martedì 29 settembre 2009

LA CORRUZIONE TAPPA OBBLIGATA VERSO LA DEMOCRAZIA

Tutte le DEMOCRAZIE MATURE del mondo moderno hanno attraversato un periodo, più o meno lungo, di grande CORRUZIONE POLITICA. Non solo i paesi del Terzo Mondo di oggi e l’Italia di ieri. Ma anche l’Inghilterra, che, di solito, viene considerata la MADRE DI TUTTE LE DEMOCRAZIE, ha avuto un periodo di CORRUZIONE POLITICA diffusa e LEGALIZZATA durato secoli.

All’inizio del XIX secolo, l'Inghilterra aveva, certamente, un governo costituzionale, che aveva preso forma con la Gloriosa rivoluzione del 1688, quando fu cacciato Giacomo II e il trono fu dato a sua figlia Maria Stuart e al marito olandese Guglielmo d'Orange.

Ma questo governo era COSTITUZIONALE e basta. Il potere era tutto nelle mani di un'ARISTOCRAZIA CORROTTA e di una GRANDE BORGHESIA TERRIERA AFFARISTICA. Le CLASSI SUBALTERNE pagavano sempre il conto per tutti, come aveva fatto sin dal medioevo.

Il SISTEMA ELETTORALE dell’isola era stato congegnato ad uso e consumo di queste due CLASSI DOMINANTI di una SOCIETA’ AGRICOLA e, nonostante la corruzione, aveva funzionato finchè la SOCIETA’ rimase AGRICOLA.

Ma, nel 1830, l'Inghilterra era, ormai, diventata una SOCIETA’ INDUSTRIALE, che aveva provocato una RIVOLUZIONE SOCIALE e, soprattutto,aveva provocato una REDISTRIBUZIONE TERRITORIALE della popolazione.

Molte LOCALITA’ AGRICOLE, un tempo molto fiorenti e densamente popolate, si erano completamente SVUOTATE della POPOLAZIONE, mentre altre LOCALITA’, che avevano subito un forte PROCESSO DI INDUSTRIALIZZAZIONE, erano diventate DENSAMENTE POPOLATE.

In base al SISTEMA ELETTORALE DEL 1265, ancora in vigore nel XIX secolo, erano le località che mandavano due “RAPPRESENTANTI” in PARLAMENTO e continuavano a mandarli anche se la località si era svuotata della popolazione.

Le località industriali di nuova formazione, densamente popolate, invece, non avevano acquisito questo diritto per cui città industriali fiorenti come Manchester, Leeds. Sheffield, Birmingham, ecc., non avevano deputati in parlamento.

Il SISTEMA POLITICO dell'isola era diventato corrotto alla massima potenza. Era diventato "PUTRIDO". I SEGGI PARLAMENTARI si COMPRAVANO e si VENDEVANO AL LIBERO MERCATO. Bastava COMPRARSI una LOCALITA’(ROTTEN BOROUGHS), che aveva conservato il DIRITTO di "MANDARE" DUE DEPUTATI in parlamento,anche se svuotata dalla popolazione, per COSTITUIRSI UNA FORZA PARLAMENTARE, che veniva utilizzata come MERCE DI SCAMBIO con il GOVERNO IN CARICA.

Le rivoluzioni continentali del primo trentennio del XIX secolo avevano messo a nudo questa contraddizione. Se si volevano evitare rivoluzioni anche nell'isola, il potere non poteva essere lasciato nelle mani di un'OLIGARCHIA CORROTTISSIMA più a lungo.

L'isola era passata INDENNE attraverso il VENTO DEMOCRATICO della RIVOLUZIONE FRANCESE. Ma, da allora, la NUOVA CLASSE OPERAIA premeva per aver riconosciuto il suo DIRITTO DI ESSERE RAPPRESENTATA IN PARLAMENTO.

L'Inghilterra fu SAGGIA e non aspettò UNA RIVOLUZIONE per riconoscere questo diritto. Nel 1832 fu approvoto il REFORM BILL, che riformava il sistema elettorale e metteva fine ai COLLEGI ELETTORALI PUTRIDI (Rotten boroughs). Non era ancora la DEMOCRAZIA, ma era un passo avanti molto importante.

La democrazia si acquisì lentamente nell’arco di quasi un secolo. Il SUFFRAGIO LIMITATO del 1832 venne esteso progressivamente a tutti gli uomini maggiorenni. Le DONNE acquisirono il diritto al voto solo nel 1918.

giovedì 24 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (4)

UN VERO UOMO


Quando andai a lavorare al bar Renzelli, lasciando la scuola, intorno ai 10 anni, ero già un ragazzo “maturo”. Ma, per arrivare alla macchinetta per fare il caffè, dovevo mettere una cassetta sotto i piedi. Ero stato assunto come APPRENDISTA, ma, in realtà, facevo lo stesso lavoro di un adulto.

Provenivo dalla mia esperienza lavorativa extra scolastica, fatta sempre da Renzelli, ma al laboratorio (gelati e dolciumi) gestito dal “Vecchio”, IL CAVALIERE, una bravissima persona. Uno dei suoi figli, Sasà, era un mio coetaneo ed era un mio compagno di giochi nel quartiere della SALITA DI PAGLIARO-VIA MOLINELLA. Sua madre aveva la puzza sotto il naso. mi redarguiva spesso. Non voleva che io chiamassi suo figlio Sasà.

Dovevo chiamarlo DON SASA’. Ero un suo dipendente e dovevo esserlo anche quando giocavamo insieme. Ma il mondo gira. Io credo di essere stato l’unico Preside che abbia dato una supplenza a Sasà, che si era laureato in inglese. Io non ho preteso che mi chiamasse Preside. Per Lui, Franchino ero e Franchino sono rimasto.


