giovedì 14 febbraio 2008

IL PRAGMATISMO E LE IDEOLOGIE

Le ideologie sono il prodotto del mondo germanico. Hegel ne fu il fondatore e Karl Marx il suo profeta. Esse si diffusero soprattutto nell’Europa continentale. Il mondo anglosassone (Inghilterra e Stati Uniti d’America) rimasero attaccati al loro tradizionale pragmatismo, che – secondo la loro lettura della storia- avevano ereditato direttamente dal mondo romano.

In effetti, soprattutto gli Stati Uniti, si sono sempre definiti i veri eredi di Roma, che conquistò tutto il mondo allora conosciuto grazie alla forza del suo pragmatismo. Secondo la visione degli storici americani, i popoli neolatini hanno tradito il pragmatismo dei loro padri per abbracciare l’astro nascente delle ideologie. E questo li precipitò nel disastro.

Oggi si dice che le ideologie siano morte. Ne siamo proprio sicuri? Forse è vero che siano morte come visioni globali dell’organizzazione politica della società attorno ad un’idea guida, che diventa articolo di fede per il vero credente.

In questo senso, le ideologie sono state storicamente sconfitte dal loro più acerrimo nemico: il pragmatismo, in cui oggi tutti si riconoscono. Ma non sono morte totalmente. Hanno lasciato dietro di loro una mentalità ideologica, che ancora persiste in larghi strati della popolazione.

Questa mentalità è di intralcio alla formazione di uno Stato veramente democratico in cui sia garantito il fair play tra le forze politiche, nel pieno riconoscimento del ruolo e della funzione di ciascuna forza. La differenziazione tra le forze, che ci deve essere, deve essere basata esclusivamente su una sana dialettica programmatica.

L’Italia è ancora lontana da questo obiettivo, anche se qualcosa sembra muoversi in questo senso per le prossime elezioni politiche di primavera. Entrambe le due maggiori forze politiche in campo hanno promesso il reciproco fair play, mettendo, finalmente, da parte la demonizzazione dell’avversario.

Chi è affetto da questa non scomparsa mentalità ideologica è il vero credente, il quale non sa vivere senza una verità “rivelata”, una “causa” in cui riconoscersi e in cui credere per sentirsi sollevato dal peso di fare scelte. Di dover decidere con la propria testa. Cosa che non sa fare. Egli esprimerà il suo consenso, o il suo dissenso, secondo le indicazioni di color che sanno (vertici del partito). E tanto gli basta.

Il vero credente, di qualsiasi segno sia (rosso, bruna, nera), non svilupperà mai una mentalità democratica. Questa, infatti, richiede una mente sgombra da qualsiasi preconcetto. Una mente libera, che ha bisogno di autoconvincersi prima di decidersi a fare una scelta in un senso o nell’altro.

Quest’ultima è la mentalità del vero laico. Il vero credente è un laico fasullo. Egli non vive di dubbi, non è pronto a mettere tutto in discussione, come fa il vero laico, ma vive di certezze, che gli derivano dall’ideologia che ha abbracciato: morta, ma non sepolta. Il coloro dell’ideologia non ha importanza.

Come ha detto uno studioso americano, è più facile che una ideologia riesca a fare più proseliti tra i veri credenti di altre ideologie di quanti possa farne tra le mentalità libere, democratiche e pragmatiche.

Le ideologie comunista e fascista sono di segno diverso e contrario, ma la struttura mentale del vero credente di entrambi è la stessa.

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