martedì 20 dicembre 2011

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (33)

LA CAPACITA’ INTUITIVA-DEDUTTIVA DELL’UOMO

La capacità intuitiva-deduttiva è una " costruzione libera o almeno spontanea e diretta dell'intelligenza " ( Piaget, 1970: 43 ), che non richiede alcuna organizzazione. Essa, tuttavia, era una tappa obbligata per arrivare alla capacità-abilità induttiva, che richiede una organizzazione dei dati della conoscenza per arrivare dal particolare al generale, attraverso l'astrazione.

Ma un'astrazione ancora legata al mondo del reale, quella che Piaget chiama astrazione riflettente. Il pensiero formale, l'astrazione formale, si avrà solo nella fase successiva, quando non si lavorerà più su un dato o una conoscenza che viene dalla realtà, ma su un ipotesi, una congettura, un'intuizione che ci viene dalla massa delle conoscenze che abbiamo acquisito nel corso della storia, pur non essendo legata ad essa direttamente e molto spesso in contrasto con essa.

La massa di conoscenza, accumulata nei millenni, è servita all'uomo per far acquisire al cervello-computer quel grado di specializzazione che lo ha messo in grado di trascendere la realà concreta per costruire la sua verità. In altre parole, egli è passato dallo stadio della verità-scoperta ( pensiero astratto legata alla realtà ) allo stadio odierno della verità-costruita (pensiero astratto formale).

Senza quella massa di conoscenza non si sarebbe mai potuto raggiungere l'attuale livello di struttura mentale. Ecco perchè il metodo sperimentale è stato una conquista che si è ottenuta per ultima. Esso non segna solo l'inizio della rivoluzione scientifica, ma fu anche, e soprattutto, una rivoluzione del pensiero ( Butterfield, 1962: 187 ): moriva un modo di pensare legato alle cose concrete e ne nasceva un altro che si sentiva libero di trascendere la realtà per superarla.

Questo fu il risultato di uno sforzo collettivo di tutte le generazioni che si sono succedute nella storia dell'uomo, le quali hanno sviluppato lentamente, ma progressivamente, nuovi abiti mentali che " sebbene vengono assunti dagli individui non sono creati da essi: solo i grandi uomini possono indossarli con grazia e naturalezza, ma nessuno di essi è in grado di costruirne uno.

Essi sono il prodotto della società. Sono il lavoro di un'infinità oscura di uomini e donne, senza pretesa di conquistarsi un posto in quella che viene chiamata la storia del pensiero. Essi appartengono, in breve, a quelle rappresentazioni collettive che nessuno ha saputo descrivere meglio del sociologo francese Durkheim.

Queste rappresentazioni collettive, che costituiscono tutte le conoscenze che l'uomo possiede, sono il frutto di un'immensa collaborazione collettiva, che si estende non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Per produrle, una moltitudine di intelligenze ha associato, unito, mescolato le sue idee ed i suoi sentimenti " ( Farrington, 1950: 4-5 ). E la Rivoluzione industriale è una di queste rappresentazioni collettive, anche se sarà materialmente realizzata, nell'ultima fase, dall'Inghilterra.

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