giovedì 15 aprile 2010

FRANCO FELICETTI’S STORY (33)

IL MAL D’AFRICA

Durante la mia carriera di preside ho avuto il piacere di essere nominato, per tre volte, Commissario per gli esami nelle scuole italiane all’estero. In tre diverse parti del mondo. In Africa, in Medio Oriente, in Sud America. Sono state tre esperienze esaltanti per tanti motivi. Prima di tutto perché i ragazzi che ho incontrato erano, in tutti i tre posti, ragazzi di prima scelta.

Ragazzi della vera Italia. Dell’Italia che lavora. Dell’Italia formato esportazione. Il meglio del meglio. Il confronto con i ragazzi in patria non regge. Loro hanno qualcosa in più. Qualcuno direbbe che hanno “un capello in più”. Forse è così. Questi ragazzi sanno che la vita è sacrificio, è impegno, è dedizione. Sentono fortemente la mancanza dell’Italia, ma sanno che torneranno per occupare il loro posto nella società italiana.

La prima esperienza fu in Africa. Ad ABIDJAN. Capitale della COSTA D’AVORIO. La scuola era gestita dall’Eni ai cui figli dei dipendenti era indirizzata. Il corpo docente era tutto italiano. Una parte era composto da docenti titolari di cattedra in Italia comandati all’estero. Il resto erano docenti reclutati tra i familiari dei dipendenti dell’Eni.

Per quanto riguardava gli esami, la vita del Commissario era di tutto riposo per due motivi. I docenti erano fortemente motivati ad ottenere risultati più che positivi. Gli alunni erano fortemente motivati ad apprendere. Dietro di loro c’erano delle famiglie che conoscevano il valore dell’istruzione.

Come COMMISSARIO-TURISTA ho fatto delle esperienze bellissime. Ho voluto conoscere la vera Africa. Quella dei villaggi dei nativi. Quella delle MISSIONI e dell’umanità che le frequenta, ancora preda dell’ANIMISMO. Ho partecipato ad un pranzo collettivo di tutta la comunità della missione offerto da una famiglia africana del luogo. Il missionario mi ha detto che la comunità VIVEVA DI CARITA’. Quel pranzo ne era una testimonianza.

Fu la missione che organizzò la mia visita in un villaggio dell’interno. Già dalla macchina ho visto i guasti della CIVILTA’ OCCIDENTALE. Sul greto del fiume, che costeggiava il villaggio, c’erano delle donne intende a fare il bucato a SENO NUDO. Appena ci hanno visto da lontano si sono coperte in tutta fretta. Questo era un dono della civiltà dell’uomo bianco: l’IDEA DEL PUDORE.

I docenti italiani comandati, per la maggior parte donne, mi hanno fatto capire, finalmente, cosa significasse il MAL D’AFRICA, di cui diventano affetti tutti i bianchi che lasciano l’Africa. Questi docenti percepivano l’indennità di missione all’estero, che significava triplicare il proprio stipendio italiano.

Il costo della vita ad Abidjan era bassissimo. I salari erano da fame. Con poche lire al mese potevi permetterti una persona di servizio per tutto il giorno. Agli inviti a cena delle insegnanti c’era un grande sfoggio di personale di servizio. C’era il cuoco, il cameriere che serviva a tavola con i guanti bianchi, la donna in divisa tuttofare.

La padrona di casa era veramente la “Signora”. Avevo scoperto perché l’uomo bianco soffre di MAL D’AFRICA una volta tornato in Europa. Quelle cose, in Europa, non se le poteva consentire. Era costretto a ridiventare una persona comune.

CONTINUA

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