giovedì 3 dicembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (14)

VERSO UN MONDO NUOVO

Dopo il diploma, l’università era una conseguenza logica. Ma non volevo farla andandomi a dare gli esami di tanto in tanto. Volevo frequentarla. La laurea, come pezzo di carta, non mi interessava. Mi interessava, e molto, crescere nella mia formazione culturale ed umana.

I miei parenti in Italia non erano in grado di finanziarmi. Lo fece mio fratello Peppe dal Canada. Mi mantenne all’Orientale di Napoli finchè non si espletassero le pratiche per andare in Canada non come studente, ma come emigrante. Da emigrante perché da studente non avrei avuto la possibilità di lavorare ed io avevo bisogno di mantenermi agli studi da solo.

Non volevo essere un prof. d’inglese che aveva appreso la lingua sui libri, come erano tutti i professori d’inglese che avevo conosciuto. Già la laurea in lingue era un ripiego per me. Avrei voluto prendere filosofia. Ma, a quell’epoca, non c’era la liberalizzazione degli sbocchi universitari come oggi.

Chi usciva dal magistrale poteva prendere solo “lettere”, “filosofia”, “lingue” e “vigilanza”.
Ma solo le lingue mi avrebbero garantito un posto assicurato alla fine del corso di studio. Con le altre avrei soltanto ingrossato le liste dei disoccupati. A meno che non avessi fatto il concorso per la scuola elementare. Ma, allora, a che pro andare all’università?.

Feci il primo anno in Italia. Mi diedi i primi esami e partii per il Canada, destinazione Vancouver. Sulla costa del Pacifico. Il viaggio in nave durò sette giorni. Fui fortunato. Il commissario di bordo, vedendo che ero uno studente universitario a Napoli, mi assegnò ad un tavolo di tre posti. I miei commensali erano due italocanadesi, marito e moglie.

Lui aveva fatto fortuna diventando un costruttore. Mi trattò come un figlio e mi diede alcuni consigli che si dimostrarono utilissimi. Avevo fatto amicizia con quasi tutti gli ufficiali di bordo, anche perché l’opera universitaria mi aveva rilasciato un tesserino come corrispondente del giornale della facoltà.

Col tacito consenso degli ufficiali, avevo libero accesso a tutte le classi della nave, una vecchia “carretta” del 1929. La mia classe era una bolgia infernale. Ma io l’utilizzavo solo per i pasti e per dormire. La prima classe era tutta un’altra cosa.

Su quella nave feci la mia prima esperienza culturale e psicologica che mi avrebbe mutato dentro e che avrei trovato descritta nei testi di scienze politiche. Finchè ero sulla nave mi sentivo come se fossi ancora in Italia. Ma appena si videro le coste di Terranova, sulla costa atlantica del Canada, qualcosa mi mutò dentro.

Sentii fortemente che stavo per lasciare l’Italia. Quello fu il momento in cui scoppiò il mio grande amore per l’Italia e di tutto ciò che era, ed è, italiano. Sentii che non ero più solo calabrese, come mi sentivo in Italia. Ero anche italiano. Una sensazione bellissima che mi dura tuttora. Ne ero orgoglioso, anche se l’Italia era una nazione povera che usciva da una guerra disastrosa. Quelle casette monofamiliari che vedevo sulla costa mi fecero capire che stavo per entrare in un mondo diverso. Un mondo che mi avrebbe dato molto.

Per prima mi diede un viaggio in treno favoloso. Per sei giorni ho attraversato tutto il continente americano. Da costa a costa, come amano dire gli americani. Dalla costa Atlantica a quella del Pacifico.

Vedere la regione dei Grandi Laghi, ai confini tra gli Stati Uniti e il Canada. Le immense praterie verdi. Le infinite foreste di conifere. Ma la cosa più straordinaria sono state le Montagne Rocciose. Un treno che si inerpica su per i costoni della roccia.

Un treno che ti dà la sensazione di essere sospeso nel vuoto. Un treno che attraversa gole strettissime e valli minuscole fiorite. Un treno che ti porta nella EVERGREEN Vancouver. Una città ed una sede universitaria che dovevano rivoluzionare il mio modo di pensare e cambiare radicalmente i miei sogni.

CONTINUA

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