giovedì 14 giugno 2012

FRANCO FELICETTI’S STORY (23)

IL MARE, LA LUNA E NOI

Le tre ragazze erano uno schianto. Un’austriaca di una bellezza unica. Una bambola. Con una carnagione vellutata. Faceva colpo su tutti i maschi della classe turistica. Tutti la corteggiavano. Un prete le stava sempre dietro e lei a stento riusciva a liberarsene. Lei si lamentava, con le altre due ragazze, che c’era un solo uomo che non la corteggiasse nella classe turistica. Ero io. Per me era solo una ICONA, una bellissima icona, che ti lascia freddo.

La seconda, un’italo-americana, sprigionava fuoco da tutte le parti. Una mora di origini siciliane. Veniva in Italia per andarsi a sposare nella terra d’origine dei suoi genitori. A queste donne piene di fuoco non si può chiedere la fedeltà. E lei diede l’addio al nubilato con tanti trofei da portare in dono al suo ignaro futuro consorte.

La terza era una tedesca di pura razza teutonica. Longilinea, di un biondo rossiccio, ma non eclatante nella sua bellezza come l’austriaca. Ma fortemente positiva ed equilibrata. Io ero imbarazzato. Il mio tempo libero sulla nave era limitato. Dovevo studiare perché dovevo darmi sette esami prima di ripartire per Parigi, come avevo programmato.

Un esame l’avevo proprio il giorno dell’attracco a Napoli. Tra il dovere verso me stesso e il divertimento non avevo scelta. Il dovere veniva prima. Avevo studiato durante tutto il mio girovagare per l’America e dovevo continuare a farlo ora che gli esami erano vicinissimi.

È vero che ero organizzatissimo. Avevo registrato il mio studio sui singoli esami perché sapevo che durante il viaggio non avrei avuto la concentrazione per studiare. Ma ero sicuro che la stanchezza non mi avrebbe impedito la ripetizione ascoltando i nastri.

La cosa aveva funzionato benissimo fino a quel punto. Mi ero trascinato dietro, per tutta l’America, quel registratore, uno dei primissimi che erano usciti. Era in legno, grande quanto una valigia di media dimensione (7/8 kg). Nulla a che vedere con i registratori miniaturizzati di oggi. La mia decisione la dico in tedesco: gli esami UBER ALL.

L’ho detto alla tedesca perché la mia scelta cadde su di lei. L’unica che avrebbe potuto capirmi. Infatti, era l’unica delle tre che non avesse grilli per la testa. Nel mio tempo limitato le feci fare un’esperienza stupenda. Di sesso niente. Per tacita decisione di entrambi. Eravamo amici e basta.

Due notti prima dell’arrivo a Napoli, mi prese per mano e mi intimò di non parlare. Mi portò sull’estrema punta della prua della nave (off limits per i passeggeri), che navigava lungo la scia luminosa della luna. Lei aveva deciso di suggellare la nostra amicizia, casta e pura fino a quel momento, con un’esperienza che non capita a tutti nella vita. Il mare, la luna e noi. In un misto di poesia e passione, ci amammo intensamente. Ecco perché non ho visto nulla di eccezionale nella scena di Di Caprio e la sua donna nel film Titanic. Quella situazione io l’avevo vissuta, grazie ad una ragazza tedesca che aveva deciso che io ero degno del suo amore.

CONTINUA
www.franco-felicetti.it

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