L’ambiente del bar di Pinotto Renzelli era molto evoluto. In tutti i sensi. Pinotto era TOGO. Credo mi volesse bene. Per lui io ero “SPIERTU”. La notte mi accompagnava a casa sulla sua bicicletta. Spesso, durante il tragitto, mi domandava cosa avrei fatto da grande. Evidentemente, non mi vedeva come barista per tutta la vita. La storia gli ha dato ragione

Il bar era intercomunicante con un cinema, il SUPERCINEMA. Dove io avevo libero accesso, grazie alla benevolenza della GRANDE VECCHIA LEONETTI. Vi passavo tutto il mio tempo libero. Un film lo vedevo 4/5 volte. Ora so che il cinema ha svolto un grosso ruolo nella mia formazione.

Con alcuni clienti del bar ero diventato amico anche al di fuori del lavoro. Erano più grandi di me, ma non di molto. 7/8 anni. Ero accettato alla pari perché avevo una maturità molto superiore alla mia età. Questa caratteristica l’ho conservata sempre nella mia vita.

Se dobbiamo credere alle due classiche definizioni dell’INTELLIGENZA di JEAN PIAGET: (CAPACITA’ DI ADATTAMENTO E CAPACITA’ DI COGLIERE NESSI E RELAZIONI) io mi sarei potuto definire UN RAGAZZO INTELLIGENTE.

Che lo fossi ne davo dimostrazione tutti i giorni. Un cliente del bar, un commercialista un po’ bizzarro, aveva la mania di ordinare pronunciando le parole alla rovescia. Un “CAFFE’” diventava un “‘EFFAC”. La prima volta ho dovuto rifletterci un attimo per capire il meccanismo, ma poi ero sempre pronto a capire qualsiasi parola pronunciasse.

Naturalmente, la mania di questo signore non si fermò alle ordinazioni, ma si spinse a tutte le parole della lingua italiana. Erano vere e proprie gare tra me e lui. Perché mi diede la possibilità di metterlo alla prova a mia volta.

All’università ho conquistato una delle mie prof., di 15 anni più vecchia, proprio grazie alla mia “maturità-intelligenza”. Lei mi riteneva diverso e più maturo dei miei coetanei. Mi riteneva “un vero uomo”, come diceva lei. Ma non era la prima che me lo diceva.

Me lo aveva già detto, molti anni prima, una ragazza in un situazione drammaticissima. Era una bellissima ragazza. Di lineamenti molto fini. I suoi genitori l’avevano mandata a “servizio” giovanissima. Diciamo che si era cresciuta in casa dei suoi datori di lavoro. Il mio migliore amico, forse l’unico che avevo, sette anni più vecchio di me, la voleva.

A lui le donne non mancavano. Era il tipo di uomo che le donne sognano. Questa ragazza se ne innamorò e si concesse. Ma lui volle di più. Volle che andasse a vivere con lui come amante. In un epoca in cui la VERGINITA’ era il METRO DI PARAGONE, lei fece questo passo perché si era illusa su di lui. Per un certo periodo anch’io ho vissuto con loro in un grande SEMINTERRATO. Allora facevo il fotografo.

La loro stanza da letto era stata ricavata in un angolo con delle tavole alte 2 metri. Una notte sentii delle grida altissime: “aiuto!… aiuto!… mi vuole uccidere”! Corsi e sentii una furibonda lite tra i due. Lei che gridava: “tu non mi butterai in mezzo alla strada!”… lui, rivolto a me: “aiutami!… Vuole uccidermi… ha un coltello”.

Saltai nella loro stanza e vidi lui in un angolo impaurito e tremante. Lei con un coltellaccio da cucina che lo minacciava. Chiesi perché succedeva tutto questo e lei mi disse: “il vigliacco ha detto che non mi vuole sposare perché non è stato lui a prendersi la mia verginità. Il vigliacco sa che è stato il mio solo uomo. Io in mezzo ad una strada non ci vado. Meglio il carcere”.

Cercai di farli ragionare. Lei aveva ragione. Io sapevo che lui non aveva mai avuto l’intenzione di sposarla. Era un divertimento finché durava. Lei era fuori di sé. Lui era incapace di reagire. Psicologicamente era crollato. Aveva una paura matta. Lei minacciò di morte anche me se non andavo via.

Era troppo inviperita per riuscire a convincerla. E quell’uomo l’aveva delusa profondamente come uomo. Lei lo aveva sempre creduto un “dio”. Lui aveva sempre “venduto” un’immagine positiva. Da uomo sicuro di sé. Ma dietro quella facciata non c’era nulla.

Non mi restò che agire. Fulmineamente, con una mano le diedi un ceffone fortissimo e con l’altra la disarmai. Lei non ce l’ebbe con me. Anzi! Rivolto a lui disse: “lui è un vero uomo!… tu sei un vigliacco”.

Eppure io le avevo fatto un occhio nero. Ma quell’occhio nero divenne il simbolo di un amicizia vera e profonda, che non potrà mai essere cancellata, anche se non ci frequentiamo da decenni.

Si sposarono. Ebbero due figli. Bellissimi e affascinanti come il padre. Ma lei rimase per tutta la vita un’infelice. Dopo qualche anno, io ormai laureato da tempo, la incontrai. Era invecchiata moltissimo. Il viso era contratto e pieno di rughe. Eppure lei era molto più giovane di me.

