sabato 26 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (73)

LA COMPARSA DEL PENSIERO RAZIONALE Il pensiero razionale, la grande conquista del mondo greco, cresce e si sviluppa per tappe. Esso non sorge d'incanto, come ".. una decisiva e definitiva rivelazione" (Vernant, 1982: 383), ma attraverso un processo lento e graduale. Per prima si formano, nel tempo, i suoi vari elementi, i quali seguono un ordine sequenziale: la conquista, la scoperta, la maturazione di un nuovo elemento è la premessa necessaria ed indispensabile per maturare quello successivo. In Esiodo troviamo chiaramente espressi, ma non coscientemente formulati, i primi due elementi di questo processo: i CONCETTI DI ORDINE E CLASSIFICAZIONE. Il concetto di GENERALIZZAZIONE, anche se si evince nel suo Le opere e i giorni, non si è ancora materializzato come si sono materializzati i due concetti precedenti, espressi nella Teogonia. Esiodo fu l'ordinatore del mondo degli dei. Tuttavia, egli continuava la tradizione dell'Antico Oriente della ricerca delle origini attraverso la costruzione mitopoietica, ma utilizzava strumenti diversi dai suoi predecessori (sincretismo). Egli raccoglie tutto quello che si conosce sugli dei e ne forma un unico panteon, dove ogni dio è collocato secondo un certo ordine e classificato secondo il suo rango, la sua dignità e la sua potenza. La Teogonia (=genealogia degli dei) di Esiodo non è una novità assoluta. Anche nelle civiltà dell'Antico Oriente esistevano delle genealogie degli dei, ma esse erano un semplice elenco di nomi, con i poteri connessi, che non si eleverà mai al concetto e al rango di ordine, come farà, invece, la Teogonia di Esiodo, quando si prenderà coscienza che quella successione di dei crea un ordine. Da questo concetto di ordine scaturirà, in un secondo momento, il CONCETTO DI LOGICA (che Esiodo non possedeva), quando l'uomo maturerà la coscienza di sè come individualità pensante e spingerà. quindi, la divinità, che prima pensava per lui, verso lo sfondo. Ma questo è un processo graduale. L'uomo dapprima aveva avuto paura di attribuire a se stesso tutti i moti dell'animo e le passioni che lo animavano e li attribuì alle divinità. Ma, man mano che affinava il suo modo di pensare, si riappropriava di tutte le funzioni che aveva attribuito alla divinità. E incominciò con i moti dell'animo, con i sentimenti più profondi. La formazione dei concetti astratti, quali il bello, il buono, l'onestà, la giustizia, emancipano sempre di più l'uomo, che prende coscienza della sua libertà, e gli dei, che prima erano detentori di questi concetti, vengono sempre più sublimati (Snell, 1963: 69). Questi concetti astratti furono formulati per la prima volta dai poeti lirici. In sostanza, la poesia epica di Omero e quella lirica di Esiodo ed i poeti lirici (Pindaro, Saffo, Archiloco, Anacreonte, ecc.) fornirono ai primi filosofi, che dovevano arrivare da lì a poco, gli strumenti intellettuali e linquistici, le categorie mentali, i concetti astratti e la capacità di definizione. Questi sapranno aggiungere il resto, decentrando ulteriormente il loro pensiero (Snell, 1963: 86-87). CONTINUA www.franco-felicetti.it

martedì 22 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (72)

LE GRANDI INDIVIDUALITA’ DEL MONDO GRECO Le grandi individualità incominciano ad apparire nel mondo di Omero: Ettore, Achille, Agamennone, Ulisse, ecc., contro l'anonimato delle civiltà dell'Antico Oriente. Queste grandi individualità sono i titolari dell'azione, ma non ancora gli ispiratori. Tutto è stato mosso ed è mosso dagli dei, che determinano la condotta dell'uomo. La forza interiore che l'uomo sente di avere, la forte volontà che si sprigiona in lui, non sono il suo prodotto, ma sono il prodotto di un dio, a cui egli è devoto, che ha così deciso e così si è determinato. Di queste grandi individualità eroiche, che stanno tra gli uomini e gli dei (il popolo, la gente comune non ha volto) sappiamo tutto: la loro origine, la loro condotta di vita, il loro destino, la loro discendenza, le loro passioni, i loro pensieri (che sono però determinati dagli dei). Ma non sappiamo ancora nulla sul loro cantore, Omero. Questo primo attore continua la tradizione delle antiche civiltà: è anonimo e senza volto, nè storia. E' nato dal nulla e nel nulla è rimasto. Aveva creato gli dei, aveva donato l'immortalità ai suoi eroi, ma non aveva ancora maturato la coscienza che anch'egli era un attore, e di prima grandezza, che rimaneva legato, nel successo o nell'insuccesso, alle sue creature e alla loro storia. Esiodo, il grande poeta lirico, sarà il primo attore cosciente, la prima individualità umana (gli eroi di Omero sono semidei) che avrà un nome e una storia, il primo che " ci parla di se stesso nel suo grido di dolore" (Starr, 1969: 269), ma non avrà la coscienza di essere lui a creare le sue storie: saranno le muse che lo faranno per suo tramite. E in questo egli apparteneva allo stesso mondo di Omero. Ma egli forgerà, inconsapevolmente, degli elementi nuovi nelle categorie del pensiero che spingeranno nella direzione, già intravista in Omero, della presa di coscienza di sè e della costruzione del pensiero razionale. CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 18 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (71)

