martedì 26 giugno 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (60)

L’UOMO INVENTA I PRIMI SAPERI, MA NON NE HA COSCIENZA

Queste civiltà inventarono l'aritmetica (il far di conto) e la geometria. La prima facilitava "il computo del calendario, l'amministrazione del raccolto, l'organizzazione dei lavori pubblici e la riscossione delle tasse " (Struik, 1981:53); la seconda consentiva la misurazione dei terreni.

Ma queste non possono essere assolutamente confuse con il concetto che noi oggi abbiamo di queste due branche della matematica; cioè, di leggi a priori espresse nelle tavole matematiche con formule generali.

Quella che, dai greci in poi, chiamiamo aritmetica erano in realtà singole operazioni su singoli casi. E così anche per la geometria. "I babilonesi del periodo 2200-2000 sapevano come misurare l'area dei rettangoli e dei triangoli isosceli e rettangoli.

“Essi avevano una certa conoscenza del teorema di Pitagora ed erano coscienti che l'angolo inserito in una semicirconferenza è un angolo retto. Essi sapevano misurare il volume di un parallelopipedo rettangolo, di un cilindro circolare rettangolo, della base di un cono o di una piramide quadrata" (Sarton, 1953: 73).

Ma a queste conquiste essi non ci arrivarono attraverso un ragionamento logico-deduttivo, come faranno i greci, ma ci arrivarono attraverso un'attività pratica sequenziale, nel senso che un'operazione seguiva l'altra, la quale - svolgendosi su sequenze causali - conducevano alle stesse conclusioni di una deduzione logica, ma non lo era.

Esse non maturarono mai struttura mentale necessaria per scoprire, come faranno i greci più tardi, che le "proposizioni della geometria sono interrelate; cioè a dire, date certe proposizioni, si può provare che certe altre sono la logica conseguenza delle prime.

Questo suggerisce la possibilità di ordinare tutte le proposizioni in una tale sequenza che ogni proposizione nell'ordine, dopo un certo punto, è la logica conseguenza di alcune o di tutte le proposizioni che la precedono" (Britannica,1962, X: 178).

Ma il concetto di relazione e di ordine era al di fuori della portata di queste civiltà. L'unica cosa che esse sapevano dire di un'operazione era che "avevano fatto questo e poi quello" (Rey, 1942, I: 138-40).

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lunedì 18 giugno 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (59)

L’UOMO DELL’ANTICO ORIENTE E’ COME UN BAMBINO DI 7/8 ANNI DI OGGI: PRE-LOGICO O PRE-OPERATIVO

Le civiltà dell'Antico oriente non andarono mai oltre il livello pre-logico o pre-operativo; anzi, esse rimasero al di qua di questa soglia in qualsiasi branca del sapere.

Saperi di cui esse stesse avevano posto le basi e che avevano sviluppato secondo le proprie capacità e possibilità. Queste civiltà possedevano la capacità di accumulare conoscenze, ma non erano in grado di riflettere su di esse e, quindi, di organizzarle razionalmente per costruire sistemi.

Esse pensavano problema per problema. Esse erano, in senso filogenetico, allo stadio ontogenetico del bambino moderno che "non edifica sistemi: ne ha di inconsci e di preconsci, e in tal caso non sono formulabili nè formulati, e soltanto l'osservatore esterno può individuarli; mentre egli non ' riflette ' mai su di essi.
“In altre parole, pensa concretamente, problema per problema, man mano che la realtà gliene propone, e non collega mai le proprie soluzioni a teorie generali che manifesterebbero i principi" (Piaget, 1967: 69).

Nell'esperienza storica di queste civiltà "vi sono indubbiamente sia calcoli astronomici e matematici, sia diagnosi e ricette mediche: val le pena domandarci se nel formulare quelli e queste, gli uomini furono o meno coscienti di fare scienza?

“Ne fecero, in ogni caso, anche se non la teorizzarono come tale. Si dirà piuttosto che appunto di questa teoria furono privi: esiste il pensiero, ma non la riflessione sul pensiero. Per questo dovremo attender la Grecia " (Moscati, 1978: 303).

In tutti i campi, esse non seppero andare al di là della necessità immediata e contingente. La finalità ultima per loro era la risoluzione del problema quotidiano e non la riflessione su quanto avevano fatto o realizzato.
Esse erano soddisfatte nel sapere che una nuova tecnica "serviva a..." e non andarono alla ricerca del perchè di essa. La nuova struttura economica e sociale, che esse avevano inventato e creato dal nulla, richiedeva conoscenze che consentissero loro di tenere conto, in qualche modo, di tutte le attività produttive, che si svolgevano nella vita quotidiana, e di tutta la problematica dei rapporti interpersonali nell'ambito della struttura sociale.