. Le chiesi come andavano le cose. Lei mi rispose: “come vuoi che vadano! Ho cercato e cerco ancora di dimenticare, ma ogni volta che facciamo l’amore, e sono vicina all’orgasmo, quando vedo che la RICONCILIAZIONE con lui può essere possibile, quella notte ritorna lucida nella mia mente e divento fredda e rigida. Ho paura che resterà così per il resto della mia vita. Io sono ancora la sua donna, ma lui non è più il mio uomo. Non lo è più da quella notte. Eppure tu sai quanto l’abbia amato” L’unica sua gioia erano e sono i suoi figli.

Se mia madre avesse avuto lo stesso FEGATO di questa ragazza col suo fidanzato forse le cose sarebbero andate diversamente per lei. Ma, allora, il maschio si sentiva egoisticamente autorizzato ad abusare della donna senza la minima responsabilità verso di lei.

Il costume odierno è certamente superiore. Ci si è liberati della VERGINITA’, che schiavizzava la donna ad un fatto fisico, e si è affermato il principio che l’uomo che mette incinta una donna se ne deve assumere la responsabilità morale, se non legale. E, di solito, la sposa.

Le ragazze napoletane, al tempo dell’università, avevano risolto brillantemente il problema dell’integrità fisica. Terminata la loro storia con il ragazzo di turno, passavano dal GINECOLOGO per far “ripristinare” tutto. E si ripresentavano sulla scena più vergini di prima. Avanti un altro. A pensarci, temo che una di queste “vergini” sia toccata anche a me. Aveva 17 anni.

La cosa funzionava. Una di queste ragazze l’ho accompagnata io dal GINECOLOGO, ma mi ha chiesto di aspettarla sotto, per strada. Noialtri maschi siamo psicologicamente immaturi rispetto alla donna. Noi cercavamo la “prima volta”. E ci veniva data. Ecco perché la natura ha premiato la donna e ne ha fatto la CUSTODE DELLA SPECIE.

CONTINUA

martedì 22 settembre 2009

LA MENTALITA’ MAFIOSA E LA CONVIVENZA DEMOCRATICA

La convivenza democratica sarà una lunga e difficile conquista per la psicologia dell’italiano. Se per convivenza democratica si intende, come si deve intendere, che il CITTADINO E’ PORTATTORE DI DIRITTI E DI DOVERI.

È questa doppia veste del cittadino che ancora non riesce a maturare nella coscienza degli individui. Chi gestisce il potere avrebbe il dovere di tutelare il cittadino indistinto nei suoi diritti.

Ma il cittadino, a sua volta, dovrebbe osservare i propri doveri verso la comunità allargata e verso gli individui con cui entra in contatto. Purtroppo, nella nostra cultura non è ancora prevalso questo doppio concetto.

Chi gestisce il potere tutela i diritti del cittadino solo se questo è, o diventa, un suo cliente (politico). Gli altri hanno diritti più deboli e, spesso, sono stritolati dalla macchina burocratica dell' amministrazione.

E, purtroppo, la macchina burocratica italiana non si è ancora liberata dalla medievale MENTALITA’ BARONALE. Non è ancora riuscita a liberarsi di quella mentalità che si abbarbica ad ogni FORMA DI POTERE per gestirlo a propria gratificazione personale per crearsi l’illusione di essere qualcuno che conta.

Questo a tutti i livelli. Anche il piccolo impiegato, purchè sia dietro ad uno sportello per SERVIRE IL PUBBLICO, non lo fa con lo SPIRITO DI SERVIZIO, come in tutte le democrazie più mature della nostra, ma lo fa con molta iattanza. Quasi come se elargisse “favori”.

Lo spirito del PUBLIC SERVANT inglese è lontano mille miglia da questa mentalità mafiosa, che si autoalimenta perché il cittadino in genere non ha ancora maturato l’idea che certi diritti gli sono dovuti e non li deve pietire a chicchessia. Spessissimo non si ribella contro comportamenti illegittimi da parte di chi gestisce il servizio pubblico.

Ancora peggio accade nello SPORTELLO AL PUBBLICO GENERALIZZATO conosciuto come CALL CENTER. Qui la CONVIVENZA DEMOCRATICA va a farsi friggere del tutto. Il cittadino deve diventare un “PUTTANO”, come mia moglie dice io sia diventato, se vuole avere una minima possibilità di risolvere il suo problema.

Se RIVENDICA IL PROPRIO DIRITTO protestando, come se fosse davanti ad un vero sportello con una persona fisicamente presente, sarà un perdente.

Chi sta dall’altro capo del filo sviluppa una MENTALITA’ ANCORA PIU’ MAFIOSA perché è protetto/a dal quasi anonimato. Anche se, fugacemente, ti dice il suo nome tu sei un illuso se credi che qualcuno prenderà in seria considerazione il tuo eventuale ricorso in tempi brevi. C’è gente che aspetta anni.

Se il cittadino non impara a fare il “PUTTANO”, cioè, se non sa trovare il modo come INGRAZIARSI l’operatore per risolvere il suo problema, ad un certo punto “CADE LA LINEA”. e tu devi iniziare tutto daccapo con un altro operatore.

E concludiamo col MAFIOSETTO DEL QUARTIERINO. Questa è una figura atipica. Non la trovi in tutti i posti. La trovi solo dove ci sono le condizioni affinché sorga. Caseggiati che abbiano servizi in comune: spazi verdi, stradine d’accesso, illuminazione propria e quant’altro.

