martedì 21 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (89):L’EREDITA’ DELLA GRECIA CLASSICA

I greci non possedevano la capacità dell'astrazione formale, nè la possedettero altri popoli prima del XVII secolo. Per maturarla c'era bisogno di acquisire l'esperienza del medioevo cristiano e del mondo mussulmano. Solo in senso lato si può affermare che i moderni ripresero il cammino là dove lo avevano lasciato i greci. Come solo in senso lato si può affermare che i greci ripresero il cammino là dove lo avevano lasciato le antiche civiltà. Può essere vero alla lettera, ma non nella sostanza. I creatori di un nuovo paradigma sono portatori di un altro atteggiamento mentale e, soprattutto , sono liberi dal condizionamento del paradigma esistente. L'uomo del XVII secolo, quello che maturò il pensiero formale, era portatore di un'altra psicologia, di un'altra maturità che gli fecero vedere cose che i greci non videro (perchè non potevano), che gli fecero trarre delle conclusioni che i greci non trassero (perchè non ne possedevano i mezzi), che gli fecero arguire nuove possibilità che i greci non arguirono (perchè era al di là delle loro possibilità). Questa è la vera causa del loro fallimento. La porta del mondo moderno poteva essere aperta solo dai moderni. E per essere moderni bisognava acquisire prima le conoscenze e le esperienze del mondo medievale cristiano e del mondo mussulmano. La civiltà greca fu produttrice di conoscenze e di progresso nel campo intellettuale. Le conoscenze erano frutto della risoluzione di problemi che riguardavano l'uomo e , spesso, le soluzioni erano geniali. Nulla di più. Si può dire che l'uomo greco era nello stadio della verità scoperta, ma non aveva ancora la maturità di pensiero per raggiungere lo stadio della verità costruita. Cioè, in altri termini, egli poteva scoprire verità, ma non era in grado di programmare la loro costruzione. Non aveva un metodo per produrle. Non aveva il metodo scientifico del mondo moderno che fu il vero artefice del fall out tecnologico, che ha reso la nostra società capace di un progresso ininterrotto. La Grecia, come le grandi civiltà che l'hanno preceduta, era rimasta vittima del paradigma culturale raggiunto. La sua grande capacità assimilativa e la sua grande potenza creatrice avevano raggiunto il loro climax nel IV secolo, dopo l'organizzazione sociale si irrigidì e divenne ripetitiva e sparirono sia le capacità assimilative che la potenza creatrice e si consumava quello che si era prodotto nel passato senza nulla aggiungervi. E' come se le energie che avevano prodotto quella crescita si fossero interamente prosciugate e al loro posto fosse rimasto un vuoto orgoglio per l'alto grado di civiltà raggiunto. La crisi si palesò con il decrescere lento, in un primo momento, dell'accrescimento di nuovi elementi, interni ed esterni. Quando l'accrescimento di nuovi elementi sparì del tutto si entrò in un lungo periodo di stagnazione. Si consumavano le glorie del passato. A partire dal III secolo a.C., i greci entrarono in un lungo periodo di stagnazione. "Un osservatore del III secolo a.C. sarebbe rimasto sorpreso nell'apprendere che la civiltà greca stava entrando... in un lunghissimo periodo di decadenza intellettuale che doveva durare, con qualche sussulto e con qualche brillante uomo di retroguardia, fino alla presa di Bisanzio da parte dei Turchi" (Dodds, 1978: 244). Essi avevano prodotto un nuovo paradigma culturale, che era qualcosa di sconosciuto per il mondo antico, ma, finita l'attività creatrice, terminò con essa anche la tensione ideale che quella aveva prodotta e che è la sola che può condurre a nuovi risultati. "Ciò che era accaduto nella grande epoca della Grecia, [accadrà] di nuovo nell'Italia del Rinascimento... La liberazione dalle catene rese gli individui energici e creativi, producendo una rara fioritura di geni, ma l'anarchia... [rese] gli italiani collettivamente impotenti, ed essi caddero, come i greci, sotto il dominio di nazioni meno civili, ma non così privi di coesione sociale. "Il risultato fu però meno disastroso che nel caso della Grecia, perchè le nazioni divenute ora potenti, ad eccezione della Spagna, si dimostrarono altrettanto capaci degli italiani di insigni conquiste" (Russel, 1966, I: 17). Le conquiste dei greci non furono suscettibili di ulteriore sviluppo nell'immediato perchè lo stato, che si sostituì alla civiltà greca come organizzazione politica, aveva altri interessi e stava sviluppando un altro aspetto della personalità dell'uomo: quello pragmatico. E tutte e due queste civiltà rimasero vittime dell'andamento ciclico della storia e furono sopraffatte da altri popoli che non avevano ancora raggiunto la maturità di pensiero necessaria affinchè si verificasse l'effetto cumulativo. Il Rinascimento, invece, fu prolifico perchè le altre nazioni che stavano ai suoi confini erano intellettualmente in grado di recepire, assimilare, le sue conquiste e spingerle oltre. E questo si può spiegare con le condizioni generali dell'umanità nelle due epoche. La seconda, quella rinascimentale, era, la punta avanzata di un rinnovamento intellettuale generalizzato che interessava tutti gli stati del mondo europeo. La prima, quella greca, era, invece, inserita in un contesto mondiale fatto di popoli barbari, tranne uno, quello romano, che, però, nonostante fosse più efficiente nell'organizzazione politica e statuale, non era interessato all'attività speculativa. Nel campo delle scienze e della filosofia, infatti, il mondo romano non raggiunse mai il livello di struttura mentale dei greci. Esso non era un popolo di intellettuali. La conoscenza che lo attirava era quella "della scienza applicata e aveva poca pazienza per la teoria" (Africa, 1968: 68). Il romano era interessato a risolvere i problemi pratici dell'organizzazione sociale: costruire ponti, acquedotti, strade, bagni, amministrare la giustizia, organizzare un esercito, ecc. La cultura, fine a se stessa, era lontana dai suoi orizzonti mentali. Eppure, l'impero romano avrebbe potuto costituire "un serbatoio unico per la messa in comune dell'esperienza umana... "Nell'ordinamento scientifico della gran massa di nozioni rese così disponibili, non venne fatto nessun progresso. Non fu avanzata alcun ipotesi creatrice originale per ridurre ad un ordine un certo numero di fatti dispersi. Da tutti i dati accumulati non fu suggerita una sola invenzione importante. Nonostante l'esistenza di una grande classe agiata di uomini istruiti e anche colti, la Roma imperiale non diede contributi significativi alla scienza pura. Ricchi dilettanti, come Seneca e Plinio, con l'aiuto di un esercito di segretari greci, compilarono enciclopedie di scienza naturale. Sebbene un buon numero di osservazioni vere e nuove vi erano registrate, la loro disposizione è chiaramente asistematica, e il giudizio critico di Aristotele chiaramente assente. Per quanto Plinio respinga a parole la magia, la sua credulità è deplorevole " (Childe, 1949: 287-88). CONTINUA www.franco-felicetti.it

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