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giovedì 14 giugno 2012

FRANCO FELICETTI’S STORY (23)

IL MARE, LA LUNA E NOI

Le tre ragazze erano uno schianto. Un’austriaca di una bellezza unica. Una bambola. Con una carnagione vellutata. Faceva colpo su tutti i maschi della classe turistica. Tutti la corteggiavano. Un prete le stava sempre dietro e lei a stento riusciva a liberarsene. Lei si lamentava, con le altre due ragazze, che c’era un solo uomo che non la corteggiasse nella classe turistica. Ero io. Per me era solo una ICONA, una bellissima icona, che ti lascia freddo.

La seconda, un’italo-americana, sprigionava fuoco da tutte le parti. Una mora di origini siciliane. Veniva in Italia per andarsi a sposare nella terra d’origine dei suoi genitori. A queste donne piene di fuoco non si può chiedere la fedeltà. E lei diede l’addio al nubilato con tanti trofei da portare in dono al suo ignaro futuro consorte.

La terza era una tedesca di pura razza teutonica. Longilinea, di un biondo rossiccio, ma non eclatante nella sua bellezza come l’austriaca. Ma fortemente positiva ed equilibrata. Io ero imbarazzato. Il mio tempo libero sulla nave era limitato. Dovevo studiare perché dovevo darmi sette esami prima di ripartire per Parigi, come avevo programmato.

Un esame l’avevo proprio il giorno dell’attracco a Napoli. Tra il dovere verso me stesso e il divertimento non avevo scelta. Il dovere veniva prima. Avevo studiato durante tutto il mio girovagare per l’America e dovevo continuare a farlo ora che gli esami erano vicinissimi.

È vero che ero organizzatissimo. Avevo registrato il mio studio sui singoli esami perché sapevo che durante il viaggio non avrei avuto la concentrazione per studiare. Ma ero sicuro che la stanchezza non mi avrebbe impedito la ripetizione ascoltando i nastri.

La cosa aveva funzionato benissimo fino a quel punto. Mi ero trascinato dietro, per tutta l’America, quel registratore, uno dei primissimi che erano usciti. Era in legno, grande quanto una valigia di media dimensione (7/8 kg). Nulla a che vedere con i registratori miniaturizzati di oggi. La mia decisione la dico in tedesco: gli esami UBER ALL.

L’ho detto alla tedesca perché la mia scelta cadde su di lei. L’unica che avrebbe potuto capirmi. Infatti, era l’unica delle tre che non avesse grilli per la testa. Nel mio tempo limitato le feci fare un’esperienza stupenda. Di sesso niente. Per tacita decisione di entrambi. Eravamo amici e basta.

Due notti prima dell’arrivo a Napoli, mi prese per mano e mi intimò di non parlare. Mi portò sull’estrema punta della prua della nave (off limits per i passeggeri), che navigava lungo la scia luminosa della luna. Lei aveva deciso di suggellare la nostra amicizia, casta e pura fino a quel momento, con un’esperienza che non capita a tutti nella vita. Il mare, la luna e noi. In un misto di poesia e passione, ci amammo intensamente. Ecco perché non ho visto nulla di eccezionale nella scena di Di Caprio e la sua donna nel film Titanic. Quella situazione io l’avevo vissuta, grazie ad una ragazza tedesca che aveva deciso che io ero degno del suo amore.

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lunedì 11 giugno 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (58)

L’UOMO DELLE PRIME CIVILTA’ NON HA COSCIENZA DI SE’ E ATTRIBUISCE TUTTO AL DIO

" I primi uomini, ne siamo convinti, non mancavano nè della curiosità, nè della inventività necessaria per creare e costruire strumenti tecnici; piuttosto la loro curiosità e la loro inventività, sotto la pressione della necessità, si limitava ad uno spazio molto ristretto, delimitato, generalmente, dal semplice soddisfacimento dei bisogni immediati che erano quelli della sussistenza e, quindi, della sopravvivenza.

“Se gli strumenti tecnici rendevano possibile questa soddisfacimento, essi non trovavano una ragione valida per migliorarli. Così si affermò la tradizione che gli strumenti tecnici erano perfetti e quindi si sbarrò il passo all'innovazione...
“Almeno altri due fattori, oltre alla tradizione, contribuirono all'inaridimento dell'inventività.. Essi erano inclini a credere che l'invenzione e perfino l'abilità tecnica fosse opera di un dio.

“Più complesso era il processo tecnico e più questa inclinazione si affermava...; strettamente connessa a questa inclinazione c'era l'incapacità a percepire la relazione tra la conoscenza fattuale e il progresso tecnico.

“I primi uomini hanno accumulato una grande quantità di conoscenze, lentamente e nel tempo, ma essi non capirono che il benessere è basato sull'applicazione di questa conoscenza alla manipolazione della natura...

“Fin dove questi fattori, come la tradizione, hanno influenzato l'uomo delle prime civiltà, è spiegabile perchè per un lunghissimo periodo di tempo il progresso tecnico fu quasi impercettibile " (Turner, 1941: 73-74).

L'affermazione di questa psicologia segna il limite del livello di struttura mentale raggiunto da queste prime civiltà. Un limite che esse non seppero superare nella loro storia millenaria.