Qui il mafiosetto vuole che gli si riconosca il suo ruolo di preminenza. Ma quali DIRITTI E DOVERI? I suoi diritti sono più forti. Uno più di tutti: IL DIRITTO AL COMANDO. Tutto deve svolgersi tramite lui. Chi SGARRA a questa regola viene vessato in mille modi diversi finché non si adegua per quieto vivere.

giovedì 17 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (3)

PACTA SUNT SERVANDA

Da piccolissimo (1/4 anni), ero un po’ il beniamino del quartiere. La salita di Pagliaro. A quel tempo era l’estrema periferia di Cosenza. Dopo di noi c’era solo campagna. Il confine tra città e campagna era segnato dalla chiesa evangelica. Che c’è ancora. Allo stesso posto.

Io ero paffutello. Ero scuro di pelle. Tanto scuro che mi appiopparono un nomignolo: “turchicieddru d’a catineddra”. Della “catenina” perché portavo sempre una catenina al collo. Una foto, col cappello di figlio della lupa, mi ricorda che a pasqua avevo sempre un agnellino che portavo al guinzaglio. Ma su questo non ricordo molto.

Ricordo nitidamente che alla befana, per noi figli Felicetti, nella calza c’era solo carbone. Mai un anno che fossimo premiati per essere stati buoni! Per la befana eravamo sempre cattivi. Ma era questo che nostra madre si poteva permettere e questo ci dava. Ma non ci faceva mancare l’amore.

Ne aveva tanto per noi. Per tutti noi. Anche se c’era una particolarità per me, che ero il più piccino. Però nella mia calza, oltre al carbone, c’era anche qualche “topolino” di cioccolato. Poi ho scoperto che era il dono annuale di una signora, la cui immagine è tutt’ora presente vagamente nella mia mente. Questo è il segno della mia perdurante gratitudine. Ci deve essere sempre posto nel proprio cuore per chi ti ha fatto del bene.

Quando era sul letto di morte, quando ha sentito che stava per andarsene, mia madre chiese di me. Le tenni stretta la mano, ma non volli vedere i suoi occhi che si chiudevano per sempre. Per me non era morta. Non poteva morire. Non accettavo la sua morte. Non ho versato una lacrime. Il dolore era troppo forte. Mi aveva inebetito. E poi non credevo fosse veramente morta. Quando Peppe l’accompagnò al cimitero, lo chiamai in disparte e gli dissi. “mamma non è morta, quando arrivi al cimitero toccala. Lei si risveglierà”

Non ho mantenuto la promessa che le avevo fatto da bambino, che, da morta, l’avrei tenuta per sempre sotto il mio letto. Non vado mai a trovarla al cimitero. Non amo i cimiteri italiani e non vorrei mai essere sepolto in uno di essi. Però è nel mio cuore. C’è sempre stata e ci starà sempre. Questa è la forza dell’amore. L’amore di un figlio che ha capito. Oggi l’avrei fatta cremare e la sua urna l’avrei messa sul mio comodino. Idealmente uniti. Come sempre.

Io ero un ragazzino “sveglio”. UN FAST LEARNER. Verso i sei anni mia madre mi portava a lavorare con lei nel periodo di Natale. Incartavamo i “famosi torroncini di Renzelli”. Non nascondo che qualcuno lo mangiavo di nascosto. Erano buonissimi. Ma li mangio ancora oggi. Renzelli non ha mai smesso la loro produzione.

C’era un signore, proprietario di una conceria in VIA POPILIA, che molto spesso mi veniva a prendere la mattina presto e mi portava, col suo calesse, a fare il giro dei paesi circonvicini a raccogliere le pelli per la sua conceria. Stavamo fuori tutta la giornata. Si tornava verso sera. Portava sempre della carne a mia madre per ringraziarla per avermi autorizzato ad andare con lui.

CONTINUA

martedì 15 settembre 2009

LENIN, STALIN, E L’UTOPIA COMUNISTA

LENIN E STALIN sono i due uomini che, con responsabilità diverse, hanno costruito un mostro, l’UTOPIA COMUNISTA, che divorava i suoi figli dando loro l’illusione di essere diretti verso il regno dell’abbondanza nell’uguaglianza più assoluta.

Lenin fu l’ideologo che, per decenni, aveva studiato il pensiero di KARL MARX nel suo esilio in Svizzera e ne aveva tratto una visione dello Stato che doveva LIBERARE L’UOMO da ogni forma di bisogno nella libertà più piena.

Il COMUNISMO, come l'intendeva Lenin, doveva essere il 'SOLE DELL’AVVENIRE' per la CLASSE OPERAIA. Con il comunismo a regime, sarebbe cessata OGNI FORMA DI STRUTTAMENTO. Lo STATO SAREBBE SCOMPARSO e al suo posto sarebbe sorta una LIBERA ASSOCIAZIONE di cittadini.

Il CREDO CAPITALISTICO "AD OGNUNO SECONDO LE PROPRIE CAPACITA”, che era la matrice della DISUGUAGLIANZA tra gli uomini, sarebbe stato sostituito da quello COMUNISTA "AD OGNUNO SECONDO I SUOI BISOGNI”. Così, le CLASSI SOCIALI sarebbero sparite e con esse sarebbe sparita la proprietà privata, che era un FURTO per l’IDEOLOGIA COMUNISTA.

I lavoratori sarebbero diventati i DATORI DI LAVORO di se stessi ed ognuno avrebbe avuto garantito il DIRITTO AL LAVORO. Ci sarebbe stato il LIBERO ACCESSO AI MEZZI DI INFORMAZIONE e la POVERTA’ sarebbe stata un ricordo.

Questa SOCIETA’ IDEALE, però, doveva essere realizzata per gradi. La prima, inevitabile tappa sarebbe stata quella della DITTAURA DEL PROLETARIATO, che era necessaria per abbattere tutte le altre classi (nobili, borghesia, proprietari terrieri).

