domenica 18 maggio 2008

ALLA RICERCA DI UNA LINGUA PASSEPARTOUT PER UN MONDO GLOBALIZZATO: ESPERANTO O INGLESE?

Dopo la caduta dell’Impero Romano, l’Europa Occidentale collassò su se stessa. Anche se nella forma una parvenza di Stato non scomparve mai completamente, tutto divenne insicuro e la gente aveva paura. Era un mondo aperto che si frantumava e si rinchiudeva in piccole comunità che potevano essere difese meglio.
Il piccolo divenne bello. Anche l’unità della lingua latina si frantumò ed incominciarono a formarsi le lingue nazionali. A parte il mondo germanico, dove il latino era poco conosciuto e la lingua germanica ebbe la sua evoluzione naturale fino ai giorni nostri, negli ex territori dell’Impero Romano si formarono le grandi lingua nazionali: lo spagnolo, il francese e l’italiano.
A livello della popolazione minuta, si formarono delle barriere linguistiche basate su aree geografiche, che vennero prese come segni distintivi dello Stato nazionale.
Quando nel basso medioevo le comunità medievali incominciarono ad aprirsi con la ripresa del commercio, si sentì fortemente il bisogno di una lingua passepartout, che consentisse le libera circolazione delle persone e delle idee negli ex territori dell’Impero Romano.
Il latino, che non era mai scomparso, ma era rimasto come lingua della cultura e delle persone colte, riprese il suo cammino come lingua passepartout (internazionale) della nuova Europa che nasceva e lo rimase fino a tutta il diciassettesimo secolo.
Nel diciottesimo secolo fu sostituito dalla lingua del nuovo astro sorgente in Europa: la Francia, che era diventata una potenza di primo rango a livello mondiale, anche se aveva una grande rivale: l’Inghilterra. Ma l’inglese non si elevò mai a lingua passepartout, almeno fino al ventesimo secolo.
Il francese, invece, si impose come lingua passepartout (internazionale) soprattutto nelle relazioni internazionali (lingua delle diplomazie) e nella cultura. Era una lingua dolce, poetica, strutturalmente completa e di facile apprendimento.
Il suo ruolo di lingua passepartout incominciò a vacillare agli inizi del ventesimo secolo, quando sulla scena mondiale apparve una nuova grande potenza: gli Stati Uniti d’America, di lingua inglese, che venne a dare man forte a questi Stati europei che combattevano contro l’impero austro-ungarico nella Prima Guerra Mondiale.
Come lingua passepartout, il francese ebbe la sua spallata definitiva nella Secondo Guerra Mondiale, quando, ancora una volta, gli Stati Uniti d’America intervennero per salvare le democrazie libere d’Europa dal tracollo finale da parte della Germania di Hitler.
Da questo momento, la lingua passepartout divenne l’inglese. Quello che, in due secoli di storia, non era riuscito all’inglese d’Inghilterra riuscì all’inglese americano.
Alcuni studiosi non accettano questo verdetto come definitivo e stanno studiando l’elaborazione a tavolino di una nuova lingua passepartout: l’ESPERANTO. Ma è un tentativo destinato al fallimento. Le lingue non si costruiscono a tavolino, ma sono degli organismi che hanno una vita propria e conoscono le fasi di tutti gli organismi: crescita, maturità, decadenza.
Da studente universitario, in visita in un scuola americana, alla domanda di un’alunna se la lingua inglese era destinata a lunga vita come lingua passepartout, risposi che dipendeva dal successo o insuccesso dell’U.R.S.S. (Unione Repubbliche Socialiste Sovietiche)
A quell’epoca, anni 60 del secolo scorso, questa nazione incuteva timore. Aveva già imposto la sua influenza su un terzo del globo. Sembrava che il suo tentativo potesse avere successo. Ma, fortunatamente, la storia incomincio a girare diversamente non appena questa nazione mostrò il suo vero volto.

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