L’INDIVIDUO DIVENTA CITTADINO Il mondo degli dei è stato per i greci la idealizzazione della propria organizzazione sociale ancora embrionale. Dopo averla idealizzata la presero a modello (Ehrenberg, 1973: 34). L'individuo, scoperto dai greci, è il prodotto di questa evoluzione. Nel mondo antico solo gli dei avevano l'individualità. I greci la attribuirono anche agli uomini e si fermarono qui. L'uomo, come portatore di diritti, non fu scoperto e non poteva esserlo: per scoprirlo bisogna aspettare i cristiani. "I Greci e i Romani... non sapevano nulla circa il concetto dell'uomo come uomo che è nato libero, che egli è libero... sebbene esso sia alla base del loro diritto. “I loro popoli lo sapevano ancora meno. Essi in realtà sapevano che un cittadino ateniese, un cittadino romano... è libero, che vi sono liberi e non liberi. Proprio per questo essi non sapevano che l'uomo è libero in quanto uomo: l'uomo in quanto uomo, l'uomo in generale, tale quale il suo pensiero lo comprende ed egli stesso lo comprende " (Hegel, 1941: 180). Il concetto di cittadino matura prima del concetto di uomo. Per Aristotele, lo schiavo non era un uomo, ma una macchina intelligente al servizio del cittadino. I greci, comunque, fecero un notevole passo avanti in questa direzione, rispetto alle antiche civiltà, scoprendo l'individuo e il cittadino, ma solo quest'ultimo era portatore di diritti. " Il tipico individuo greco fiorì nell'età della polis, della città-stato, con il cristallizzarsi di una classe borghese. Nell'ideologia ateniese lo stato veniva prima dei cittadini ed era superiore ad essi. Ma questo predomino della polis facilitò, anziché ostacolarlo, il fiorire dell'individuo: portò un equilibrio tra lo Stato ed i suoi membri, tra libertà individuale e benessere comune, in nessun luogo illustrato con più eloquenza che nell'orazione funebre di Pericle. In un passo famoso della Politica (VII, 7, 1327 B), Aristotele descrive il 'borghese' greco come un individuo che possedendo insieme il coraggio dell'europeo e l'intelligenza dell'asiatico - cioè combinando la capacità di autoconservazione con la riflessione - ha imparato a dominare gli altri senza perdere la propria libertà. La razza ellenica, dice Aristotele, 'se si potesse darle forma di Stato, dominerebbe il mondo'. Più di una volta, nei momenti di massima fioritura della cultura urbana, come per esempio a Firenze nel quindicesimo secolo, si raggiunse un analogo equilibrio di forze psicologiche. Le fortune dell'individuo sono sempre state legate allo sviluppo della società urbana: “l'abitante della città è l'individuo per eccellenza" (Horkheimer, 1969: 115)*. CONTINUA www.franco-felicetti.it

martedì 15 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (70)

