domenica 26 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (90): I GRECI INTRODUCONO L’UOMO-INDIVIDUO

I greci avevano inventato gli strumenti del pensiero razionale. Lentamente, e nei secoli, avevano inventato il concetto di ordine, di definizione, di generalizzazione, di classificazione, di descrizione, di associazione, di relazione, di causa, la logica, il sillogismo e la dialettica. E, con questi strumenti, mossero alla conquista della conoscenza, di cui non furono gli inventori. La conoscenza, infatti, è nata con l'uomo ( Reichenbach, 1974: 17 ), ma, fino ai greci, egli non ebbe mai coscienza di essere un soggetto che conosce. L'uomo primitivo, quello delle civiltà mesopotamiche e quello della civiltà egiziana, pur avendo accumulato, nei millenni, un'enorme massa di conoscenze, hanno sempre creduto che la conoscenza fosse un dono divino e non un affare dell'uomo. L'uomo era lo strumento del quale il dio si serviva per dare all'umanità una nuova tecnica o un nuovo metodo e nulla di più. Solo con i greci del V secolo a.C. l'uomo prende piena coscienza che la conoscenza è un'attività umana e non divina. E, con questa nuova consapevolezza, l'uomo greco si diede ad indagare sulle cose del mondo con i metodi che erano congeniali alla sua stirpe: il dialogo e la discussione, che stanno alla base del pensiero speculativo. Dapprincipio questa febbrile attività di ricerca fu indirizzata, con i filosofi delle città ioniche del VI secolo a.C., verso i problemi del mondo fisico per dare una risposta diversa alle domande di sempre, cioè alle stesse domande che si erano poste tutte le civiltà precedenti: chi siamo, da dove veniamo e dove siamo diretti. Il mistero dell'esistenza e del mondo fisico ha sempre affascinato l'uomo, sin dal suo sorgere, ed egli ha sempre cercato di darsene una spiegazione con gli strumenti intellettuali che possedeva. Fino ai greci, quando ancora gli strumenti intellettuali erano ai primi livelli, questa spiegazione fu basata sul mito, espresso primo in forma rozza e poi via via in una forma sempre più elaborata man mano che i livelli di struttura mentale passavano da quello sensomotorio dell'uomo primitivo a quello simbolico-transduttivo delle civiltà mesopotamiche ed egiziana. Il mito è stata la massima espressione intellettuale delle civiltà dell'Antico Oriente: la fonte regolatrice di tutti i rapporti: da quello istituzionale a quello sociale. L'uomo, in queste società, è una creatura degli dei, da cui ha ricevuto tutto e a cui deve tutto, compreso la vita, che non gli appartiene. I greci rappresentano un punto di svolta nel pensiero dell'uomo. Con essi scompare l'uomo-massa delle antiche civiltà e viene alla ribalta l'uomo-individuo, padrone dei propri destini e dotato di una curiosità intellettuale sconosciuta prima di lui: la ricerca della conoscenza fine a se stessa; cioè, la conoscenza per amore della conoscenza e non per trarne un utile immediato o futuro. E' da questo momento che nasce il pensiero speculativo, il pensiero che va alla ricerca del perchè delle cose e non del come esse avvengono. E questo spostamento dal come al perchè rappresenta una rivoluzione che ha cambiato i destini dell'uomo. CONTINUA www.franco-felicetti.it

martedì 21 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (89):L’EREDITA’ DELLA GRECIA CLASSICA

