giovedì 15 settembre 2011

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (19)

L’ANTROPOLOGIA CULTURALE (1)

L'antropologia culturale è l'ultima arrivata nel campo della spiegazione storica a livello di civiltà o storia universale. E la sua baldanza è pari alla sua presunzione. Essa sostiene che nello studio delle società semplici, suo tradizionale campo di studio, " ha sviluppato una serie di concetti e di metodi che, con opportune modifiche e rifiniture, possono essere usati per studiare quelle società più complesse, il cui sviluppo costituisce la materia di ciò che chiamiamo storia " ( Bagby, 1958: 7 ). Ma questo non basta. L'antropologia, poichè si deve occupare di tutte le culture esistenti nel mondo, ha sviluppato alcune generalizzazioni che devono essere valide sia per la più piccola cultura come per la più complessa. In altri termini, devono avere una validità universale. " Per questa ragione, una futura scienza della storia deve, in un primo momento, contare molto sull'antropologia, sia per i concetti che per i metodi... Lo standard attuale degli antropologi ( e degli altri scienziati sociali ) sembra tanto superiore ai ragionamenti spiccioli degli storici quanto essi sono inferiori alla precisazione matematica degli scienziati della natura. Nonostante i suoi difetti, l'antropologia è già matura abbastanza per servire come guida a coloro i quali vogliono avere una comprensione razionale della storia " ( Bagby: 20 ).

Per gli antropologi, Spengler, Toynbee, ecc., la storia non l'hanno capita. Le civiltà non si sono sviluppate secondo " un ciclo uniforme di nascita e morte, come sostenne Spengler, ma si sono sviluppate attraverso un ritmo pulsazionale, con vertici ) di crescita che tendono a raggrupparsi nel corso di periodi relativamente brevi nella vita di una civiltà " ( Kroeber, 1944: 762 ). Le civiltà non sono ventuno, come sostiene Toynbee: sono nove primarie ed hanno attorno a loro una serie di civilizzazioni secondarie o periferiche, le quali, pur avendo subito l'influenza delle civiltà primarie, hanno conservato le loro istituzioni fondamentali. Nel presente, comunque, tutte le civiltà stanno divenendo secondarie rispetto a quella Occidentale.

" Nè Spengler, nè Toynbee sono riusciti a vedere che sei delle civiltà primarie costituiscono delle coppie, che sono vicine nello spazio e quasi contemporanee nel tempo. Esse sono l'Egiziana e la Babilonese, la cinese e l'indiana, la peruviana e la Centroamericana. Queste coppie, inoltre, presentano delle similarità non tanto nella cultura quanto nel carattere generale e nel livello di sviluppo. Quest'ordine, che potrebbe essere chiamato il gemellaggio delle civiltà, non è stato notato dai filosofi della storia " ( Bagby: 169 ).

La civiltà classica e quella Occidentale hanno avuto uno sviluppo parallelo. Entrambe iniziarono la loro storia con l'invasione di popolazioni barbariche ( ionici e achei nella classica, teutonici nell'Occidente ). Queste popolazioni adottarono ( in larga misura ) gli usi ed i costumi delle civiltà esistenti e fondarono delle monarchie più o meno centralizzate ( Impero carolingio e regno Miceneo ). Poi si ricominciarono a sviluppare le città nelle zone confinanti con civiltà più antiche. " L'Italia nel primo caso e la Ionia nell'altro " ( Bagby: 206 ). In Entrambe, la cultura si estende a nuovi campi e le prime forme di espressione sono imitazioni di quelle più antiche ( classiche in Occidente, orientali nella classica ). Si passa da un'età della fede, pensiero irrazionale, ad un'età della ragione, " che raggiunge la sua maturità creativa nel XVII secolo in Francia ( l'età di Luigi XIV ) e nel quinto secolo in Atene ( l'età di Pericle ) " ( Bagby: 207 ). Queste due età, che sono comuni a tutte le civiltà primarie, sono seguite dal " secolo di espansione ; ed ora entriamo in quello che Toynbee ha chiamato tempo di crisi e Spengler l'era degli stati contendenti " ( Bagby: 207 ).

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