L’INDIVIDUO DIVENTA CITTADINO Il mondo degli dei è stato per i greci la idealizzazione della propria organizzazione sociale ancora embrionale. Dopo averla idealizzata la presero a modello (Ehrenberg, 1973: 34). L'individuo, scoperto dai greci, è il prodotto di questa evoluzione. Nel mondo antico solo gli dei avevano l'individualità. I greci la attribuirono anche agli uomini e si fermarono qui. L'uomo, come portatore di diritti, non fu scoperto e non poteva esserlo: per scoprirlo bisogna aspettare i cristiani. "I Greci e i Romani... non sapevano nulla circa il concetto dell'uomo come uomo che è nato libero, che egli è libero... sebbene esso sia alla base del loro diritto. “I loro popoli lo sapevano ancora meno. Essi in realtà sapevano che un cittadino ateniese, un cittadino romano... è libero, che vi sono liberi e non liberi. Proprio per questo essi non sapevano che l'uomo è libero in quanto uomo: l'uomo in quanto uomo, l'uomo in generale, tale quale il suo pensiero lo comprende ed egli stesso lo comprende " (Hegel, 1941: 180). Il concetto di cittadino matura prima del concetto di uomo. Per Aristotele, lo schiavo non era un uomo, ma una macchina intelligente al servizio del cittadino. I greci, comunque, fecero un notevole passo avanti in questa direzione, rispetto alle antiche civiltà, scoprendo l'individuo e il cittadino, ma solo quest'ultimo era portatore di diritti. " Il tipico individuo greco fiorì nell'età della polis, della città-stato, con il cristallizzarsi di una classe borghese. Nell'ideologia ateniese lo stato veniva prima dei cittadini ed era superiore ad essi. Ma questo predomino della polis facilitò, anziché ostacolarlo, il fiorire dell'individuo: portò un equilibrio tra lo Stato ed i suoi membri, tra libertà individuale e benessere comune, in nessun luogo illustrato con più eloquenza che nell'orazione funebre di Pericle. In un passo famoso della Politica (VII, 7, 1327 B), Aristotele descrive il 'borghese' greco come un individuo che possedendo insieme il coraggio dell'europeo e l'intelligenza dell'asiatico - cioè combinando la capacità di autoconservazione con la riflessione - ha imparato a dominare gli altri senza perdere la propria libertà. La razza ellenica, dice Aristotele, 'se si potesse darle forma di Stato, dominerebbe il mondo'. Più di una volta, nei momenti di massima fioritura della cultura urbana, come per esempio a Firenze nel quindicesimo secolo, si raggiunse un analogo equilibrio di forze psicologiche. Le fortune dell'individuo sono sempre state legate allo sviluppo della società urbana: “l'abitante della città è l'individuo per eccellenza" (Horkheimer, 1969: 115)*. CONTINUA www.franco-felicetti.it

giovedì 10 gennaio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (69)

I GRECI UMANIZZANO GLI DEI Il momento del trapasso tra le civiltà dell'Antico oriente e la Grecia del V secolo a. C., che è il punto nodale di tutto il processo, in quanto appare, per la prima volta nella storia, il pensiero razionale, è rappresentato dal sorgere della grande poesia epica di Omero e la poesia lirica di Esiodo e Pindaro. Nel mondo di Omero sono ancora gli dei che determinano la vita e l'azione dell'uomo. Ma non sono più gli dei della civiltà dell'Antico Oriente, che hanno un potere assoluto sugli uomini. Gli dei di Omero appartengono alla stessa razza dell'uomo, come dirà più tardi Pindaro, e furono creati entrambi dal primordiale Okeanos, il Kaos primordiale delle precedenti civiltà. Pur ricollegandosi direttamente alla mitologia delle antiche civiltà, Omero se ne distaccava e la correggeva in un punto fondamentale: la materia, che, per lui, era increata e impersonale e dava origine agli dei e agli uomini insieme. Per le antiche civiltà. invece, dal Kaos primordiale sorsero prima le divinità, che erano la personalizzazione degli elementi stessi della materia: il cielo, la terra, le acque, ecc. ... e solo successivamente vennero creati, e da questi ultimi, gli uomini. Per Omero, la materia primordiale non è deificata: è l'origine di ogni cosa, ma essa non ha nulla di divino. Gli uomini prima di Omero sono in balia di forze selvagge e demoniache. "Ma già dagli eroi dell'Iliade non si sentono più in balia di forze selvagge, ma affidati ai loro dei dell'Olimpo, che costituiscono un mondo ben ordinato e significativo. Evolvendosi, i Greci completano la conoscenza di sè e, per così dire, assorbono nel loro spirito umano quest'azione divina " (Snell, 1963: 46), che ancora con Omero ed i poeti lirici temevano di attribuirsi. La loro dipendenza dal mondo fisico era tanta grande da non avere coscienza delle proprie forze e delle proprie capacità e quindi le attribuivano alla benevolenza di qualche dio. Fino al VI secolo a. C., la coscienza delle proprie capacità, dell'indipendenza delle proprie azioni e della propria volontà appartiene solo agli dei. Gli uomini hanno, fino ai grandi poeti tragici del V secolo, solo la coscienza che tutto avviene perchè predeterminato dagli dei (Snell, 1963: 55). CONTINUA www.franco-felicetti.it