I greci non possedevano la capacità dell'astrazione formale, nè la possedettero altri popoli prima del XVII secolo. Per maturarla c'era bisogno di acquisire l'esperienza del medioevo cristiano e del mondo mussulmano. Solo in senso lato si può affermare che i moderni ripresero il cammino là dove lo avevano lasciato i greci. Come solo in senso lato si può affermare che i greci ripresero il cammino là dove lo avevano lasciato le antiche civiltà. Può essere vero alla lettera, ma non nella sostanza. I creatori di un nuovo paradigma sono portatori di un altro atteggiamento mentale e, soprattutto , sono liberi dal condizionamento del paradigma esistente. L'uomo del XVII secolo, quello che maturò il pensiero formale, era portatore di un'altra psicologia, di un'altra maturità che gli fecero vedere cose che i greci non videro (perchè non potevano), che gli fecero trarre delle conclusioni che i greci non trassero (perchè non ne possedevano i mezzi), che gli fecero arguire nuove possibilità che i greci non arguirono (perchè era al di là delle loro possibilità). Questa è la vera causa del loro fallimento. La porta del mondo moderno poteva essere aperta solo dai moderni. E per essere moderni bisognava acquisire prima le conoscenze e le esperienze del mondo medievale cristiano e del mondo mussulmano. La civiltà greca fu produttrice di conoscenze e di progresso nel campo intellettuale. Le conoscenze erano frutto della risoluzione di problemi che riguardavano l'uomo e , spesso, le soluzioni erano geniali. Nulla di più. Si può dire che l'uomo greco era nello stadio della verità scoperta, ma non aveva ancora la maturità di pensiero per raggiungere lo stadio della verità costruita. Cioè, in altri termini, egli poteva scoprire verità, ma non era in grado di programmare la loro costruzione. Non aveva un metodo per produrle. Non aveva il metodo scientifico del mondo moderno che fu il vero artefice del fall out tecnologico, che ha reso la nostra società capace di un progresso ininterrotto. La Grecia, come le grandi civiltà che l'hanno preceduta, era rimasta vittima del paradigma culturale raggiunto. La sua grande capacità assimilativa e la sua grande potenza creatrice avevano raggiunto il loro climax nel IV secolo, dopo l'organizzazione sociale si irrigidì e divenne ripetitiva e sparirono sia le capacità assimilative che la potenza creatrice e si consumava quello che si era prodotto nel passato senza nulla aggiungervi. E' come se le energie che avevano prodotto quella crescita si fossero interamente prosciugate e al loro posto fosse rimasto un vuoto orgoglio per l'alto grado di civiltà raggiunto. La crisi si palesò con il decrescere lento, in un primo momento, dell'accrescimento di nuovi elementi, interni ed esterni. Quando l'accrescimento di nuovi elementi sparì del tutto si entrò in un lungo periodo di stagnazione. Si consumavano le glorie del passato. A partire dal III secolo a.C., i greci entrarono in un lungo periodo di stagnazione. "Un osservatore del III secolo a.C. sarebbe rimasto sorpreso nell'apprendere che la civiltà greca stava entrando... in un lunghissimo periodo di decadenza intellettuale che doveva durare, con qualche sussulto e con qualche brillante uomo di retroguardia, fino alla presa di Bisanzio da parte dei Turchi" (Dodds, 1978: 244). Essi avevano prodotto un nuovo paradigma culturale, che era qualcosa di sconosciuto per il mondo antico, ma, finita l'attività creatrice, terminò con essa anche la tensione ideale che quella aveva prodotta e che è la sola che può condurre a nuovi risultati. "Ciò che era accaduto nella grande epoca della Grecia, [accadrà] di nuovo nell'Italia del Rinascimento... La liberazione dalle catene rese gli individui energici e creativi, producendo una rara fioritura di geni, ma l'anarchia... [rese] gli italiani collettivamente impotenti, ed essi caddero, come i greci, sotto il dominio di nazioni meno civili, ma non così privi di coesione sociale. "Il risultato fu però meno disastroso che nel caso della Grecia, perchè le nazioni divenute ora potenti, ad eccezione della Spagna, si dimostrarono altrettanto capaci degli italiani di insigni conquiste" (Russel, 1966, I: 17). Le conquiste dei greci non furono suscettibili di ulteriore sviluppo nell'immediato perchè lo stato, che si sostituì alla civiltà greca come organizzazione politica, aveva altri interessi e stava sviluppando un altro aspetto della personalità dell'uomo: quello pragmatico. E tutte e due queste civiltà rimasero vittime dell'andamento ciclico della storia e furono sopraffatte da altri popoli che non avevano ancora raggiunto la maturità di pensiero necessaria affinchè si verificasse l'effetto cumulativo. Il Rinascimento, invece, fu prolifico perchè le altre nazioni che stavano ai suoi confini erano intellettualmente in grado di recepire, assimilare, le sue conquiste e spingerle oltre. E questo si può spiegare con le condizioni generali dell'umanità nelle due epoche. La seconda, quella rinascimentale, era, la punta avanzata di un rinnovamento intellettuale generalizzato che interessava tutti gli stati del mondo europeo. La prima, quella greca, era, invece, inserita in un contesto mondiale fatto di popoli barbari, tranne uno, quello romano, che, però, nonostante fosse più efficiente nell'organizzazione politica e statuale, non era interessato all'attività speculativa. Nel campo delle scienze e della filosofia, infatti, il mondo romano non raggiunse mai il livello di struttura mentale dei greci. Esso non era un popolo di intellettuali. La conoscenza che lo attirava era quella "della scienza applicata e aveva poca pazienza per la teoria" (Africa, 1968: 68). Il romano era interessato a risolvere i problemi pratici dell'organizzazione sociale: costruire ponti, acquedotti, strade, bagni, amministrare la giustizia, organizzare un esercito, ecc. La cultura, fine a se stessa, era lontana dai suoi orizzonti mentali. Eppure, l'impero romano avrebbe potuto costituire "un serbatoio unico per la messa in comune dell'esperienza umana... "Nell'ordinamento scientifico della gran massa di nozioni rese così disponibili, non venne fatto nessun progresso. Non fu avanzata alcun ipotesi creatrice originale per ridurre ad un ordine un certo numero di fatti dispersi. Da tutti i dati accumulati non fu suggerita una sola invenzione importante. Nonostante l'esistenza di una grande classe agiata di uomini istruiti e anche colti, la Roma imperiale non diede contributi significativi alla scienza pura. Ricchi dilettanti, come Seneca e Plinio, con l'aiuto di un esercito di segretari greci, compilarono enciclopedie di scienza naturale. Sebbene un buon numero di osservazioni vere e nuove vi erano registrate, la loro disposizione è chiaramente asistematica, e il giudizio critico di Aristotele chiaramente assente. Per quanto Plinio respinga a parole la magia, la sua credulità è deplorevole " (Childe, 1949: 287-88). CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 17 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (88): I GRECI RIMASERO AL DI QUA DEL PENSIERO ASTRATTO FORMALE

