venerdì 12 febbraio 2010

FRANCO FELICETTI’S STORY (24)

IL RIFIUTO DELL’AMERICAN WAY OF LIFE

Il mondo americano era lontanissimo dalla mia psicologia. Non condividevo nulla della sua organizzazione sociale. Al tanto decantato e pubblicizzato AMERICA WAY OF LIFE, ritenuto, a torto, dagli americani, come THE BEST IN THE WORLD, preferivo il sottovalutato ITALIAN STYLE OF LIFE.

Quello che è sempre mancato a noi italiani è stato l’ORGOGLIO NAZIONALE. Quell’ORGOGLIO CHE TI DA’ UNA MARCIA IN PIU’ IN TUTTI I CONTESTI. Ma questo ormai appartiene al passato. Da qualche tempo il GENIO ITALIANO si sta affermando in tutti i campi. Da quello sportivo a quello della produzione di qualità.

Ai miei tempi, essere italiani significava essere figli di un dio minore. E si veniva messi sempre in terza fila. Ora si guarda con ammirazione all’ITALIAN STYLE OF LIFE che conquista, giorno dopo giorno, nuove posizione di prestigio.

Oggi essere italiani E’ BELLO NEL MONDO. Ma è soprattutto bello in America. I discendenti degli italiani emigrati ne sono orgogliosissimi. Mentre, ai miei tempi, cercavano di tenerlo nascosto. Eravamo TUTTI MAFIOSI. Come oggi tutti i rumeni sono delinquenti qui in Italia..

La società americana era ed è profondamente ingiusta. Al suo interno ha profondissime contraddizioni. Basta dire che 1/3 della popolazione americana non aveva, e non ha, assistenza sanitaria. Le cliniche dei poveri erano, e sono, le cliniche clandestine, dove professano i medici falliti o grossi praticoni della medicina per pochi soldi.

Anche se devo dire, onestamente, che gli States erano, e sono, LA TERRA DELLE OPPORTUNITA’. Ma per i VINCENTI. Per i PERDENTI, c’era, e c’e, l’estrema miseria e l’abbrutimento nell’alcol degli SLUMS, le zone degradate delle città.

A me queste opportunità erano state offerte. Più volte. L’ultima quella del direttore della mia banca in Vancouver. Cercò di convincermi a restare in Canada perché la banca era disposta ad aprire una linea di credito per qualsiasi cifra io avessi chiesto. In Italia questo sarebbe stato follia sperarlo.

La banca era rimasta impressionata dalla mia regolarità nel risparmio. Questa offerta mi ricordò il consiglio che mi aveva dato quell’italocanadese che avevo incontrato sulla “ nave carretta” due anni prima- “Fatti conoscere” mi aveva detto.

Ho potuto fare quel RISPARMIO SELVAGGIO, nei tre mesi di lavoro estivo, perché avevo una famiglia alle spalle. In questi tre mesi andavo a vivere a casa di mia sorella Lucia, dove abitava stabilmente anche mio fratello Peppe. Lì ero accudito di tutto punto e la mia paga poteva andare tutta in banca.

Mia sorella era commovente quando, tutte le sere verso le 23, mi portava un pezzo di torta e un bicchiere di coca.cola nel BASEMENT (seminterrato), dove c’era sistemata, tra le altre cianfrusaglie, la mia scrivania e la mia brandina. “Mangia”, mi diceva, “che domattina ti aspetta una dura giornata di lavoro e devi essere forte”.

Continuavo a studiare fino a mezzanotte. La mattina mi alzavo alle cinque. Erano tre mesi durissimi, specialmente per me che non avevo mai fatto lavori pesanti. Ma erano sopportabilissimi perché erano finalizzati ad un progetto che mi avrebbe garantito il mio POSTO AL SOLE. Mia sorella, al mattino, mi preparava un’abbondantissima colazione all’inglese e mio fratello mi accompagnava al lavoro con la sua macchina-

Sia mio fratello che mia sorella, il primo anno, pensavano che io non avrei retto allo sforzo. I ritmi di lavoro americani non sono quelli italiani. La paga era buonissima, ma la tua PRODUTTIVITA’ doveva essere adeguata alla paga.

Era un tour di force disumano per uno che non aveva mai fatto lavori pesanti. Ma la posta in gioco, per me, era troppo alta. Ho retto due estati perché mi sorreggeva anche il pensiero che sarei andato a studiare a Parigi, per un anno, senza dover lavorare.

Io non potevo accettare l’offerta che mi faceva il direttore di banca per aprire una mia attività economica, anche se mio fratello ha sempre temuto che io mi lasciassi attrarre dai soldi, come avevano fatto altri studenti universitari italiani.

Ma io non ero un amante di Creso. Io ho sempre privilegiato le ricchezze dello spirito. E questo spirito era europeo, italiano, calabrese, cosentino. Le mie quattro lealtà di ieri e di oggi. E questo è stato il messaggio che ho cercato di trasmettere alle generazioni, specialmente a quelle di Via Popilia, che ho contribuito ad educare nei miei 23 anni di Preside.

CONTINUA

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