giovedì 4 febbraio 2010

FRANCO FELICETTI’S STORY (23)

I GRANDI INCONTRI

Gli alberghi che potevo permettermi io, studente operaio, erano quelli della catena Y.M.C.A. (Young Men’s Christian Association). Erano sicuri e di buon prezzo. In quello di S. Louis feci un incontro virtuale particolare. Il portiere era una persona piuttosto colta, che aveva un hobby: raccogliere, in una agenda, frasi degli ospiti più importanti. Quelli che lui riteneva più importanti.

Io ero importante perché venivo dall’università di Napoli della lontana Europa. Questa agenda la consegnava all’ospite la sera per riprenderla il mattino successivo. Lo faceva perché voleva che il nuovo ospite leggesse le frasi di chi l’aveva preceduto. Non cercava frasi banali, ma frasi che avessero un significato profondo.

Sfogliando l’agenda, ne trovai una che mi colpì. Era di un indonesiano di nome SUKARNO: “ogni giovane dovrebbe prendere come suo punto di riferimento la stella più alta. Non per raggiungerla ad ogni costo, ma per avvicinarcisi il più possibile.” Era una frase programmatica molto vera. La feci mia perché anch’io sentivo in quel modo.

I giovani devono avere dei sogni, anche se non sempre li potranno realizzare in toto o affatto. Ma il sogno è una spinta all’azione per trovare il proprio posto nel mondo e per dare il proprio contributo per un mondo più giusto e migliore.

Sukarno ebbe le capacità e la fortuna di raggiungere la sua stella più alta. Divenne un uomo politico molto importante a livello mondiale e, successivamente, divenne DITTATORE DELL’INDONESIA. Un uomo controverso, ma rispettato in tutto il mondo per le sue indubbie capacità politiche.

Io sono rimasto lontanissimo dalla mia stella più alta. È stato il mio fallimento più grande. Ma non rimpiango nulla. Mi ero preparato seriamente. Al di fuori del mio programma di studio per la laurea, avevo studiato approfonditamente tutte quelle discipline che ritenevo indispensabili per avere successo.

Avevo studiato diritto pubblico ed amministrativo alla mia università. Scienze politiche alla U.B.C. in Canada. Economia e diritto internazionale alla Sorbona di Parigi. Sociologia, scienze della finanza, scienze della comunicazione, urbanistica, antropologia, psicologia applicata, e retorica per affinare il mio modo di parlare.

Tutto studio sprecato? No!, credo di no. Prima di tutto mi sono formato una cultura che mi è servita anche nel mio lavoro di dirigente scolastico. Tutte queste conoscenze avevano allargato di molto i miei orizzonti mentali. Riuscivo a vedere più lontano degli altri. Ad operare meglio degli altri.

Ho fallito nella grande politica, ma penso che, sia pure nel piccolo, abbia dato il mio contributo al miglioramento della condizione umana. Il sogno era quello di farlo su larga scala.

La mia crescita culturale ed umana… stante le mie condizioni di partenza… non mi aveva fatto diventare arrogante. Non mi aveva fatto sentire un superuomo. Ma mi aveva fatto maturare l’idea che dovevo mettere a disposizione degli altri il mio sapere e la mia intelligenza. Doveva essere un dovere per me combattere contro le ingiustizie della società.

Nessuno avrebbe dovuto più subire le mortificazioni, le umiliazioni, le discriminazioni, le frustrazioni, che avevo subito io sin dalla tenerissima età. Ma avrei dovuto lottare per una società più giusta. Una società che avrebbe promosso e difeso le intelligenze. Ecco perché mi ero iscritto al Partito Socialista. Lo ritenevo un partito che lottasse per una società più giusta.

Ma mi sono sbagliato. In quel partito, come in tutti i partiti del resto, le intelligenze contavano poco. Contavano solo i rapporti di forza. Le idee erano combattute da chi deteneva il potere perché ritenute sovvertitrici dell’organigramma costituito.

Il bene generale era un’utopia degli illusi come me. Quello che interessava era il PROPRIO INTERESSE DI BOTTEGA: conquistare sempre più potere per promuovere il proprio interesse personale. Era la tipica mentalità di chi non aveva avuto successo nella vita e si rifaceva con la politica.

Era la regola di MACHIAVELLI che imperava: IL FINE GIUSTICA I MEZZI. Il fine era il potere all’interno del partito. E questo fine non ammetteva tentennamenti. L’amico di oggi era l’avversario di domani. Quindi la politica diventava sotterraneamente una GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI, anche se non dichiarata.

La lealtà, la correttezza, l’altruismo, l’amicizia non erano valori assoluti. Erano valori relativi rapportati alla convenienza del momento. Per continuare a fare politica avrei dovuto imparare anch’io ad avere un fiore in una mano e un pugnale nell’altra. Troppo tardi. Mi ero costruito, sì! “costruito”… perché io mi sono costruito da solo, su valori che credevo universali.

Con questi valori non avrei mai potuto raggiungere la mia stella più alta come SUKARNO. La realtà mi concesse di farlo nel piccolo, fuori dalla politica. E questa testimonianza degli alunni della scuola media Fausto Gullo di via Popilia, una realtà degradata, che trascrivo, me ne ha dato la certezza:

“A TE, O FELICETTI, VA IL NOSTRO GRAZIE DI CUORE. TI ABBIAMO FATTO ARRABBIARE, TI ABBIAMO A VOLTE DELUSO, CI VOLEVI PIU’ BRAVI NEL PARLARE, CI VOLEVI PERFETTI. FORSE QUESTO NON L’ABBIAMO RAGGIUNTO, MA SAPPI CHE TU, PER NOI, SEI UNA ‘PRESENZA IMPORTANTE’, UNO CHE LASCIA IL SEGNO. GLI ALUNNI DEL MITICO ’94.”

La frase che scrissi io su quell’agenda del portiere d’albergo era una frase latina, la cui verità avevo verificato nel mio peregrinare: “Qui trans mare currunt, coelum non animum mutant”. Io ero rimasto radicato al mio angolo europeo. Il mondo americano era lontanissimo dalla mia psicologia.

CONTINUA

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