domenica 24 aprile 2016

FEDERICO II “PATRIGNO” PER IL SUD

Suo malgrado lo "Stupor Mundi" creò una mentalità centralistica che ha nuociuto molto al Meridione Diamo a Cesare quello che è di Cesare: Federico Il ha dato all'Europa il primo Stato moderno della storia. Tutti i sovrani d'Europa, che avevano a cuore il miglioramento istituzionale dei loro Stati, lo tennero in grande considerazione. Edoardo I d'Inghilterra, il primo dei grandi legislatori del diritto scritto di quel regno, volle soggiornare nel suo regno per conoscere da vicino la sua legislazione, che era la più avanzata in tutta l'Europa medievale, e la struttura del suo governo, che - utilizzando funzionari laici al posto dei tradizionali ecclesiastici - realizzò la secolarizzazione del governo con quasi un secolo di anticipo rispetto agli altri Stati. Il suo Liber Augustalis fu il primo codice compilato scientificamente dopo quello di Giustiniano e le sue Costituzioni di Melfi del 1231 furono studiate e imitate in tutta Europa. Leggiamola la storia, ma leggiamola in tutte le direzioni, non solo in quella elogiativa. Può essere un motivo d'orgoglio per noi affermare, con forza, che Federico Il fu il sovrano di queste terre, ma dobbiamo dire, con altrettanta forza, che lo sviluppo storico successivo gli diede torto. Col suo Stato centralizzato, egli negò all'Italia meridionale l'esperienza della nascente civiltà comunale, dove si formarono le mentalità democratiche e si acquisì il senso dello Stato nelle coscienze individuali. Due obiettivi che i meridionali ancora oggi non hanno raggiunto appieno. Se vogliamo, egli fu più "benigno" verso la Germania, quando non pretese la centralizzazione del potere, ma diede la più ampia autonomia agli stati regionali (i lander di oggi e i fuedi di allora) nell'ambito della struttura imperiale, che - se vogliamo tradurla nei termini scientifici della scienza politica moderna - assumeva la forma di una confederazione di Stati. Così, i tedeschi crebbero al loro attuale federalismo attraverso 1' esperienza storica di secoli. Noi meridionali, suoi diretti discendenti, siamo rimasti con una mentalità medievale dove regna ancora il barone, comunque camuffato. Sono queste le cose che dobbiamo dire. Sia gloria a Federico II. Mettiamo in evidenza tutti i suoi pregi. Additiamolo pure come la prima grande novità della storia per quanto riguarda la concezione dello Stato e dei rapporti tra le razze e le culture. Ma diciamo anche che a noi fu “patrigno” suo malgrado. Non vide o non volle scegliere neanche la seconda strada che aveva davanti. Aveva la forza e le qualità per unificare l'Italia e farne il primo Stato nazionale d'Europa con quasi due secoli di anticipo rispetto alla Francia e alla Spagna, ma quest'idea era lontana mille miglia dalla sua visione delle cose. Se lo avesse fatto, forse avrebbe ucciso la nascente civiltà comunale, ma avrebbe salvato l'Italia dai suoi campanilismi e avrebbe fatto gli italiani con sette secoli di anticipo rispetto a Cavour. Nella realtà dei fatti, egli era solo un sovrano illuminato, che governava col pugno di ferro, come avevano fatto i suoi avi normanni di Sicilia e i suoi trisavoli normanni di Normandia e d'Inghilterra. All'interno del suo Stato non ebbe e non consentì mai la formazione di un contropotere, come avvenne in Inghilterra. Ma i sovrani più illuminati di quel regno seppero leggere le tendenze del tempo e vi si adeguarono loro malgrado. Federico II, pur essendo primo in tutto, non volle o non seppe farlo. E il costo di questo fallimento lo abbiamo pagato noi e lo continuiamo a pagare ancora oggi. Il suo Stato fu un faro, ma - non ponendosi il problema di estendere il suo regno a tutta la penisola, dopo aver soffocato qualsiasi anelito alle libertà comunali meridionali - condannò il meridione al sottosviluppo dei secoli successivi. I suoi eredi furono i baroni, antichi e moderni, a cui aveva tolto ogni potere (liber Augustalis) con largo anticipo rispetto agli altri sovrani d'Europa, ma aveva lasciato loro il più completo controllo sulla popolazione, che resterà sottomessa agli antichi servaggi feudali molto più a lungo di qualsiasi altro Stato europeo. I baroni avevano tutto l'interesse a lasciare le popolazioni nella più totale sottomissione e nella più totale ignoranza per continuare a detenere il potere. Questa fu anche l'eredità di Federico II. Diciamole queste cose. Ci fanno crescere. www.museocentrostorico.cs.it

