venerdì 25 dicembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (17)

LA RIGENERAZIONE DELLA MENTE

Nella U.B.C. (University of British Colombia) notai sin dai primissimi giorni la profonda differenza che c’era con la mentalità italiana. Per curiosità, andai ad un dibattito che io ritenevo sciocco. “L’IMPORTANZA CULTURALE DELLA CAFETERIA (mensa universitaria).” Mi sono detto: questi sono “i cazzoni americani”. Ma il dibattito fu una cosa seria.

Nei giorni successivi scoprii che i “cazzoni” eravamo noi italiani. Nella mensa universitaria italiana gli argomenti di discussione a tavola di solito sono o di sesso o di calcio conditi con qualche pettegolezzo. Nella CAFETERIA gli argomenti a tavola, invece, erano sempre di natura culturale: la propria esperienza di studio della giornata. Scambiarsi le proprie opinioni su qualche argomento di interesse. Il sesso non era così ossessionante come da noi.

Iscrivermi all’università non mi interessava. Le mega classi all’italiana non esistevano. Il docente conosceva tutti i suoi studenti sin dal primo giorno. Nessuno rimaneva anonimo fino agli esami, come in Italia. Perciò ho chiesto, ai rispettivi docenti, di essere ospitato nelle loro classi. Una di letteratura inglese. Una di glottologia. Una di inglese parlato e scritto. Una di scienze politiche.

Sono stato accettato alla pari. Da tutti i quattro docenti. Nel senso che non mi considerarono un “uditore” e basta. Mi considerarono un loro alunno di fatto. In tutto. Ed erano anche severi con me se non erano soddisfatti dei miei elaborati. In non partecipavo solo ai compiti per la valutazione ufficiale.

Nella classe di scienze politiche ho scoperto perché ho avuto quelle sensazioni prima di sbarcare dalla nave italiana. Nelle scienze politiche, le navi, gli aerei, sono considerati un’estensione del territorio della nazione di appartenenza anche quando si trovano nelle acque territoriali o spazio aereo di un’altra nazione.

In quella di inglese l’insegnante era una scozzese. Una donna rigida e ferrea, ma con un cuore d’oro. Voleva che io traessi il massimo profitto di quella esperienza. Mi affidò alla sua migliore allieva e le diede il compito di rendermi esperto nelle ricerche di biblioteca.

La loro biblioteca era tecnologicamente all’avanguardia. Era veramente un tempio della cultura. Gli studenti ne facevano un larghissimo uso. Il loro era. soprattutto, un lavoro di ricerca. Sempre. La mia guida mi istruì sulla ricerca bibliografica e su come utilizzare i libri per trovare quello che cercavo senza perdere tempo su quello che non mi interessava.
Ma fece anche di più. Mi istruì sulla vita degli studenti all’interno del CAMPUS. Mi portò a visitare alcuni CLUBS degli studenti. Per me era una cosa incredibile. Avevano dei locali in edifici completamente autonomi ed erano gestiti da propri organi eletti. Allora capii perché loro avevano una MENTALITA’ ASSOCIAZIONISTA DEMOCRATICA che a noi italiani mancava totalmente.

Alla fine mi portò al CLUB INTERNAZIONALE . Era un edificio autonomo fornito, come ogni club, anche di una mini (400 posti) sala polivalente per dibattiti ed altro. Lei era iscritta a quel club e mi propose di iscrivermi anch’io. Cosa che feci volentieri.

E quella divenne la mia casa all’interno dell’università. Nel senso che, nel mio tempo libero, ero sempre lì per incontrare gente ed altro. Con mia grande sorprese, dopo qualche giorno, ho scoperto che il PRESIDENTE dell’ INTERNATIONAL HOUSE, come era chiamato quel club, era il mio professore di scienze politiche.

Ma quell’insegnante scozzese volle darmi una visione completa del CAMPUS. Mi invitò a pranzo nel ristorante di facoltà (ogni facoltà ne aveva uno). Non era il solito ristorante americano. Era un ristorante all’europea con cameriere in giacca bianca che serviva. Volle anche invitarmi ad una rappresentazione teatrale nel teatro del campus. Sì, il campus aveva anche un teatro gestito dagli alunni di ARTE DRAMMATICA.

Non dimenticherò mai quest’insegnante. In classe era durissima con tutti. Anche con me. Voleva che i suoi alunni facessero un salto di qualità nella conoscenza della lingua. Per loro lingua madre. Per me lingua straniera. Lei sosteneva, a ragione, che la lingua è tutto. Chi la conosceva bene, acquisiva una marcia in più nella lotta della vita.

Nella classe di letteratura ho scoperto l’abisso che c’era tra noi e loro. Per loro la letteratura era leggere le opere. Discutere sulle opere. Il docente era interessato a conoscere il giudizio del lettore-studente. La storia della letteratura, come si studiava in Italia, era lontana dalla loro MENTALITA’ PRAGMATICA.

Nel Campus c’era anche un ufficio di collocamento per gli studenti che volevano lavorare durante la chiusura estiva dell’università. Lo fanno tutti gli studenti. Anche i figli di papà. L’ho fatto anch’io. E sul lavoro avvenne la mia rivoluzione mentale. Una rivoluzione totale.

CONTINUA

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