Ma questa dittatura del proletariato, da provvisoria che doveva essere, divenne ETERNA. Dopo 80 anni era ancora viva e vegeta perché aveva prodotto una NUOVA CLASSE, non prevista, né immaginata da alcuno: la classe dei FUNZIONARI DEL PARTITO COMUNISTA, che avevano tutto l’interesse a mantenere il COMUNISMO AL POTERE.

Secondo Lenin, il passaggio dall’ ECONOMIA DI MERCATO (capitalismo)all’ ECONOMIA SOCIALISTA sarebbe avvenuto attraverso una fase transitoria di STATIZZAZIONI, per cui lo STATO SAREBBE DIVENTATO IL PROPRIETARIO DI TUTTI I MEZZI DI PRODUZIONE. Al privato cittadino sarebbero rimaste solo le braccia.

La mente non gli serviva. Era lo Stato che pensava al suo benessere, che sarebbe stato maggiore di quello goduto sotto l’odioso sistema capitalistico,fondato sulla disuguaglianza degli uomini.

Lenin, l’intellettuale dotato di flessibilità mentale, nel 1921, dopo la rivolta dei marinai di Kronstadt, considerati 'l'avanguardia della Rivoluzione Bolscevica', si rese conto che bisognava mettere un freno alla STATIZZAZIONE SELVAGGIA dei mezzi di produzione e impose dei correttivi.

L’obiettivo della costruzione del comunismo si poteva raggiungere anche per gradi senza sconvolgere la vita del piccolo produttore o piccolo artigiano. Egli fece approvare una NUOVA POLITICA ECONOMICA (N.E.P.) con cui si permetteva, in deroga al programma di statizzazione, al PICCOLO PRODUTTORE PRIVATO di fare LIBERO COMMERCIO dei suoi prodotti.

Ma il suo successore, STALIN, era un burocrate, un uomo dell’apparto del partito comunista. Egli non aveva, e non poteva avere, la POTENZA INTELLETTUALE di Lenin, che era sinceramente attaccato al benessere del popolo, anche se perseguiva una strada che si dimostrerà sbagliata.

Stalin era un UOMO DI POTERE. Egli aveva capito che il potere supremo risiedeva nel partito comunista e il suo segretario ne era il detentore. Egli non fu così 'liberale' come Lenin. Egli portò ogni attività economica, anche quella del piccolo produttore, sotto l'egida dello Stato per perseguire un programma di industrializzazione forzata.
Sul piano militare, Stalin fece dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) la seconda grande potenza del mondo, ma questa potenza fu 'costruita' sullo sfruttamento della massa dei lavoratori, che non conobbero mai il benessere dei lavoratori del mondo non comunista.
Il SOLE DELL’AVVENIRE si era dimostrato una GRANDE TRAGEDIA UMANA,fatta di gente affamata che si riversa sul mondo occidentale per prendersi le briciole di quel benessere che, a loro, l’IDEOLOGIA COMUNISTA aveva negato nei fatti.

giovedì 10 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (2)

A PIEDI NUDI

Mia madre era molto bella . Alta. Gentile nei lineamenti. Di scuola ne aveva fatto poca. A quei tempi, gli inizi del XX secolo, una donna giovane e bella con un figlio non la si poteva sposare. Non eravamo in America dove la donna si risposa anche se ha figli. Da noi non è così neanche oggi.

Da noi, ancora oggi, l’uomo si avvicina ad una donna con figli solo con la speranza di rimediare una “scopata” e basta. Sposarla? Mai! Mia madre sfamò i suoi cinque figli lavorando come una dannata.

Ci vestivamo grazie alla benevolenza di alcune famiglie, che ci davano gli indumenti smessi dai loro figli. Da aprile ad ottobre inoltrato non vestivo scarpe. ANDAVO IN GIRO A PIEDI NUDI. Era duro camminare sull’asfalto bollente o sulla terra battuta a causa delle spine.

La nostra casa era un monolocale a piano terra di 40 mq circa. Questo rappresentava il nostro mondo. La nostra cucina. Il nostro bagno (si fa per dire). Le nostre camere da letto. Il nostro soggiorno. Tutto in questi 40 mq. Io dormivo con i miei fratelli in un letto matrimoniale. I risvegli festivi di quei giorni mi mancano ancora. Erano belli.

Eravamo tre fratelli affiatati. Io dormivo in mezzo ai due giganti. Giganti perché io ero piccolino. Gigino mi passava sette anni. Peppe addirittura undici. Nel letto giocavamo. Io e Peppe eravamo sempre alleati. Chi ne faceva le spese era sempre il povero Gigino.

Con Peppe c’era una particolarità che ci legava: eravamo nati nello stesso giorno: il 26 gennaio. Ora Peppe non c’è più. Sono andato a seppellirlo a Vancouver, in Canada nel 1983. Ho cercato fra tutti i suoi amici canadesi e italiani per cercare di conoscere le sue ultime volontà. Se voleva essere sepolto in Italia o in Canada.

Tutti i suoi amici mi hanno detto che per lui era indifferente. Ma chi mi ha fatto decidere di lasciarlo in Canada è stata mia sorella Lucia. Piangendo mi ha detto: “lasciamelo qui. È l’unico che mi rimane della famiglia. Ne avrò più cura di quando era vivo”. Gli ho scelto un cimitero che noi italiani non conosciamo. Quelli che vediamo nei film: un grande parco verde curato a giardino.

