giovedì 12 novembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (11)

IL FIGLIO DEL GIUDICE

Prima di partire per il militare, il fratello della ragazza del negozio, che aveva fatto le scuole medie superiori nel famoso collegio degli Scolopi di Firenze, mi fece una lettera di presentazione per uno “scolopino” di Arezzo, dove io dovevo fare il periodo di addestramento militare..

Ma non poteva far vedere che raccomandava un “garzone” di negozio. Mi presentò come il figlio di un giudice che non aveva voluto studiare e si era dedicato alla scuderia di famiglia. Una brutta figura non gliela avrei fatta fare. Il mio italiano ero buono. Anche le mie maniere erano buone.

Dalla famiglia dello “scolopino” sono stato trattato con i guanti gialli. Inviti a cena a non finire. Poverino, il figlio del giudice costretto a mangiare quel “rancio” schifoso in caserma! Una cena succulenta per ripagarlo.

Mi fecero visite in caserma in ogni occasione. Mi presentarono a gente che contava, compreso un ufficiale del mio reggimento. Io ero il “figlio del giudice”. Fortunatamente questa farsa finì dopo tre mesi, quando fui trasferito a Pisa.

A Pisa mi resi conto che neanche la vita militare era fatta per me. Ad una cosa, però, era servita: a togliermi il vizio delle carte. Sin da ragazzo passavamo nottate intere al tavolo da gioco. Nelle camerate della caserma si era formato un tavolo da gioco. Ma io mi sono sempre rifiutato.

D’allora non ho più giocato. E questo era coerente col mio carattere. Quando una funzione è finita va eliminata per sempre. Gli inglesi direbbero: LET BYGONE BE BYGONE.

Sotto le armi decisi che nel mio futuro c’era solo lo studio. Potevo farcela. Gli anni da recuperare erano otto. Ma io potevo farcela. In fondo non ero un ignorante TABULA RASA. Le mie letture avevano preparato il terreno. I semi fruttificavano perché non cadevano nei rovi.

Non ho mai preso in considerazione la possibilità di rinunciare a tutto dicendo a me stesso, come fa la stragrande maggioranza dei PERDENTI, “non ho potuto farlo io, farò in modo che l’abbiano i miei figli”. Ma io mi sentivo un VINCENTE.

Sapevo che avrei potuto farcela io ed ai miei figli avrei potuto dare di più. Come, in effetti, è avvenuto. Con la posizione sociale che mi sono saputo conquistare ho dato alle mie figlie una formazione molto avanzata. Le ho potuto mandare a studiare in Inghilterra, per tre anni ciascuna, per farle diventare bilingue.

Avevo capito per tempo che l’inglese sarebbe diventato un PASSE PARTOUT che avrebbe aperto loro qualsiasi porta. Ma, quello che mi è interessato di più è stato aprire i loro ORIZZONTI MENTALI e niente avrebbe potuto farlo meglio di un prolungato soggiorno in una delle più avanzate nazione del mondo.

E tutte e tre sono diventate delle VINCENTI. La prima ha una cultura paurosa. Si è letta quasi tutti i libri del mio studio. Conosce tutta la letteratura inglese e quella italiana. È laureata in lettere moderne. Ha una logica stringente e una dialettica non comune. Ha sempre vinto tutti i concorsi a cui ha partecipato. Al primo, su tremila candidati per due posti, è risultata la seconda. Ha vinto il concorso ordinario per la scuola media e quello per la scuola media superiore. Ora vuole realizzarsi nella scuola, dopo dieci anni in una amministrazione pubblica, ma sta capendo, proprio come aveva capito suo padre ai suoi tempi, che non ci riuscirà da insegnante. Per questo è destinata a vincere anche il concorso a Preside non appena avrà i requisiti per parteciparvi.

La seconda ha una personalità molto equilibrata. È la più saggia delle tre. Ha un forte senso del dovere unito a una umanità ricca. Insegna lingua e letteratura inglese nelle scuole superiori a Milano. I suoi alunni la adorano perché si prodiga per portare tutti al traguardo meritatamente. Grande è la sua disponibilità verso i colleghi. È apprezzatissima dai dirigenti scolastici per la sua completa dedizione alla scuola.

La terza, dopo essersi laureata in chimica in Italia, ha conquistato, vincendo una borsa di studio, il più prestigioso titolo accademico americano: un dottorato quinquennale in biochimica in una delle più prestigiose università degli Stati Uniti. Ha lavorato come TEAM LEADER in una media industria farmaceutica in Inghilterra. Ora, giovanissima, è in Svizzera come ASSOCIATED DIRECTOR nel mega laboratorio della terza industria farmaceutica mondiale. Ha uno stipendio da favola.

Se fossi rimasto operaio, o giù di lì, tutto questo non avrebbero potuto averlo. Sarebbero state ragazze che avrebbero dovuto arrabattarsi per raggiungere una striminzita laurea. Una mia cognata insisteva perché io facessi questo.

Ma io ero cosciente di avere una capacità di apprendimento fenomenale e feci quello che mi sentivo di fare. Mi iscrissi ad una scuola per corrispondenza. La RADIO ELECTRA di Torino. L’obiettivo era il diploma magistrale. Alcune materie mi incutevano timore. La filosofia per esempio. Pensavo di non farcela. Allora chiesi al cappellano della caserma se poteva darmi una mano.

Si dimostrò disponibile. La sua presenza servì solo a darmi la consapevolezza che non c’erano ostacoli che non potessi superare. Infatti, egli si limitava a farmi leggere le dispense della Electra ad alta voce. Di tanto in tanto mi chiedeva se avevo capito quanto letto e se ero in grado di spiegarglielo. Cosa che facevo senza alcuna difficoltà.

Questo mi fece rendere conto che sbagliavo strada. Io avevo bisogno di uno che desse sistematicità al mio studio. Che mi guidasse ad utilizzare sistematicamente e coerentemente tutte le conoscenze che avevo acquisito nei miei anni e anni di “letture”. Agli esami avrei dovuto portare un programma di otto anni. E avrei dovuto studiarlo in un solo anno. Insomma, avevo bisogno di proff. veri. L’Electra era un capitolo chiuso.

CONTINUA

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