mercoledì 4 giugno 2008

PARLIAMONE: LO STATO CONTRO I GUASTI DEL LAISSER FAIRE

Per quasi tutto il periodo della RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (due secoli circa), la classe operaia, ancora non organizzata, pagò un costo tremendo. L’anello debole di questa rivoluzione, che permise l’immenso accumulo di capitale su cui la società moderna fu fondata, era l’operaio non organizzato.

La CONTRATTAZIONE COLLETTIVA non esisteva. E non esisterà ancora per 150 anni. La contrattazione avveniva uno contro uno. Datore di lavoro contro operaio singolo. Era una contrattazione iniqua. La paga che il datore di lavoro era disposto a concedere era quella misera somma appena sufficiente per SOPRAVVIVERE E RIPRODURSI.

Oltre questa paga, l’operaio non aveva alcun diritto. Nè contro le malattie. Nè contro gli incidenti sul lavoro. Nè per la vecchiaia. Era la solideriata familiare che garantiva il funzionamento del meccanismo. L’adulto manteneva il bambino fino ai sette otto anni. Poi questo doveva andare a guadagnarsi un tozzo di pane col sudore della sua fronte e doveva mantenere i propri vecchi negli ultimi anni della loro vita, quando non erano più in grado di lavoro.

Negli anni di crisi economica generalizzata, la scure dei licenziamenti gettava tutti sul lastrico. Nella miseria più nera per tutta la famiglia.

All'inizio del XX secolo, le crisi economiche, che nel frattempo erano diventate sempre più frequenti e sempre più acute, convinsero lo Stato che il sistema liberista, lasciato a se stesso, era incapace di assicurare alla nazione un progresso economico continuo ed equilibrato, come non era stato capace di garantire alla nazione un armonico sviluppo sociale e civile.

Ci si rese conto che se si voleva assicurare alla nazione un crescente sviluppo economico e abolire o, quanto meno, attutire le catastrofiche conseguenze delle depressioni economiche, lo Stato doveva abbandonare la sua tradizionale neutralità ed intervenire anche nel campo dell'economia.

Dapprima questo intervento fu frammentario ed occasionale. Esso si risolveva in «una serie di misure economiche isolate, non coordinate e senza rapporto fra di loro, intese a migliorare, in determinati periodi, le condizioni dei produttori di grano, degli allevatori di bestiame, della industria tessile, di qualsiasi altro gruppo economico.

Poteva essere adottato per mantenere il livello degli utili, dei prezzi, dei salari o delle condizioni di lavoro nella particolare industria che formava oggetto di tali misure, oppure poteva essere principalmente inteso a migliorare il gettito delle imposte.

Poteva anche avere come scopo la conservazione delle risorse minerarie, idriche o forestali; oppure servire ad assistere una comunità o una zona in particolari condizioni di disagio economico; soprattutto poteva spesso rappresentare il tentativo di attenuare gli effetti di una depressione ciclica o strutturale, in gestazione o in atto» (LAUTERBACH).

Ciò che c'era di positivo in queste misure è che esse riuscivano a tappare, bene o male, le falle che continuamente si aprivano nella grande barca dell'economia, ma non riuscivano ad impedire che esse si aprissero, e ciò era dovuto al fatto che, più che misure preventive, esse erano misure correttive di squilibri che si venivano a creare in alcuni settori dell'economia.

Esse si erano dimostrate efficaci nella lotta contro le grandi depressioni o nel risollevare un settore dell'economia da uno stato di crisi, ma del tutto inefficaci per garantire al paese un alto sviluppo economico e sociale.

Fu proprio per colmare questa insufficienza che lo Stato intensificò il suo intervento nel mondo dell'economia con una azione più organica, più coordinata, più continua e, soprattutto, con un'azione programmata, intesa ad utilizzare razionalmente le risorse del Paese e ad aggredire i problemi economici e sociali con una visione globale ed unitaria, distribuendo le risorse secondo una scala di priorità, in modo da assicurare l'armonico sviluppo di tutti i settori della società.

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