Le tombe sono sufficientemente distanziate per creare un ambiente discreto, dove i congiunti vanno anche a pranzare sulla tomba del loro caro. Anch’io, prima di ripartire per l’Italia, sono andato, con la famiglia di mia sorella, a prendere il BRUNCH sulla sua tomba. Abbiamo scherzato con lui. I ragazzi, quelli che lui aveva cresciuto come figli suoi, lo prendevano in giro e raccontavano tutte le marachelle che avevano fatto da bambini facendolo arrabbiare.

Tutti siamo grati a questo fratello, a QUESTO FIGLIO DELLA COLPA, che è stato un pò il padre che non avevamo. Non ha mai pensato egoisticamente solo a se stesso. Il suo pensiero era la famiglia. In tanti anni di Canada non ha accumulato soldi per se stesso. Era generosissimo. Ha speso sempre tutto per i nipoti e la sorella, per me e per chiunque ne avesse bisogno della famiglia. In banca ho trovato solo una cassetta di sicurezza con poche migliaia di dollari. Ho capito che quelli li aveva destinati al suo funerale.

Io gli ho dedicato il mio primo libro: LA STRUTTURA POLITICA DELLA SOCIETA’, un libro di SOCIOLOGIA POLITICA, che avrebbe dovuto farmi conoscere all’interno del PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI), a cui mi ero iscritto da poco. Questa la dedica “ A MIO FRATELLO PEPPE, CHE NON CREDE NELLA RICONOSCENZA DEGLI UOMINI”.

Questa dedica ha una storia. Peppe mi ha aiutato molto quando mi sono iscritto all’università. Mi ha sovvenzionato nel momento iniziale. Poi mi sono mantenuto da solo. Ma lui temeva che io, una volta preso la laurea, avrei fatto come un suo compagno di giochi da ragazzo.


Questo suo compagno era il figlio di un “cocchiere” (guidava una vettura a cavallo). Quest’uomo aveva sacrificato la sua vita per dare al proprio figlio il massimo degli studi: UNA LAUREA IN MEDICINA. Ma questo neo “dottore” si dimostrò doppiamente ingrato. Da “dottore” non poteva accettare di essere il figlio di un “cocchiere”. Così negava di essere suo figlio. Come non riconobbe più i suoi compagni di giochi che erano rimasti semplici lavoratori.

Peppe lo detestava. Non perché tenesse alla sua amicizia. Ma perché riteneva che il proprio passato non si rinnega. Fa parte della propria storia. Nel bene e nel male. E bisogna esserne orgogliosi. Specialmente chi si è elevato socialmente, con i propri sforzi, ma anche con l’aiuto dei propri genitori o parenti.

Peppe temeva che anch’io avrei rinnegato le mie origini. Col tempo si rese conto che io ero fatto di un’altra pasta. Di ben altra intelligenza. E divenne orgogliosissimo di me. Il suo orgoglio per me crebbe a dismisura quando gli telefonai da Roma che avevo superato il concorso a preside col massimo dei voti. Se fosse morto due anni più tardi mi avrebbe visto diventare PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE PROVINCIALE PRESIDI DI COSENZA.
CONTINUA

lunedì 7 settembre 2009

18 GIUGNO 1948:L’ITALIA CHIAMATA A FARE UNA SCELTA DI CAMPO:COMUNISMO O DEMOCRAZIA?

Nelle elezioni politiche del 1948, IL PATTO DI UNITA’ D’AZIONE TRA SOCIALISTI E COMUNISTI, per un attimo, fece temere che l’Italia potesse crollare di fronte alla MAREA MONTANTE DELL’IDEOLOGIA COMUNISTA

Dall'elezione della CONSULTA di due anni prima, il partito socialista italiano (PSI) era uscito come il partito più forte della sinistra italiana. Il PARTITO COMUNISTA lo seguiva ad una certa distanza, ma il suo POTERE D’INFLUENZA era molto più forte di quello socialista.

Il SOCIALISMO era un’IDEA, un’idea di giustizia sociale, che aveva sempre albergato nel cuore e nelle menti degli italiani sin dalla fine del XIX secolo. Il COMUNISMO, invece, era sorto nel 1921 da una costola del socialismo ed era diventato un’organizzazione ferrea con una fede altrettanto ferrea.

Il suo iscritto aveva sviluppato una psicologia da VERO CREDENTE. Mentre nel partito socialista le decisioni politiche venivano prese per quelle che erano: decisioni che potevano ESSERE MESSE IN DISCUSSIONE da qualsiasi iscritto che la pensasse diversamente.

Nel partito comunista le DECISIONI POLITICHE, prese dagli organi statutari,attraverso il metodo del CENTRALISMO DEMOCRATICO, erano ARTICOLI DI FEDE a cui bisognava adeguarsi, PERINDE AC CADAVER, se non si voleva essere FUORI DALLA LINEA POLITICA DEL PARTITO.

Tra socialismo e comunismo c’era una incompatibilità di fondo che, nel secondo dopoguerra non venne percepita. Il socialismo era SINONIMO DI LIBERTA’, ecco perché la storia di questo partito è una storia di SCISSIONI.

Chi la pensava diversamente andava a fondare un “altro” PARTITO SOCIALISTA, come farà Saragat proprio in quel periodo. Per camuffarle, queste scissioni venivano definite di “DESTRA”, per salvare la “verginità” degli INDEFETTIBILI DI “SINISTRA”.

All’interno del partito comunista non c’era libertà. C’era FEDE, tanta fede nei confronti della CHIESA-PARTITO, che sollevava il singolo iscritto dal fastidio di pensare con la propria testa. Il PARTITO era sempre nel giusto.