Dopo aver acquisito il primo livello di struttura mentale (pensiero simbolico-transduttivo delle prima civiltà) attraverso l'organizzazione sociale e il sistema formativo-educativo, come era da loro concepito (Marrou, 1956: 39-40), i greci raggiunsero il secondo (pensiero operatorio concreto) e vi rimasero fermi fino alla maturità, per cui furono in grado di produrre teorie e sistemi. Ma il paradigma culturale non fu prodotto dai massimi pensatori dell'epoca: Socrate, Platone, Aristotele. esso fu prodotto dai loro predecessori, elemento dopo elemento (Lloyd,1981: 257 ). Essi furono i suoi sistematizzatori (Wiener-Noland, 1957: 19) ed ordinatori, e rappresentano il punto più alto della parabola del paradigma. "Per la fine del III secolo a.C. l'età eroica della scienza greca era finita. Da Platone ed Aristotele in poi, le scienze incominciarono a cadere in disgrazia e in una lunga decadenza e le conquiste dei greci furono riscoperte solo un millennio più tardi. “L'avventura Prometeica, che era iniziata intorno al 600 a,C., aveva esaurito il ciclo di vita nello spazio di tre secoli: e fu seguito da un periodo di ibernazione che durò tre volte tanto" (Koestler, 1959: 22). Come livello di struttura mentale, i greci arrivarono alle soglie del mondo moderno. "Da Aristarco a Copernico non c'è, come logica, che un passo; da Ippocrate a Paracelso non c'è che un passo; da Archimede a Galileo non c'è che un passo" (Koestler, 1959: 22). Essi avevano tutte le conoscenze per varcare questa soglia, ma non ne furono mai capaci e non potevano esserlo. Anche loro erano soggetti alla ferrea legge dei livelli di struttura mentale, secondo la quale nessun popolo, nessuna civiltà maturò più di un livello in via filogenetica. In via ontogenetica, invece, ne maturava tanti quanti ne erano stati prodotti filogeneticamente. I greci maturarono il secondo livello e vi rimasero fermi. Secondo alcuni (Farrington, 1982: 163-65), essi non varcarono la soglia del mondo moderno non perchè mancassero di talenti individuali, ma per l'organizzazione che si era data la società, divisa tra liberi e schiavi. Ai primi era riservato il diletto del pensiero fine a se stesso (al solo scopo di promuovere la propria formazione personale), ai secondi era riservato il lavoro manuale. Il primo rendeva l'individuo superiore, il secondo lo abbrutiva. E tra le due classi una netta separazione. Tra le due sfere non c'era e non ci poteva essere alcuna comunicazione, nè interscambio di idee ed esperienze. Il fallimento della scienza greca è dovuta proprio alla incapacità della società a superare questa contraddizione. Questa, come altre, sono spiegazioni che rimangono alla superficie del problema, senza affrontarlo nella sua vera natura. Ogni società si dà l'organizzazione sociale che ha maturato all'interno del suo paradigma culturale. I greci, nè individualmente, nè collettivamente, possedevano i mezzi per spingersi oltre la soglia del mondo moderno. Essi non possedevano la maturità di pensiero, il grado di intelligenza per andare oltre. Per farlo, essi avrebbero dovuto sviluppare l'intelligenza astratta formale e cioè l'intelligenza che non si limita ad astrarre dalla realtà (o astrazione semplice, capacità che essi avevano raggiunto), ma l'intelligenza che supera la realtà concreta per trasferirsi su un altro piano, in cui il reale è solo il punto di partenza per elaborare concetti che lo travalicano e lo inglobano nello stesso tempo. Ai greci, per esempio,"l'astrazione di uno Stato, che è essenziale per il nostro modo di intendere, era loro sconosciuta, mentre il loro fine era la patria vivente: questa Atena, questa Sparta, questi templi, questi altari, questa maniera di vivere, questa cittadinanza, questi costumi e queste consuetudini" (Hegel, 1956: 245, il grassetto è nostro ). CONTINUA www.franco-felicetti.it

