venerdì 9 aprile 2010

FRANCO FELICETTI’S STORY (32)

FRANCO FELICETTI’S STORY (32)

FALLIMENTO TOTALE IN POLITICA

In politica è stato un fallimento totale. Tutti quegli studi che avevo fatto si dimostrarono controproducenti. La maggior parte delle persone non entra in politica per DARE, ma per AVERE. Vi entra chi cerca un POSTO AL SOLE. Chi è pronto a raggiungere qualsiasi compromesso pur di arrivare allo scopo. Chi fa sua la massima di Machiavelli: IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI.

Mi resi conto che io non ero fatto per la politica. Nei miei studi di scienza politica avevo incontrato un presidente degli Stati Uniti, non ricordo più come si chiamava, che aveva detto: “la politica è shit (merda), ma a me piace affondarvi le mani”.

Io non sono stato capace di affondarvi le mie. Se volevo restare in politica, i valori, su cui avevo fondato la mia formazione, dovevo rinnegarli. La lealtà in politica non può esistere come valore di lunga durata. Tutto deve essere finalizzato. Tutto deve essere strumentalizzato.

Il mio primo tracollo, come dirigente di partito, lo ebbi perché non seppi ritirare in tempo la mia lealtà ad un leader di medio calibro, che stava per essere fatto fuori. Il triste è che questo aveva capito che l’avrebbero fatto fuori e votò così come si vuole “colà dove si puote”, contro se stesso, salvandosi. Io votai per lui e caddi in disgrazia.

L’amicizia nel partito non può essere un valore stabile. Deve mutare come mutano le fortune. L’amico di oggi può essere l’avversario di domani. Io questo non sapevo farlo. La correttezza per me era sacra. La dirittura morale la stessa cosa. Non ho saputo accettare il “sacro” principio, mai espresso, ma sempre imperante, MORS TUA, VITA MEA.

La democrazia nel partito era una pura formalità. Ti davano la possibilità di votare, ma guai se votavi diversamente dalle direttive che erano piovute dall’alto. In una riunione di partito, a casa del LEADER MAXIMO, mi permisi di esprimere liberamente il mio pensiero, che non era esattamente uguale a quello del leader maximo. All’uscita fui aggredito dagli altri dirigenti, che contavano molto più di me, io ero una NEW ENTRY nel SANCTA SANCTORUM del partito. Mi gridarono: “perché lo hai fatto. Lui questi interventi non li gradisce”.

Avevo capito. Non eravamo andati ad una riunione di partito, dove maturano le decisioni. ERAVAMO ANDATI A PRENDERE ORDINI. Questo mi convinse ancora di più che ero sbagliato per la politica.

Diciamola diversamente. Io, durante i miei studi, avevo idealizzato la vita di partito, che non conoscevo. Non sarei dovuto entrare in politica quando la mia personalità si era fissata. Ci sarei dovuto entrare da ragazzo per crescere con valori diversi. Quella fu l’ultima riunione a cui ho partecipato. Poi sono uscito dal partito in silenzio. Nessuno mi ha mai più cercato. Io ero una persona scomoda. Una persona che aveva idee. E, guaio più grosso, le esprimeva.

Qualche anno più tardi, un partito minore venne a contattarmi in connessione al rinnovo dell’amministrazione comunale di Cosenza. La Fausto Gullo era diventata una scuola di prestigio. La popolazione di Via Popilia era tutta dietro di me. Il consenso per quello che avevo fatto era altissimo. Questi politici volevano sapere se ero disponibile per una candidatura a sindaco.

Diedi il mio assenso. Non li ho più rivisti. Poi seppi che avevano portato il mio nome in una interpartitica. Ma gli altri partiti non vollero nemmeno discuterne. Motivarono il loro dissenso con queste parole: “NON E’ MALLEABILE”. Non cercavano un sindaco. Cercavano un paravento dietro il quale continuare a fare i loro affari.

CONTINUA

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