Era il singolo che “DEVIAVA”. Ecco perché il singolo, prima di pensare con la propria testa, aspettava che il PENSIERO UNICO venisse RIVELATO dall’organo ufficiale del partito, così era sicuro di non essere FUORI DALLA LINEA POLITICA DEL PARTITO.
Per le elezioni del 1948, i comunisti proposero ai socialisti di ricostituire L’UNITA’ DELLA CLASSE LAVORATRICE per affrontare insieme il destino del Paese. Una parte dei socialisti non era insensibile a questo richiamo, ma la MAGGIORANZA decise per l'AUTONOMIA, anche se era pronta a formare un PATTO D’AZIONE con i comunisti.

PIETRO NENNI,imbevuto di idealità, ma di scarso acume politico,come leader indiscusso del socialismo italiano, disse che fu la divisione della sinistra che fece andare al potere il fascismo in Italia e il nazismo in Germania. Ora questo errore era da evitare pur conservando la propria autonomia.

Ma una parte dei socialisti, capeggiata da Giuseppe Saragat, non era d'accordo sul 'patto d'azione'. I socialisti di Saragat si richiamavano ai valori democratici della socialdemocrazia europea e rifiutavano qualsiasi legame con il PARTITO COMUNISTA ITALIANO, che si richiamava all'IDEOLOGIA COMUNISTA come si era realizzata nell’UNIONE SOVIETICA.

Nel gennaio del 1947, i SARAGATTIANI, come vennero anche chiamati, si riunirono a PALAZZO BARBERINI in Roma e decisero la creazione di un NUOVO PARTIVO SOCIALISTA che assunse il nome di PARTITO SOCIALISTA DEI LAVORATORI ITALIANI (PSLI).

Questa SCISSIONE dei socialisti contribuì a chiarire la GEOGRAFIA POLITICA italiana in senso FILOCCIDENTALE e DEMOCRATICA, che sarà sanzionata, a maggio dello stesso anno, quando DE GASPERI sbarcherà dal governo socialisti e comunisti e formerà il primo GOVERNO CENTRISTA del dopoguerra con dentro anche il PSLI.

IL ‘PATTO DI UNITA’ D’AZIONE' preoccupava le altre forze politiche italiane e gli ALLEATI, i vincitori della seconda guerra mondiale, che vedevano in esso la TATTICA, usata dai comunisti in tutti gli altri Paesi, per conquistare il potere e poi istituire il PARTITO UNICO DEL PROLETARIATO, dove la libertà c’era sulla carta, ma non nei fatti.

L'esempio più recente era stata la Cecoslovacchia, che, proprio in quell'anno, era stata assorbita nell'orbita dell'UNIONE SOVIETICA attraverso un PATTO D’AZIONE.

In Italia, i comunisti avevano già percorsa la prima tappa dell'itinerario per la conquista del potere. Avevano collaborato democraticamente nei governi di coalizione nazionale. Ora si preparavano a percorrere la seconda con il patto d'azione.

Una loro vittoria, a giudicare da quello che avveniva nell'Europa Orientale, avrebbe potuto segnare l'inizio della fine della libertà in Italia.

La campagna elettorale, la prima che si teneva, dopo il fascismo, per eleggere democraticamente il primo parlamento della Repubblica italiana, fu impostata, dalla Democrazia Cristiana ed i suoi alleati, come una campagna pro o contro la libertà.

Il campo era diviso in rossi (socialcomunisti ed alleati) e bianchi (democristiani ed alleati). La gerarchia ecclesiastica si impegnò a fondo nella campagna. Il 'VENTO DEL NORD' faceva temere una vittoria del FRONTE POPOLARE, come era chiamata l'alleanza di socialisti e comunisti.

Ma dalle urne uscì UN VOTO PER LA LIBERTA’. La Democrazia cristiana conquistò 307 seggi (49 per cento dei suffragi). Il Fronte popolare ne conquistò 182 (30,7 dei suffragi). La vittoria del bianco fiore (simbolo della Democrazia cristiana) fu netta, ma in Italia il clima era arroventato. Lo era stato per tutta la campagna elettorale.

Un attentato a PALMIRO TOGLIATTI, subito dopo le votazione, fece temere un possibile ricorso all'insurrezione armata, ma il capo del comunismo italiano dimostrò GRANDE SENSO DI RESPONSABILITA’ DEMOCRATICA e smentì queste paure. I comunisti accettavano il VERDETTO DELLE URNE.

Grazie a Togliatti,che conosceva bene il SISTEMA COMUNISTA DELL’URSS, per esserci vissuto durante il suo forzato esilio, l’Italia fu salvata dal fato che toccò alle nazioni dell’Europa Orientale, che furono inglobate nella sfera di influenza dell’URSS.

Dopo 80 anni di ideologia comunista, queste nazioni furono ridotte alla più nera miseria mentre i popoli del VITUPERATO SISTEMA CAPILISTICO OCCIDENTALE conobbero un PROGRESSIVO BENESSERE.

IL SOLE DELL’AVVENIRE, come LENIN aveva definito l’IDEOLOGIA COMUNISTA, non spuntò mai dall’altra parte della CORTINA DI FERRO e la sua gente (russi,cecoslovacchi, ungheresi, rumeni, polacchi,ucraini, bulgari, ecc.) fu costretta a disperdersi per le contrade del MONDO CAPITALISTICO OCCIDENTALE alla ricerca di un tozzo di pane.

giovedì 3 settembre 2009

FRANCO FELICETTI’S STORY (1)

UNA RAGAZZA MADRE

Il blog è un DIARIO personale dove si scrive la “CRONACA” della propria vita. Ecco perché STORY e non HISTORY. Un blog non può assurgere alla dignità di “storia”. E’ una cronaca. Anche se contiene tutti gli elementi per ricavare la “storia” di una persona. Come l’ho ricavata io nel mio sito.

