Il sociologo americano Edward Bonfield, in una ricerca condotta sul posto nel 1950, affermò che alla base della questione meridionale c’era l’incapacità politica e sociale dei suoi abitanti. Egli chiamò questo atteggiamento mentale “familismo amorale” perché basato esclusivamente a soddisfare il proprio immediato interesse della famiglia e perché legato ad un modo di vivere privo di qualsiasi rapporto con la comunità esterna allargata.
Storicamente, questo “familismo amorale” del meridione va rintracciato nella secolare contrapposizione tra uno Stato che imponeva solo doveri e l'individuo... per sopravvivere... doveva frodarlo e perciò si rinchiudeva nel proprio “particulare” (per dirla con Guicciardini).
Molte colpe vanno attribuite a Federico II. Col suo stato centralizzato, egli negò all'Italia meridionale l'esperienza della nascente civiltà comunale, dove si formarono le mentalità democratiche e si acquisì il senso dello Stato nelle coscienze individuali. Due obiettivi che i meridionali ancora oggi non hanno raggiunto appieno.
Se vogliamo, egli fu più "benìgno" verso la Germania, quando non pretese la centralizzazione del potere, ma diede la più ampia autonomia agli Stati regionali (i lander di oggi e i fuedi di allora) nell'ambito della struttura imperiale, che - se vogliamo tradurla nei termini scientifici della scienza politica moderna - assumeva la forma di una confederazione di Stati. Così, i tedeschi crebbero al loro attuale federalismo attraverso l' esperienza storica di secoli.
Noi meridionali, suoi diretti discendenti, siamo rimasti con una mentalità medievale (familismo amorale?) dove regna ancora il barone, comunque camuffato. Sono queste le cose che dobbiamo dire. Sia gloria a Federico II. Mettiamo in evidenza tutti i suoi pregi. Additiamolo pure come la prima grande novità della storia per quanto riguarda la concezione dello Stato e dei rapporti tra le razze e le culture. Ma diciamo anche che a noi meridionali fu “patrigno” suo malgrado.
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