Esse avevano raggiunto il loro massimo paradigma psicologico-culturale, entro il quale l'umanità sarebbe rimasta indefinitivamente se non ci fossero stati altri popoli che, dopo aver fatto proprio tutte le conoscenze prodotte da queste civiltà, avessero elaborato un nuovo paradigma e quindi un nuovo livello di struttura mentale.

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venerdì 8 giugno 2012

FRANCO FELICETTI’S STORY (22)

UNA CROCIERA DA SOGNO

Mi imbarcai per Napoli a New York, come avevo programmato. Ero disceso da Vancouver, sul Pacifico, fino a New York, sull’Atlantico, attraversando in pullman, in lungo e in largo, tutto il continente nord americano.

Avevo prenotato questo viaggio un anno prima per cogliere due opportunità: avere i prezzi degli EARLY BIRDS (in America, chi prenota con largo anticipo ha degli sconti fortissimi) e fare una CROCIERA DA SOGNO di otto giorni sulla nave di linea ammiraglia, che l’Italia aveva varato da poco: la LEONARDO DA VINCI.

La Leonardo da Vinci fu l’ultima nave di linea ad essere varata. Il trasporto aereo le aveva eliminate per sempre. Ora ci sono le navi da crociera, anche più sfarzose, ma operano in aree geografiche molto più limitate. Quasi nessuna di esse attraversa l’Atlantico per arrivare fino agli Stati Uniti.

Al turista odierno la vita di bordo interessa, e molto, ma non saprebbe rinunciare ai porti che si toccano. Ai Paesi che si visitano. Sulle navi di linea transatlantiche, invece, la vita di bordo era tutto. Il resto, per 4/5 giorni, era soltanto l’immensità dell’Atlantico. Ecco perché sono morte. L’aereo, come mezzo di trasporto, le aveva rese non convenienti.

Sapevo che, se perdevo questa occasione, difficilmente avrei potuto fare una crociera a questo livello nella mia vita. La mia classe turistica sulla Leonardo da Vinci corrispondeva alla prima classe della “carretta” con cui avevo fatto il viaggio di andata due anni prima.

Ma le sorprese non finirono. Il commissario di bordo della Leonardo da Vinci ero lo stesso della “carretta”. Ci salutammo calorosamente. Era un napoletano che mi aveva in simpatia perché io ero studente nella sua Napoli.

Quando andai a pranzo per la prima volta non credevo ai miei occhi. Non un anonimo in mezzo a tanti, ma un ragazzo baciato dalla fortuna. Un tavolo per quattro: tre bellissime ragazze mozzafiato ed io. Mi ero appena seduto quando si avvicinò il Commissario di bordo. Mi disse: “professore, le è piaciuta la sorpresa?”. Ero confuso. Ho farfugliato qualcosa, ma non ricordo cosa.

Ipso facto, divenni il ragazzo più invidiato di tutta la classe turistica.

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giovedì 7 giugno 2012

UNO STUDIO SULLA STORIA DELL’UOMO (57)

L’UOMO NON E’ COSCIENTE DELLA PROPRIA INDIVIDUALITA’

L'individuo, in queste civiltà, non ha nome, è anonimo. Le invenzioni, le tecniche, i processi, che hanno rivoluzionato il mondo della produzione e dell'organizzazione sociale, sono sempre stati il frutto della acuta osservazione o della brillante idea di qualche individuo, ma essi non la vedevano in questo modo: essi li attribuivano ad un dio.

Tutte le invenzioni, dall'aratro alla ruota, tutte le scoperte, dalla cottura della terracotta alla fusione dei metalli, sono attribuiti ad un dio, non agli uomini, D'altronde, erano invenzioni e scoperte che avevano subito un lungo processo evolutivo, in cui ogni individuo, ogni generazione (attraverso i secoli, è il caso di dire) apportava il proprio contributo fino ad arrivare al prodotto finito.

Per cui questo non era più un prodotto individuale, ma era un prodotto collettivo: era il prodotto di un dio e in quanto tale non era più modificabile, in quanto era stato creato perfetto sin dall'origine.

"I testi sottolineano la perfezione dell'opera creatrice: prima non c'era nulla, ma quando la divinità interviene, le cose vengono create in modo assolutamente 'perfetto', articolate in ogni dettaglio, per non più cambiare.

"La genesi degli strumenti di lavoro è anch'essa un fatto istantaneo: nel mito sumerico di ' Enki e l'ordine del mondo', il dio provvede all'allestimento dell'aratro, del giogo e del tiro; prende la zappa e prepara lo stampo per i mattoni; organizza il lavoro della tessitura. Ancora più esplicito è il mito sumerico della creazione della zappa: lo strumento nasce completo in tutti i suoi dettagli tecnici...

"Lo strumento viene affidato all'uomo, perchè lo impieghi nei lavori agricoli, nella costruzione delle case e della città. Il carattere archetipico e immutabile degli strumenti di lavoro, e dalle attività che con essi si svolgono, è vivissimo nella mitologia sumerica; una volta avvenuta la creazione, i destini sono fissati e nulla muterà più " (Zaccagnini, 1976: 294).

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