Nel sito c’è la mia STORIA. In queste pagine, che appariranno ogni VENERDI’, ci sarà la “cronaca” della mia vita. Delle mie origini. Della mia crescita culturale e umana. Delle mie aspettative. Dei miei sogni. Delle mie ambizioni. Dei miei fallimenti. Ma, soprattutto, ci saranno le mie riflessioni sugli avvenimenti salienti di cui sono stato testimone o attore.

Ci saranno le mie riflessioni sulle persone che ho incontrato e sulle cose in cui mi sono imbattuto nel corso della mia non facile vita e che hanno contribuito, in un modo o nell’altro, a formare la mia personalità alquanto FORTE E COMPLESSA, CON PUNTI DI RIFERIMENTO SALDI E STABILI .

Si dice che il buon giorno si vede dal mattino. Mi è stato raccontato che il mio mattino è stato “RADIOSO”. Non ho imparato a camminare. Ho camminato e basta. Ho fatto tutto da solo. Ero stato lasciato seduto ai bordi di un campetto di calcio, dove mio fratello (di 7 anni più grande) giocava con altri compagni. Ad un tratto mio fratello mi vide camminare verso casa con l’aiuto di un bastone. Avevo fatto il grande passo. Da solo. Mio fratello, ancora oggi, racconta questo episodio con ammirazione.

Eravamo una famiglia poverissima. Mia madre oggi si sarebbe detta una “RAGAZZA MADRE”. Una delle tante “vittime” di una mentalità aberrante. Vittime di una società che non dava alcuna assistenza a queste povere disgraziate, che avevano creduto nell’amore e si erano abbandonate alla volontà predatrice dell’uomo “cacciatore”.

Ma anche vittime di uno Stato che colpevolizzava il debole (la donna) ed assolveva il forte (l’uomo), che pure era la causa di tutto. Mia madre ebbe la colpa grave di essere nata all’inizio del Novecento, quando il WELFARE STATE non era nemmeno nella mente di Dio. Se fosse nata verso la fine del secolo, quando lo STATO DEL BENESSERE divenne un patrimonio di tutti dalla CULLA ALLA TOMBA, le cose sarebbero andate diversamente.

Essere una “ragazza madre” in Inghilterra oggi è uno STATUS molto appetibile. Tanto appetibile che le ragazze cercano, di proposito, di diventare RAGAZZE MADRII per intascarsi il lauto sussidio che lo Stato eroga loro. È un fenomeno questo che sta dissanguando le casse dello Stato inglese, che sta studiando contromisure per bloccarlo.

Mia madre, invece, messa incinta dal suo fidanzato, fu cacciata di casa perché “AVEVA DISONORATO LA FAMIGLIA” (questo era il tremendo costume a quell’epoca),. E a noi figli la società impose il MARCHIO INDELEBILE della colpa. Su tutti i documenti dello Stato, noi figli eravamo definiti FIGLI DI NESSUNO. Di N.N., come recitava la formula.

Era un marchio che mi dava fastidio. Non eravamo figli di nessuno. Eravamo figli di una donna che non aveva un marito. Ma la società, a quel tempo, era tremendamente maschilista e voleva la paternità. La donna contava poco. Ecco perché eravamo FIGLI DI NESSUNO. Di N.N..

Fino alla morte di mia madre ho subito questa umiliazione che mi rendeva “DIVERSO” dai miei compagni ed amici. Per molti, noi figli di N:N: eravamo “FIGLI DI PUTTANA”, come termine ingiurioso verso la donna. Mia madre non fu mai una “puttana”. Fu una donna che aveva subito la violenza del maschio, che si era presentato in veste di agnello, ma che si dimostrò soltanto un lupo affamato..

Ma io sono diventato veramente “un figlio di puttana”, nel senso psicologico della frase. E ne ero orgoglioso. Inconsciamente, avevo talmente affinato il mio modo di vedere le cose che riuscivo a “vedere” (oggi direi “intuire”) prima e meglio degli altri. Ero diventato un eccellente “figlio di puttana”.

Ero intelligente e usavo questa mia intelligenza per essere “astuto”. Gli inglesi direbbero “canning”. Ma non facevo nulla consciamente. Era la mia natura che prendeva il sopravvento. Non volevo essere un PERDENTE. Ed avevo la presunzione di non essere inferiore a nessuno. Forse avevo meno scuola, ma supplivo con la mia riflessione sulle cose, sulle persone e sugli avvenimenti.


Morta mia madre, avevo 16/17 anni, mi sono ribellato a quel FIGLIO DI N.N. Quando mi si chiedeva la paternità , con molta sicurezza, rispondevo: FU MARIA. Questo mi restituiva quella dignità che una società ingiusta mi aveva tolto. E che, soprattutto, aveva tolto a mia madre. Lei, come donna, non poteva essere a capo di una famiglia.

Mia madre proveniva da un paese della presila cosentina, Spezzano Sila . Cacciata di casa, a Cosenza aveva trovato rifugio presso una donna che aveva altri figli. Di fronte a lei erano aperte due strade. O diventare una “puttana”, come avevano fatto altre prima di lei, o conservare la sua onestà facendo una vita che prometteva solo sacrifici. Lei si industriò facendo ogni tipo di lavoro. Dalla donna di servizio all’aiuto nel lavoro dei campi.
CONTINUA