giovedì 11 dicembre 2008

LA CRISI DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA

I fatti delle procure di Salerno e Catanzaro, due procure che si combattono per affermare la propria supremazia, è stato uno spettacolo che merita una profonda riflessione sulla giustizia in Italia.

L'esperienza storica italiana degli ultimi decenni ha dimostrato che l'indipendenza e l'autonomia della Magistratura non sono messe in pericolo dall'esterno, cioè dagli altri organi dello Stato e dal Governo in particolare.

Ormai negli Stati democratici moderni è profondamente radicato il concetto della separazione dei poteri, che è a fondamento e a garanzia del potere democratico.

L'indipendenza e l'autonomia della magistratura sono messe in pericolo dall'interno della magistratura stessa, e cioè dalla politicizzazione e dal PROTAGONISMO dei singoli magistrati e delle singole procure.

Amministrare la giustizia significa garantire la certezza del diritto. E questa si garantisce solo quando il magistrato, oltre ad essere indipendente e autonomo, riesce a non travalicare i poteri assegnati alla sua funzione. La giustizia come potere non è giustizia: è la prevaricazione di un potere che persegue fini di diversa natura: politici, sociali, economici, ideologici, di affermazione del proprio ego, ecc.

Nel passato questa giustizia come potere era istituzionalizzata ed era esercitata a favore della classe egemone detentrice del potere politico. Il proprietario di Adam Smith, nel Settecento, poteva dormire i suoi sonni tranquillo solo se c'era una magistratura che salvaguardava il suo diritto di proprietà dalla classe operaia sfruttata ed affamata.

Oggi, l'evoluzione del diritto ha fatto giustizia di questa concezione. La giustizia non è di parte. Non è, e non dovrebbe essere, un potere. Ma è, e dovrebbe essere, un servizio reso al cittadino. Per questo la nostra Costituzione postula l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3) e alla magistratura è stato affidato il compito di garantire questa uguaglianza.

Per questo al singolo magistrato, oltre all'indipendenza e all'autonomia, è stata data tutta una serie di garanzie che lo metteno al riparo da qualsiasi influenza che non sia la sua coscienza.

È reclutato per concorso, è inamovibile, si distingue solo per le sue funzioni e l'azione disciplinare contro di lui è esercitata da un organo di autogoverno (il C.S.M.).

Ma tutto questo non si è dimostrato sufficiente per garantire al cittadino la certezza del diritto e l'imparzialità del giudice. Spesso il singolo magistrato porta con sé sullo scranno le sue passioni politiche e le sue ESIGENZE DI METTERSI IN MOSTRA (protagonismo) che lo fanno allontanare da quell'esigenza di equilibrio e di prudenza indispensabili nella sua funzione.

Quando il giudice è sensibile alle motivazioni del potere, che possono assumere diverse sfaccettature: sensibilità alla politica, intesa come adesione ideologica ad un partito (pratica piuttosto diffusa), alla lusinga della ricchezza, intesa come esigenza di vivere al di sopra dei propri mezzi, e del potere, vissuto "COME DELIRIO DI ONNIPOTENZA” (molto diffuso tra i pretori, per cui si è parlato di "pretori d'assalto"), la giustizia è in crisi e la magistratura nella sua interezza (anche se i guasti sono opera di una minoranza) perde di credibilità e con essa perde di credibilità anche lo Stato se non interviene con una riforma che elimini i guasti.

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