà per lungo tempo nella storia dell'uomo.

Egli vedeva l'universo come l'intergioco di forze demoniache. In questo gioco di forze, egli poteva inserirsi solo con la magia per influenzare il dio e costringerlo ad agire secondo i suoi desideri (Mella,1978:38-40). "In questo stadio primitivo, l'uomo si trova in una condizione pre religiosa " (Cornfort, 1912: 78). Il suo è un pensare per analogie immediate (pensiero transduttivo).

Il realismo, l'egocentrismo, l'animismo, il finalismo e l'artificialismo sono le prime forme di pensiero maturate dall'uomo primitivo (Petter, 1966: XVIII). Esse avevano come supporto d'insieme il sincretismo; cioè, la capacità di " legare ogni cosa a tutto grazie a precollegamenti soggettivi " (Piaget, 1966: 170). Il realismo dell'uomo primitivo era assoluto: tra il proprio io e il mondo esterno c'era una perfetta identificazione. Egli non ha alcuna coscienza del suo pensiero.

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