lunedì 13 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (87):L’INTUIZIONE COME CONOSCENZA

Fino ai tempi di Euclide non si prese coscienza della differenza tra conoscenza oggettiva e soggettiva. Pitagora, Aristotele ed Euclide credevano che il prodotto della loro speculazione fosse una realtà oggettiva e non soggettiva. Il primo credeva che i numeri fossero una realtà del mondo reale e non un prodotto della sua mente (Singer, 1961: 32), il secondo credeva che la gerarchia della logica delle classi fosse insita nell'universo e non un prodotto del suo pensiero. In Grecia non esiste un soggetto che conosce (soggetto epistemologico), cioè un soggetto che sia cosciente che quello che produce sia farina del suo sacco (Piaget). L'uomo greco crede sempre che quello che escogita sia realmente esistente nella realtà e non che sia la sua mente a dare ordine alla realtà esterna. Il mondo delle idee di Platone è, per lui, una realtà oggettiva e non un prodotto del suo pensiero che serviva per spiegare la realtà. Le intuizioni dei greci non sono ipotesi. Le ipotesi, come le intendiamo nel senso moderno, sono delle congetture che prendono in considerazione il dato reale osservato (e quindi certo) e il dato possibile, cioè di come un dato fenomeno dovrebbe accadere o come una cosa dovrebbe funzionare in base ai suggerimenti che lo scienziato ha tratto dal dato certo. "Di regola, la costruzione delle ipotesi è la parte più difficile del lavoro dello scienziato, e anche la parte per cui è indispensabile una grande abilità" (Russel, 1974, III: 714-15). Ma l'ipotesi (che non è una verità certa, ma possibile) va verificata sperimentalmente. I greci, non solo non possedevano questa capacità di astrarre delle supposizioni o congetture dal dato reale osservato, ma non si posero mai il problema di una verifica sperimentale. Essi potevano operare, con le capacità che avevano maturato, sul dato concreto per fornire una dimostrazione logica, e questo fecero. Il metodo sperimentale era lontano dalla loro portata e non lo raggiungeranno mai. L'ipotesi greca è "un postulato che si deve accettare per poter discutere; letteralmente significa dunque 'fondamento'" (Singer, 1961: 271). Essi ebbero delle intuizioni geniali (Sambursky, 1963: 244), che avrebbero costituito le basi di tutto il sapere umano. L'intuizione atomica di Democrito (la materia è costituita da particelle infinitesime dette atomi). L'intuizione di Aristarco sul sistema solare (è la terra che gira intorno al sole e non il contrario). L'intuizione di Eratostene sulle maree (tra il moto apparente della luna e le maree vi era una relazione). L'intuizione della scuola medica di Ippocrate di Coo (il cervello è la sede in cui si forma il pensiero), ecc. Ma, per dimostrare che quelle intuizioni erano vere, in senso scientifico e non logico, l'uomo ha dovuto percorrere tutto il cammino dell'evoluzione della mente umana nei suoi livelli di struttura mentale per raggiungere, dopo 2000 anni, il porto del pensiero scientifico moderno, o pensiero operatorio formale, che si raggiunge solo nel XVII secolo della nostra era con il metodo ipotetico-deduttivo. Bisogna, però, stare attenti a non confondere le cose. I greci partirono dal metodo intuitivo-deduttivo, che era il superamento del pensiero simbolico-transduttivo delle prime civiltà e di quello intuitivo dei presocratici. Nel medioevo e nel primo Rinascimento si scoprirà il metodo induttivo-ampliativo, che era il superamento di quello intuitivo-deduttivo dei greci. Nell'epoca moderna, il distacco dalla realtà, a cui i greci erano legati, avviene tramite il metodo ipotetico-deduttivo, che programma la scoperta della verità attraverso un atto intuitivo (su cui si fonda l'ipotesi), ma che è ben lontano dalla intuizione dei greci, in quanto esso non si basa sull'induzione semplice o sommativa (greci), da cui intuitivamente si generalizza, ma proviene dalla capacità di correlare più punti di vista o conoscenze o informazioni o fatti osservati o dati raccolti che rendono plausibile l'ipotesi stessa. La teoria della conoscenza di Aristotele è fondata sul doppio principio della intuizione-deduzione. L'induzione*. attraverso i sensi (è il solo momento di contatto con la realtà fisica), è utile per acquisire quegli elementi che servono a far scattare l'intuizione. La conoscenza, quindi, è un atto dell'intelligenza che vede chiaramente i principi contenuti nell'esperienza pratica (induzione). La conoscenza, insomma, per Aristotele è assiomatica. I filosofi greci, tra cui Aristotele e Platone, non diedero alcuna spiegazione scientifica della realtà, ma elaborarono un metodo analogico dove la spiegazione veniva inferita piuttosto che analizzata (Reichenbach, 1974: 23-24). Questi filosofi davano delle spiegazioni che erano basate sulla logica del ragionamento e sulla osservazione superficiale dei fenomeni naturali, da qui la necessità del metodo analogico. CONTINUA www.franco-felicetti.it