UNA GIUSTIZIA PER I POPOLI VINTI: IL CASO DEI BRUZI

IL PECCATO ORIGINALE DEI BRUZI fu il loro smisurato amore per la LIBERTA’. Alla libertà sacrificarono tutto. Tranne la dignità. Che seppero conservare anche quando furono ridotti a SERVI dai ROMANI.. Roma fu dura con loro. Questa SUPERPOTENZA dell’antichità classica non tollerò che questo popolo INDOMITO, FIERO GUERRIERO, TENACE COME NESSUNO, INFLESSIBILE, CAPACE DI RISORSE INAUDITE non accettasse la sua supremazia. Per TRE VOLTE questo popolo si ribellò alla potenza romana per riconquistare la sua libertà. Lo fece con PIRRO, re dell'Epiro, che combatteva contro Roma sul suolo italiano (280-70 a. C.). Lo fece quando si unì alle schiere di ANNIBALE contro Roma nella BATTAGLIA STORICA DI CANNE nella seconda guerra punica (216 a. C.). E, infine, lo fece quando giocò la carta dello schiavo SPARTACO, che, per un attimo, aveva fatto tremare Roma (73 a. C.). Roma non seppe essere magnanima nella vittoria. Non seppe capire le motivazioni profonde dei Bruzi. E rese questo popolo SERVO. Sudditi senza diritti.Roma si sentì sicura solo quando ridusse il BRUZIO a COLONIA ROMANA, cancellandola come città-stato ed arruolando i Bruzi come “ausiliari” nell’esercito romano, dove furono utilizzati per svolgere i “lavori sporchi” di cui loro “si lavavano le mani”, come fece Ponzio Pilato nella questione di Cristo. Storicamente Roma si assolse nella crocifissione di Cristo. Tramandarono alla storia che furono i Bruzi a costruire la croce per Cristo. Che furono i Bruzi a punzecchiare con la lancia Cristo sulla croce. Tutte le cose sporche che Roma faceva venivano addossate ai Bruzi. Roma si sentì soddisfatta solo quando espresse il suo GIUDIZIO STORICO sui Bruzi, che definì BANDITI DI STRADA, TRADITORI, TESTE DURE, IDIOTI, INAFFIDABILI. Era giustificato un giudizio così duro? Sì, lo era, se si guarda dal punto di vista dei romani. Per tre secoli i Bruzi rimasero una spina nel fianco dei romani. No, non lo era se si guarda dal punto di vista dei Bruzi. E questo giudizio storico fu tramandato ai posteri. Nessuno storico, fino ad oggi, lo ha riscritto per fare una più giusta lettura dei fatti storici. Da giovani, NOI “BRUZI” abbiamo vissuto questa storia CON VERGOGNA. Usavamo un sillogismo per NASCONDERLA E PER ASSOLVERCI COME INDIVIDUI. Ci dicevamo: “L’UOMO E’ IL PRODOTTO DELLA STORIA… NOI ABBIAMO UNA STORIA CHE FA SCHIFO…”. Ora non lo sottoscriverei più questo sillogismo. E’ FALSO. E’ BASATO SULLA VERITA’ STORICA DEI ROMANI, che si accanirono contro questo popolo che aveva OSATO OPPORSI AL LORO DOMINIO PER BEN TRE VOLTE. Nessuno dei POPOLI ITALICI l’aveva fatto. Questi si integrarono nella realtà romana e fecero anche carriera nell’esercito e nella burocrazia romana. I BRUZI non potevano accettare questa condizione. Farlo significava rinunciare alla propria IDENTITA’ per assumere quella romana, come era accaduto per gli altri popoli italici. Per loro, questa IDENTITA’ era una conquista ottenuta di recente sul campo di battaglia . Ed era il loro BENE PIU’ GRANDE a cui non potevano e non volevano rinunciare. I Bruzi erano stati SERVI-PASTORI DEI LUCANI da tempi immemorabili. Ma nel IV secolo a.c. (si dice il 356 a.c.) riunirono i loro gruppi sparpagliati sul territorio dei monti silani e fronteggiarono i Lucani sul campo di battaglia. Erano fieri di se stessi. Erano consapevoli del loro valore come guerrieri. Ed erano fortemente determinati a vincere per liberarsi del giogo della servitù ed assaporare la dolcezza della LIBERTA’, che non avevano mai conosciuto. Mitica fu la battaglia per conquistare la ROCCA BRETICA sul colle Pancrazio, nella Cosenza storica, difesa da 600 mercenari africani di Dionisio alleato dei Lucani. I Bruzi erano GUIDATI DA UNA DONNA, conosciuta come DONNA BRETTIA, che, col suo impeto, riuscì a portare i suoi alla vittoria finale. In meno di 80 anni come uomini liberi, riuscirono ad organizzarsi in una forte CONFEDERAZIONE. Divenendo una potenza locale che fece delle conquiste territoriali di una certa importanza, sia a Nord che a Sud del loro baricentro, che era la provincia di Cosenza. Quando i Romani li sottomisero nel 270 a.c., i Bruzi erano una piccola potenza in ascesa con una propria civiltà, anche se ancora in forma embrionale. Ecco perché continuarono a ribellarsi a Roma. Volevano conservare il loro diritto a svilupparsi come civiltà autonoma. Ma fu una lotta impari. Il coraggio e il valore, da soli, non potevano bastare contro una delle più potenti macchine da guerra che la storia abbia mai conosciuto. La storia scritta dai romani vincitori non poteva tener conto delle ragioni dei BRUZI VINTI. E GUAI AI POPOLI VINTI CHE NON SANNO RISCRIVERE LA PROPRIA STORIA! Oggi, quel sillogismo della mia gioventù, lo riscriverei in questo modo: “L’UOMO E’ IL PRODOTTO DELLA STORIA… LA NOSTRA E’ LA STORIA DI UN POPOLO DI EROI”… e ne sarei FIERO ED ORGOGLIOSO. FIERO ED ORGOGLIOSO DI ESSERE UN BRUZIO. Il progetto: “PER FAR RINASCERE IL CENTRO STORICO DI COSENZA” (www.museocentrostorico.cs.it), si propone di raffigurare questa storia dei Bruzi nel quartiere di SANTA LUCIA, dov’era la ROCCA BRETICA, in CINQUE GRANDI MURALES O PANNELLI, per raggiungere due obiettivi: 1) GRIDARE QUESTA VERITA’ STORICA AL MONDO 2) DARE A TUTTI I CALABRESI, MA, SOPRATTUTTO, ALLE NUOVE GENERAZIONI, UNA NUOVA COSCIENZA DELLE PROPRIE RADICI.