venerdì 10 maggio 2013

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (86):IL LIMITE DEL PENSIERO GRECO

La Grecia era arrivata, superando le civiltà dell'Antico Oriente, alla generalizzazione e alla logica, ma non seppe arrivare al concetto di legge fisica della natura. La natura rimaneva ancora animata e cosciente. L'uomo greco non poteva conoscerla. Solo il suo creatore poteva farlo. L'uomo poteva conoscere solo ciò che egli stesso aveva creato. La natura era più forte di lui e le doveva obbedienza (Vernant, 1982: 339 ). Nella spiegazione del mondo fisico, i greci non andarono oltre l'intuizione corredata dalla generalizzazione. E questo modo di vedere le cose rimase in auge per più di duemila anni, sotto la torreggiante autorità di Aristotele. Questa concezione, che non era basata sull'osservazione dei fenomeni, ma solo sull'intuizione che di essi se ne aveva e sulla generalizzazione razionale, sarà superata solo nel secondo Rinascimento (Einstein-Infeld, 1965:19). Essi (Platone, ecc.) sostenevano che la vera conoscenza era un atto della ragione (per questo essi sono chiamati razionalisti), ecco perchè era privilegiata la conoscenza matematica, che, attraverso postulati o assiomi fissati intuitivamente, consentiva, attraverso la deduzione, di raggiungere la verità o conoscenza (Reichenbach, 1974: 43). Per i greci, comunque, i dati dell'esperienza sensibile servivano per fornire, induttivamente, materia all'intuizione. Il processo si svolgeva in quattro momenti: induzione ---> intuizione ---> assioma ---> deduzione. La ragione, quindi, era la sola fonte di conoscenza. "Per Platone, la scienza che trattava con il mondo dei sensi non era scienza, ma era un plausibile mito" (Cornford, 1926: 578). Maturati gli elementi del pensiero razionale, i greci si diedero ad indagare (nel V secolo) sui problemi dell'uomo attraverso un rigoroso processo logico. Attraverso l'induzione semplice essi intuivano una verità (postulato, assioma), che essi ritenevano indimostrabile perchè evidente per se stessa (Platone) e da questa partivano, attraverso il processo del metodo deduttivo, di cui Platone fu il sistematizzatore, alla conquista di altre verità consequenziali ed incontrovertibili(corollari). Non importava se l'intuizione era vera o falsa. Il rigore del processo deduttivo faceva sempre arrivare a conclusioni che erano valide (per quell'impostazione) e concordi con la premessa. Questo era il loro limite: la verità oggettiva era irraggiungibile. La verità era soggettiva, anche se essi non ne presero mai consapevolezza. CONTINUA www.franco-felicetti.it